“Non è successo niente”: a Reggio Emilia storia di roghi, mafie e studenti-reporter minacciati
La presenza della criminalità organizzata, in primis la ‘ndrangheta, temi taciuti a livello di dibattito pubblico, vittime di reati dolosi che non solo non parlano degli abusi subiti, ma tentato di convincere – a volte con intimidazioni – dello stesso anche chi invece vorrebbe raccontare. Siamo a Reggio Emilia, piena pianura padana, e qui nel 2009 un gruppo di studenti delle scuole superiori dà vita a Cortocircuito, un giornale che punta a diventare una web tv. E che oggi presenta una videoinchiesta di 20 minuti in cui, degli argomenti di cui sopra, ha fatto il proprio focus. Pagandone le conseguenze, in termini di minacce e percosse alle apparecchiature di ripresa.
Il documentario si intitola Non è successo niente. 40 roghi a Reggio Emilia, è stato girato dal giovanissimo regista Elia Minari mentre le riprese sono degli altrettanto giovani Federico Marcenaro e Riccardo Pelli e le immagini ripercorrono la storia dell’ultimo anno, sostanzialmente da settembre 2012 allo stesso mese del 2013. Storia da cui sembra emergere “una guerra”, come viene detto nel corso del filmato, “che si manifesta in decine e decine di incendi a danno di cantieri edili, automobili, camion, aziende, locali notturni e abitazioni”. Non tutto deve essere interpretato nell’ottica mafiosa, avvertono gli inquirenti, ma sicuramente si tratta di fenomeni sui quali l’attenzione deve rimanere alta, concordano il procuratore di Reggio Emilia, Giorgio Grandinetti, e il capo della squadra mobile, Domenico De Iesu.
Anche perché, laddove l’ipotesi del dolo si fa più stringente, passati legami con la criminalità organizzata, per quanto in alcuni casi sfociati in assoluzioni, restano. E l’episodio più rilevante è quello la mattina dello scorso 30 luglio, quando una troupe di Cortocircuito esce per andare a riprendere i luoghi di alcuni incendi. Però, quando i ragazzi si muovono, decidono di fermarsi in via Bazzani, periferia sud-est di Reggio Emilia. La notte prima, infatti, il cantiere della Costruzioni Gb, di proprietà del cutrese Gaetano Blasco, ha subito un attentato che ha lasciato annerite le facciate delle quattro villette a schiera in via di edificazione.
Da lì ne esce un uomo che non si qualifica e che manifesta nervosismo contro i ragazzi di Cortocircuito. “Non dovete fare nessuna foto, non è successo niente”, si sentono dire. E poi, in un crescendo di ostilità, la minaccia finale. “Se vedo qualcosa sul giornale, vi vengo a prendere fino a casa”. Infine, dal cantiere, iniziano a giungere altre persone e allora i ragazzi tornano alle loro auto per dirigersi verso la loro destinazione originaria. “Ma qui abbiamo avuto una sorpresa”, ha rievocato Elia Minari. “Ci siamo accorti infatti che è arrivato un furgoncino con il cassone scoperto sul quale c’erano gli uomini del cantiere che avevamo appena lasciato”. Erano stati seguiti.
Già a metà estate gli studenti-reporter di Reggio Emilia non si erano fatti intimidire e oggi – realizzata l’intera inchiesta e presentata nei giorni scorsi nella Sala del Tricolore della loro città con le autorità locali e con il magistrato Marco Imperato e il coordinatore nazionale di Avviso Pubblico Pierpaolo Romani, a propria volta oggetto di minacce mafiose – ribadiscono il loro intento. “Vorremmo sfatare un diffuso luogo comune”, dicono i ragazzi. “Secondo noi le mafie a Reggio non si combattono seguendo i cognomi calabresi. Perché se la matrice spesso è quella, il punto d’arrivo va ben oltre. Lo dimostrano le interdittive antimafia che ultimamente sono state indirizzate anche ad aziende reggiane, aziende apparentemente insospettabili. Il primo passo per combattere la criminalità organizzata è l’informazione. A nostro avviso, se non si conoscere un fenomeno è impossibile contrastarlo”. E promettono di continuare, nella conoscenza e nell’informazione.