domenica, Novembre 24, 2024
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Nicola Nappo, non doveva morire! Ergastolo per il mandante

 

Qualcuno pensa che a Napoli e in Campania sia una cosa semplice, per un giovane di 23 anni, stare su una panchina in una piazza a parlare con una ragazza? Oppure stare sotto casa in auto a parlare con gli amici? Fermarsi pochi minuti al bar, rimanendo a bordo del motorino a parlare con un amico? Qualcuno pensa che qui si possa dare un bacio alla fidanzata e scendere per andare a giocare una partita di calcetto con gli amici ed essere certi che domani la rivedi? Pensate che qui sia possibile andare a prendere il proprio bambino all’asilo ed essere certi di arrivare insieme a casa, dove vi aspetta un’altra figlia ed il marito? Qualcuno pensa che queste semplici cose si possano fare con la spensieratezza con cui si fanno in altre città d’Italia? Se la vostra risposta è si, allora vi sbagliate! Qui tutte queste cose, altrove considerate normali, non si possono fare, senza avere la paura che la camorra, scambiandoti per un altro, ti uccida. E quante volte è successo? Tante, tantissime volte, per essere considerate un caso, una fortuita coincidenza. Gli innocenti si chiamavano Pasquale Romano, Dario Scherillo, Luigi Sequino, Paolo Castaldi, Silvia Ruotolo e l’elenco potrebbe continuare. Uno di loro si chiamava Nicola Nappo, aveva solo 23 anni e la sera del 9 luglio del 2009 è stato ucciso a Poggiomarino, una piccola località a sud di Napoli, mentre nella piazza del paese era in compagnia di una ragazza. Ma Nicola non doveva morire. Si proprio come Pasquale Romano, Dario Scherillo, Gigi Sequino, Paolo Castaldi e Silvia Ruotolo, anche Nicola Nappo non doveva morire. O meglio il bersaglio doveva essere un’altra persona, un certo Carmine Amoruso, un pregiudicato legato al clan dei Giugliano – Fabbrocino, operante nella zona. Così aveva stabilito il camorrista Antonio Cesarano, legato al clan rivale dei Sorrentino. Carmine Amoruso era stato condannato a morte, perché alcune settimane prima aveva litigato con un certo Sebastiano Sorrentino, figlio del boss Giuseppe. Non occorre molto qui, dove regna la legge della camorra, per essere condannati a morte. Basta litigare con qualcuno, basta invadere il territorio considerato terra di conquista dal clan rivale, basta spacciare dove non devi e sei morto. Ma può accadere di essere a rischio anche se scrivi libri o cerchi notizie perché il tuo mestiere è quello del giornalista.

Quale è stata la colpa di Nicola? Somigliare a Carmine Amoruso il coetaneo che doveva morire per ordine del boss. E poi, Nicola, che era anche un bel giovane, la sera del suo assassinio, su quella maledetta panchina, era in compagnia di una ragazza sbagliata, che fino a qualche tempo prima era stata la fidanzata proprio di Carmine Amoruso, quello che doveva morire. Per il killer incaricato, magari imbottito di sostanze stupefacenti, come di solito accade quando si va a commettere omicidi del genere, sbagliare bersaglio è stato davvero un gioco da ragazzi.

L’assassinio di Nicola Nappo non fece clamore. Solo pochi titoli su qualche giornale locale, con notizie pure sbagliate e niente più. Nicola, dopo essere stato ucciso, venne descritto come un boss o comunque un poco di buono finito in un giro troppo grande per lui. Nicola, invece, non solo non era un capoclan, ma non era neppure un piccolo delinquente. E anche questo, purtroppo, in terra di camorra, è un cliché che chi viene ucciso per errore e le loro famiglie devono sopportare. È successo praticamente sempre! A chi poteva importare della morte di un ragazzo, figlio di povera gente di un piccolo paese dell’hinterland napoletano? A pochi! Nicola è stato ucciso e con lui, noi che l’abbiamo conosciuta possiamo testimoniarlo, è morta anche tutta la sua famiglia. È una famiglia di quelle semplici quella di Nicola. Non sa muoversi nei complicati iter giudiziari. La mamma Elisabetta, che in faccia porta scolpiti i segni del dolore, ma anche quelli del duro lavoro nei campi, non si dà pace, stimola il marito Mario a fare qualcosa, ad andare dai Carabinieri per avere notizie, ma ad Antonio, Andrea e Giulia, gli atri suoi tre figli, dice sempre che devono continuare ad essere onesti come Nicola.

Ma Elisabetta, Mario, Antonio, Andrea e Giulia non sono del tutto rimasti soli. Qualcuno si è continuato a prendersi cura di loro, a seguirli, a dargli una parola di conforto, quando si è reso necessario. Certo avremmo potuto fare di più, ma ci siamo stati. Ma soprattutto ci sono state le Forze dell’Ordine e la Magistratura, che hanno continuato a seguire le indagini sulla morte di Nicola e dopo tre anni finalmente una svolta, con il pentimento dello stesso Carmine Amoruso (quello che “doveva” morire, e l’arresto di Antonio Cesarano)

Finalmente un processo per gli assassini di Nicola Nappo. Un processo a cui i familiari di Nicola non sono mancati mai ed al loro fianco, con discrezione, noi, con la nostra Tiziana Apicella – che si occupa dell’area vittime della Fondazione Pol.i.s. ed il nostro avvocato Celeste Giliberti che ha sostenuto la costituzione in giudizio della stessa Fondazione. Un processo che si è concluso in primo grado proprio ieri 22 gennaio 2014, con la condanna all’ergastolo di Antonio Cesarano, quale mandante dell’omicidio. La famiglia di Nicola, come sempre, era lì a rendere onore a Nicola. “Siamo un po’ sollevati, però, dai, dobbiamo essere ottimisti!”, mi scrive su Facebook il fratello Andrea, dopo qualche ora. Certo, caro Andrea, siamo tutti un po’ sollevati e dobbiamo essere ottimisti, perché la giustizia, ancora c’è e rende onore agli innocenti come Nicola.

salvatore.ognibene

Nato a Livorno e cresciuto a Menfi, in Sicilia. Ho studiato Giurisprudenza a Bologna e scritto "L'eucaristia mafiosa - La voce dei preti" (ed. Navarra Editore).

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