“Non vedo, non sento e parlo d’altro”
IL DIO PETROLIO E NOI ESSERI UMANI
di Olga Nassis
Fernand Braudel parlava della Sicilia come di un “continente in miniatura” coi tratti di un microcosmo, un osservatorio privilegiato delle dinamiche di scambio e conflitto fra culture. Una metafora, oggi, della relazione tra società e capitale. Tre millenni di colonizzazione: greci, arabi, Savoia. Sembrava finita con i Borboni e invece è arrivata l’Eni e al suo seguito Terna ed Edipower.
I greci arrivavano con le triremi, gli arabi con le navi lanciafuoco, i Savoia con mille colorati uomini grazie ad una astuta intuizione di Crispi. L’Eni arriva a suon di decreti e autorizzazioni in deroga, sblocca-Italia, art.38, protocollo Mise, convenzioni e ‘compensazioni’, con l’aperta complicità di amministrazioni locali ormai svuotate e di una “autonomia” eterodiretta, ripescata solo per agevolare l’ingresso dei coloni con sconti percentuali e tappeti rossi.
Sulle coste meridionali si profila uno scenario di trivellazioni che accomuna tutto il bacino del Mediterraneo, dalle Canarie alla Grecia, dove di ritorni economici e occupazionali non si vede neanche l’ombra, mentre si vedono fin troppo bene i danni irreparabili prodotti all’ecosistema ed alle economie tradizionali.
Sulla costa tirrenica, nel messinese, in un’area di appena venti chilometri c’è tutto un accanimento di industrie inquinanti: Raffineria, Terna (con elettrodotto da 380 Kv), Centrale termoelettrica (da convertire a combustione di rifiuti).
Il vecchio modello di sviluppo
Un fatto locale? Nient’affatto, è il vecchio modello di sviluppo che Pierroux chiamava “polarizzazione”, dove un polo dominante – quello della raffinazione – apre la via a tutti gli altri, un po’ come le triremi greche aprirono la strada alla colonizzazione.
Solo che i greci esportavano anche modelli culturali, conoscenza, saperi. Oggi si prende e basta, lasciando in cambio malattie, sottosviluppo, marginalità.
Certo, per anni la raffineria ha “dato occupazione”, e nonostante l’attuale flessione continua a darne: frenando quel processo di coscientizzazione che invece è più diffuso altrove. Si intravedono, però, delle forme di resistenza, drammatiche, grottesche, minoritarie ma anche consapevoli e pazienti, come è di solito la resistenza al femminile.
L’economia del profitto
Esse tuttavia restano ancorate alla protesta contro la singola industria inquinante, una mera preoccupazione ambientale che non ha ancora la maturità di percepirsi parte di un processo molto grande, quello dell’Europa in crisi e, più in là, del sistema globale. Una resistenza che è nella sostanza contro l’economia del profitto nel suo paradigma estrattivo legato ai fossili.
Un sistema che proietta ormai sui singoli corpi umani tutti i suoi drammi.
Dalla Colombia alla Sicilia
Le trivellazioni sono l’inizio di un processo che ha il suo approdo nella raffinazione, in un modello di sviluppo reso ostaggio del petrolio, da Pozzallo a Gela, dalla Colombia a Milazzo.
E come il movimento NO TRIV è un caso di resistenza post-moderna legata alla sensibilità ecologica, quello dei poli petrolchimici rappresenta, a Milazzo come già a Gela, in forme di sudditanza o di opposizione, la nuova “lotta di classe”: dove i simboli che si scontrano sono il nuovissimo Dio Petrolio e l’antica Madonna della Catena.