giovedì, Gennaio 30, 2025
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Nel nome del Padrone

All’Opera Diocesana Assistenza centinaia di lavoratori senza stipendio da mesi.

Quasi un anno fa con I Siciliani giovani abbiamo iniziato a preparare un’inchiesta sull’Opera Diocesana Assistenza di Catania. Abbiamo iniziato a sentire lavoratrici, sindacaliste e anche l’Arcivescovo di Catania, Luigi Renna. Dall’Oda nessuna risposta. Un anonimo centralinista ci ha insistentemente ripetuto che non avremmo potuto prendere contatti con l’amministratore, se non tramite email. Ma all’email nessuno ha mai risposto. Noi continuiamo la nostra inchiesta. Ascoltando testimonianze e raccogliendo informazioni su come un ente ecclesiastico abbia potuto accumulare milioni di euro di debiti. Una voragine finanziaria che oggi pagano dipendenti e utenti. Colpa delle troppe assunzioni clientelari? Colpa di sprechi nella gestione? O c’è qualcos’altro? Dove sono finiti i milioni di euro che mancano all’Oda? Noi continuiamo a cercare delle risposte.

Nel frattempo però all’Opera diocesana assistenza, ente controllato interamente della Curia Arcivescovile di Catania, centinaia di lavoratrici e lavoratori continuano a lavorare senza prendere lo stipendio. Così, mentre cerchiamo risposte alle domande, alcune storie vanno raccontate.

Quelle di chi si sveglia all’alba, prende la macchina, e fa una trentina di chilometri, 10 euro di benzina al giorno, per andare a lavorare. Quelle di chi si prende cura di chi è più fraglile, più vulnerabile, più complicato. Le storie di chi sta per ore a tentare che nessuno si faccia male, che le giornate possano avere un senso, che le terapie si seguano alla lettera. Le storie di chi dopo 36 ore di lavoro a settimana, senza contare gli straordinari, senza contare le notti, non prende stipendio.

Lavorare senza prendere lo stipendio significa vivere ogni giorno con frustrazione e umiliazione. Lavorare tutto il giorno per non avere i soldi per fare la spesa, per comprare un vestito, per andare a mangiare fuori, per fare un regalo alla persona che ami. Lavorare senza stipendio significa accumulare debiti, con tutti. E chiedere soldi in prestito, a chiunque. “Prima o poi l’Oda pagherà e te li restituirò” è il mantra di chi lavora all’Oda. Prima due, poi tre, poi quattro, a volte cinque mesi di attesa prima di ricevere uno stipendio.

L’Arcivescovo dice che all’Oda si rispettano i contratti e che quei soldi prima o poi arriveranno, dice che bisogna capire la condizione finanziaria dell’Oda e bisogna preferire il ritardo dei pagamenti al fallimento, ai licenziamenti.

Con cristiana obbedienza bisogna aspettare. Con senso di responsabilità bisogna aspettare. Per proteggere il proprio posto di lavoro bisogna aspettare. Nell’attesa centinaia di lavoratrici e lavoratori appaiono come naufraghi travolti dalle onde, capaci di tenersi a galla solo grazie a un appiglio, una boa, un’asse di legno, un salvagente di fortuna. Fuori dalla metafora sono mogli, madri, amici, strozzini, mariti violenti, odiosi parenti, figli. Appigli che ti consentono di continuare a vivere, lavorando sei ore al giorno senza prendere alcuno stipendio. Il naufragio della dignità.

Le rivolte dei lavoratori, sporadiche e impaurite, sono subito sedate attraverso tre infallibili strumenti: il ricatto di chiudere, il ricordo dell’assunzione clientelare, il prestigio politico dell’Arcidiocesi.

Nello sfarzo dei palazzi della Curia di Catania, delle centinaia di parrocchie, tra i diamanti della Patrona e le consistenti donazioni dei devoti a Sant’Agata, la Chiesa non trova i soldi per pagare chi lavora. Le parole delle belle omelie appaiono vuote.

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