Neutrini: ottant’anni di ricerche
Parte I/ Dall’ipotesi di Pauli (1930) alla prima rivelazione (Cowan e Reines, 1956)
Nel mare Jonio, al largo di Portopalo, si sta procedendo alla costruzione di un gigantesco sistema di rilevamento di neutrini che, una volta completato, sarà probabilmente il più grande del mondo. Esistono in varie parti del mondo sistemi di rilevamento dei neutrini e nei prossimi anni ne saranno costruiti altri.
Per illustrare un’attività che si svolge anche in Sicilia e coinvolge ricercatori, università e istituzioni di ricerca siciliane (e non solo), conto di pubblicare su questa rivista una serie di servizi su alcune di queste ricerche, inquadrandole nel loro svolgimento storico a livello internazionale.
Il neutrino è una particella elementare, denotata col simbolo ν; le sue principali proprietà note oggi sono riportate nella allegata Scheda sulle proprietà dei neutrini. Alla conoscenza di queste proprietà si è pervenuti nell’arco di poco più di ottant’anni, trascorsi da quando l’esistenza di questa particella fu ipotizzata da Wolgang Pauli fino ad oggi.
L’antineutrino fu rivelato per la prima volta nel 1956 da Clyde Cowan e Fred Reines, quando ancora il neutrino non era stato rivelato. A quel tempo non era chiaro neppure agli stessi Cowan e Reines che la particella che essi avevano poco prima osservato era l’antineutrino, di cui si ignorava l’esistenza, e non il neutrino.
L’ipotesi del neutrino era stata fatta da Pauli per spiegare uno “strano” fatto, di cui dirò tra poco, che si manifestava nel decadimento β, decadimento che fu osservato per la prima volta da Ernest Rutherford nel 1899.
In questo tipo di decadimento, che in alcuni nuclei è indotto mediante il bombardamento fatto con opportuni fasci di corpuscoli e in altri si verifica spontaneamente, furono osservate delle particelle che Rutherford chiamò “beta” e che, come si vide in seguito, si potevano identificare con gli elettroni che erano già noti ed erano già stati osservati qualche decennio prima (la parola “electron” per designare quelle particelle cariche che in Italiano si chiamano “elettroni fu proposta da George Francis Fitzgerald nel 1871).
A partire dal 1926 Enrico Fermi con i suoi collaboratori all’Università di Roma iniziò uno studio sistematico della fisica del nucleo. Questa scelta lo portò tra l’altro a studiare il decadimento β.
In occasione del congresso Solvay che ebbe luogo a Bruxelles nel 1933 e al quale parteciparono alcuni dei maggiori fisici del tempo, tra i quali quelli che riguardano la presente esposizione furono Fermi, i coniugi Frédéric e Irène Joliot-Curie (chimici oltre che fisici), Pauli, Rudolf Peierls e Rutherford, si parlò anche di decadimento β; dai risultati sperimentali appariva che l’energia totale nella maggior parte degli eventi osservati non era conservata, perché il suo valore prima del decadimento risultava maggiore del suo valore dopo il decadimento.
Questo fatto aveva indotto Pauli a formulare fin dal 1930 l’ipotesi che nel decadimento β una particella non osservata fosse presente nello stato finale e avesse l’energia che sembrava si fosse “perduta”. Seguendo una proposta fatta da Fermi al congresso Solvay del 1933 questa ipotetica particella fu chiamata “neutrino”.
Successivamente si vide che, se il neutrino esisteva, allora la sua energia doveva essere compresa tra zero e un certo valore massimo, perché il valore dell’energia dello stato finale, nei vari eventi rilevati, non era costante ma risultava compreso tra due certi valori che dipendevano dal decadimento considerato.
All’inizio l’unico argomento in favore della ipotesi del neutrino era che essa evitava la violazione di alcuni principi di conservazione (oltre a quello dell’energia ce n’erano altri ad essere violati), principi che, ad eccezione del decadimento β, erano in accordo con tutte le osservazioni sperimentali fatte da alcuni secoli, (io aggiungo che questo accordo qualche volta era stato ottenuto “inventando” delle opportune forme di energia, per es. l’ energia potenziale nella meccanica dei sistemi conservativi e l’energia interna in termodinamica). Per questa ragione fino ai primi anni ’30 del secolo scorso alcuni fisici ritenevano che l’ipotesi del neutrino non fosse fondata su una base solida.
Dopo il congresso Fermi, assunta l’ipotesi del neutrino, ne dedusse varie conseguenze che espose in un articolo intitolato “Tentativo di una teoria dei raggi beta” che inviò alla rivista Nature; ma il direttore della rivista non volle pubblicare l’articolo, perché le ragioni per ipotizzare l’esistenza del neutrino non gli parvero sufficienti. Allora Fermi inviò l’articolo alla rivista Il Nuovo Cimento, che lo pubblicò (Il Nuovo Cimento, II, 1934, p. 1-19).
Negli anni seguenti furono osservate varie modalità del decadimento β, in alcuni casi veniva emesso un elettrone, in altri la sua antiparticella, chiamata positrone, che era stata osservata per la prima volta da Carl Anderson nel 1932 in altre circostanze. Nel decadimento β si osservava che cambiava il numero atomico dell’elemento che decadeva, mentre il numero di massa non cambiava, più precisamente quando veniva emesso un elettrone, che ha una carica elettrica di – 1,602 x 10 -19 C, la rimanente parte del sistema che decadeva acquistava una carica positiva di 1,602 x 10 -19 C , e nel decadimento scompariva un neutrone e compariva un protone, mentre quando veniva emesso un positrone, che ha una carica elettrica di 1,602 x10 -19 C la rimanente parte del sistema che decadeva acquistava una carica elettrica negativa di – 1,602 x10 -19 C, e nel nucleo che decade va scompariva un protone e compariva un neutrone; quindi nel decadimento β la carica elettrica risultò essere una grandezza conservata e ciò comportava che la carica elettrica del neutrino, se esso esiste, deve essere nulla. Lo spettro dell’energia osservata dell’elettrone o del positrone emessi era in buon accordo con la teoria di Fermi.