venerdì, Novembre 22, 2024
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“Non vedo, non sento e parlo d’altro”

IL DIO PETROLIO E NOI ESSERI UMANI

di Olga Nassis

Fernand Braudel parlava della Sicilia come di un “continente in miniatura” coi tratti di un microcosmo, un os­servatorio privilegiato delle dinamiche di scambio e conflitto fra culture. Una meta­fora, oggi, della relazione tra so­cietà e ca­pitale. Tre millenni di colonizzazio­ne: greci, arabi, Savoia. Sembrava finita con i Borboni e invece è arrivata l’Eni e al suo seguito Terna ed Edi­power.

I greci arrivavano con le trire­mi, gli ara­bi con le navi lancia­fuoco, i Savoia con mille colorati uomini grazie ad una astuta intui­zione di Crispi. L’Eni arri­va a suon di decreti e autorizzazioni in de­roga, sblocca-Italia, art.38, protocollo Mise, con­venzioni e ‘compen­sazioni’, con l’aperta complicità di ammi­nistrazioni lo­cali ormai svuotate e di una “autonomia” eterodiretta, ri­pescata solo per agevolare l’ingresso dei coloni con sconti percen­tuali e tappeti rossi.

Sulle coste meridionali si profila uno sce­nario di trivel­lazioni che accomuna tut­to il baci­no del Mediterraneo, dalle Cana­rie alla Grecia, dove di ritorni economici e occu­pazionali non si vede neanche l’ombra, mentre si vedono fin troppo bene i danni irrepa­rabili prodotti all’ecosistema ed alle economie tradizio­nali.

Sulla costa tirrenica, nel messinese, in un’area di appena venti chilo­metri c’è tut­to un accanimento di industrie inquinanti: Raffineria, Terna (con elettrodotto da 380 Kv), Centrale ter­moelettrica (da convertire a combustione di rifiuti).

Il vecchio modello di sviluppo

Un fatto locale? Nient’affatto, è il vec­chio modello di svi­luppo che Pierroux chiamava “polarizza­zione”, dove un polo dominante – quello della raffinazione – apre la via a tutti gli altri, un po’ come le triremi greche aprirono la strada alla colonizza­zione.

Solo che i greci espor­tavano anche mo­delli culturali, conoscenza, saperi. Oggi si prende e ba­sta, lasciando in cam­bio ma­lattie, sottosvilup­po, marginalità.

Certo, per anni la raf­fineria ha “dato occupa­zione”, e nonostan­te l’attuale flessione conti­nua a darne: fre­nando quel processo di co­scientizzazione che invece è più dif­fuso al­trove. Si intra­vedono, però, delle forme di resi­stenza, drammatiche, grotte­sche, minorita­rie ma anche consapevoli e pazienti, come è di solito la resistenza al femminile.

L’economia del profitto

Esse tuttavia restano ancorate alla prote­sta contro la sin­gola industria inquinante, una mera preoc­cupazione ambientale che non ha ancora la maturità di percepirsi parte di un processo molto grande, quello dell’Europa in crisi e, più in là, del sistema globale. Una resistenza che è nella sostan­za con­tro l’economia del profitto nel suo para­digma estrattivo legato ai fossili.

Un siste­ma che proietta ormai sui singoli cor­pi umani tutti i suoi drammi.

Dalla Colombia alla Sicilia

Le trivellazioni sono l’inizio di un pro­cesso che ha il suo approdo nella raffina­zione, in un modello di sviluppo reso ostaggio del petrolio, da Pozzallo a Gela, dalla Colombia a Milazzo.

E come il movimento NO TRIV è un caso di resistenza post-moderna legata alla sensibilità ecologica, quello dei poli pe­trolchimici rappresenta, a Milazzo come già a Gela, in forme di sudditanza o di op­posizione, la nuova “lotta di classe”: dove i simboli che si scontrano sono il nuovissi­mo Dio Petrolio e l’antica Madonna della Catena.

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