Necrologio di corte per il boss
L’unica notizia certa è che ieri è morto uno dei capi della mafia a Catania. Ma i lettori del quotidiano di una grande città italiana – come Catania – l’hanno letta in altro modo. Ieri, quotidiano “La Sicilia”, Catania, fine di luglio 2012, venti anni dopo le stragi del 92 a Palermo, 28 anni e mezzo dopo il delitto del giornalista Giuseppe Fava, nel pieno di una furiosa polemica sulla “presunta” trattativa tra Stato e mafia. La notizia è la morte di Giuseppe Ercolano, ex detenuto in 41 bis.
Svolgimento: sulla seconda pagina del fascicolo dedicato alle cronache della città, fa capolino, a quattro colonne, questa cronaca non firmata. Titolo: “E’ morto Giuseppe Ercolano, reggente provinciale del clan”. Occhiello: “Era cognato di Nitto Santapaola e padre dell’ergastolano Aldo Ercolano”. Sommarietto: “ <Battezzato> uomo d’onore nella prima metà degli anni 70, ricoprì sin da allora ruoli apicali nella conduzione della vita della famiglia mafiosa catanese”.
Ercolano è un vecchio capo clan, suo figlio sconta il carcere a vita (come il cognato) in 41 bis per l’assassinio di Pippo Fava.
La cronaca che segue ha i toni di un omaggio alla memoria, nel linguaggio e nei toni. Esempio: “Ha ricoperto la carica di consigliere della famiglia catanese di Cosa nostra nei primi anni ‘80” e specifica “partecipando per tale ragione all’adozione delle decisioni di maggiore importanza per la vita del clan”.
L’articolo enumera nel dettaglio le attività della famiglia: “la <famiglia> aveva interessi variegati”. Quali? “Soprattutto nel ramo dei trasporti” e – “secondo le accuse”, nota il redattore anonimo de la Sicilia – “con un altro boss storico, gestiva il settore economico di Cosa nostra a Catania e provincia”.
Questo passa la cronaca dell’unico quotidiano in edicola a Catania, pagina due di uno dei principali giornali del sud. Questa cronaca è una strana via di mezzo tra un necrologio e un coccodrillo.
Una biografia decontestualizzata (e non autorizzata) di vecchio boss mafioso. Ercolano è morto nel suo letto, avverte il cronista, e per una “grave malattia”. C’è un modo asettico di segnalare la morte di qualunque uomo. Ovviamente anche Ercolano ha diritto a un necrologio, ma non a un “santino”, senza tempo, né passato, presente e futuro.
In questa cronaca di ieri su “la Sicilia” i toni usati sono adatti piuttosto alla scomparsa di un benemerito membro di cda o a un capitano d’industria (ma certo, a Catania, imprese ce ne sono poche e non floride, Cosa nostra a parte) o a un noto avvocato-principe del foro. Invece quella uscita ieri sul giornale di Catania è una sorta di sradicato “coccodrillo”, la prosecuzione – con altri metodi e obiettivi – di quei necrologi affissi per strada: “ E’ morto Pippo Ercolano, grande esempio per la famiglia”. I paesi e le città meridionali ne sono tappezzati.
Così da ora in poi, da ex catanese, mi aspetto che quelle pagine siano sommerse da cronache simili e contrarie. Quando dieci anni fa morì, ad esempio, il notaio Gaetano Libranti, catanese emerito, vecchio borghese, ex consigliere comunale, decano del notariato italiano e sostenitore del giornale di Giuseppe Fava mi aspettavo un articolo simile (almeno nelle dimensioni).
Così come l’anno scorso in morte di Titta Scidà, prestigioso magistrato minorile, critico sulle corruzioni a palazzo di giustizia e attento al recupero dei ragazzi delle periferie esposti alla cooptazione mafiosa, mi attendevo due righe e quattro colonne. Ma queste altre cronache sulla morte di galantuomini non sono mai uscite. Così colgo io l’occasione per colmare queste lacune.
Da Roma e su altre colonne.
(Fattoquotidiano 1° agosto 2012)