Noi, vent’anni dopo
Io avevo dieci anni quando Falcone è stato ucciso, non mi ricordo dov’ero e cosa stessi facendo, mentre voi si. E vi ricordate tutte le cose dette, scritte, le immagini. Io le ho ricostruite piano piano, mescolandole a qualche flash di cose personali. Quello che so è che in questi venti anni successivi qualsiasi cosa io abbia fatto collegata alla Sicilia o all’antimafia in senso ampio ho sempre incontrato quelli che avevano dieci anni quando ci sono state le stragi. Chi 8, chi 9, ma insomma ci siamo ritrovati in giro per l’Italia. Ci siamo riconosciuti, toccati, tenuti per mano (quando abbiamo fatto per una volta gruppo su quel treno) ci siamo scritti. Ci siamo divisi e spesso ancora oggi non la pensiamo allo stesso modo sul da farsi. Io non ne avevo consapevolezza sino ad alcuni anni fa, quando al campeggio di Itaca qualcuno ci ha detto “siete ciclici”.
Allora ho capito che eravamo una generazione (non tanto per l’età) quanto perchè eravamo stati segnati da un fatto: abbiamo respirato le stragi, chi da Palermo (Peppe Maggio che oggi vuole fare il politico e vive all’estero è di Palermo e mi disse un giorno riferendosi alla strage “io di quel giorno ho un ricordo olfattivo, la puzza di pelle bruciata che sentivi in tutta Palermo, non me la dimenticherò mai”) chi da Messina, chi da Agrigento, chi da Catania. Io ricordo, nei due – tre anni successivi – a scuola la “pressione” di insegnanti, relatori, gente che veniva a dirci che la mafia era una cosa brutta e che questi due eroi erano morti uccisi dai mafiosi.
Una roba di buoni e cattivi era una cosa che provavano a imprimerci a forza quasi fosse obbligatorio dopo le stragi, in maniera un po’ goffa con i loro atteggiamenti quotidiani (nel senso che tutto procedeva alla vecchia maniera anche a scuola) ma sembrava avessero paura di perderla, dentro quelle stragi, la mia generazione. Così anche i professori più mafiosi sino alle medie fra film e libri, provavano a farci parlare di mafia. Oggi mi rendo conto che era solo una risposta isterica in un momento d’emergenza nazionale che nemmeno i “grandi” sapevano in realtà gestire.
Noi, vent’anni dopo. Loro hanno ucciso i due magistrati simbolo della lotta alle mafie mettendo bombe come fossero a Beirut ma mentre uccidevano loro e una parte della nostra innocenza forse moriva un po’ con loro, siamo nati noi. E siamo diventati profondamente antimafiosi, in maniera irreversibile. Non siamo stati abbastanza bravi da chiudere la porta in faccia alla mafia quando ci ha offerto lavoro, forse.
Non sappiamo riconoscere i mafiosi quando sono in giacca e cravatta, è possibile, certo. Ma niente è stato più lo stesso dopo quegli anni, siamo cresciuti diversi dai nostri fratelli e le nostre sorelle che erano già più grandi di noi, e siamo cresciuti diversi da quelli successivi che sono arrivati a scuola quando non se ne parlava più. Lo so forse è un discorso che vale per molte altre storie che hanno segnato generazioni, la morte di Pippo Fava ha segnato per esempio la generazione precedente alla nostra.
Poi c’era stato il silenzio. In questi ultimi anni sta tornando una generazione simile alla nostra e la cosa bella è che non ci sono state bombe a provocarla. A marchiarla in maniera indelebile, com’è stato per noi.
I Siciliani giovani
(Norma Ferrara)
PS – così scrivevamo sino al 19 maggio, prima di Brindisi. Prima di salutare Melissa.
ultimo anno delle elementari. Tema. Svolgimento. La maestra aveva cambiato tematiche. Ricordo i cinema di paese pieni di gente, la scorta che accompagnava Caponnetto, la stretta di mano decisa e delicata che si può dare ad una bambina. E’ stato come gettare un seme in terra fertile.
Sono belle queste pagine!