giovedì, Novembre 21, 2024
-rete-CronacaCulturaGiornalismoInchiesteIntervisteSocietàStorie

Napoli – Le vulute ‘a bicicletta? e mo’ pedala

Sii il capo di te stesso!’, ‘Scegli tu quando lavorare!’

Justeat, Ubereats, Deliveroo, Glovo: ai napoletani è bastato poco per capire che i loro slogan sono le premesse di un nuovo sfruttamento.

A Napoli sono numerosi quelli che hanno preso a lavorare le aziende di food delivery con la speranza di uscire dal circuito del lavoro nero, cercando più tutele e flessibilità. Antonio Prisco è un biker, cioè un fattorino in bici, e lavora da quattro mesi per Deliveroo. Lui e i suoi colleghi hanno fondato il sindacato Riders per Napoli – Pirate Union. Lo abbiamo incontrato il 2 maggio per discutere della situazione napoletana:

“Io sono un precario del mondo del turismo, lavoro incoming a Corfù come agente turistico nei due, tre mesi dell’estate. Chiaramente, quando ritorno qua, tra tutta un’altra serie di attività che faccio, ho visto la situazione del riders e ho pensato subito di non volerlo fare a trentacinque ore alla settimana, però dodici ore o quindici ore sembravano accettabili con i presupposti che loro vendevano. Il progetto che loro vendono è totalmente difforme dalla realtà: io vengo controllato, mi vengono assegnate le ore. Mi dicono dove andare a prendere e dove consegnare. L’unico presupposto di autonomia sta nel fatto che non mi pagano i contributi!”

I riders che lavorano per le società di food delivery sono inquadrati come lavoratori autonomi, eppure è l’algoritmo a dettare turni di lavoro e ritmi di produttività. L’algoritmo si occupa anche di assegnare gli ordini al singolo lavoratore: ogni città è suddivisa in aree, ma la suddivisione non rispetta alcun criterio compatibile con la reale conformazione del territorio.

“Nel caso di Deliveroo la città è divisa in due zone – continua Antonio – Napoli 1 comprende un’area che parte dal Rione Luzzati e arriva fino al Vomero. Io vado in bici, immagina quando mi arriva un ordine al Vomero del tipo ‘Prendi la pizza da Di Matteo e portala al Vomero’: ci posso mettere pure quarantacinque minuti con un rischio di infarto. Quando dico rischio di infarto non è una battuta perché proprio il ventiquattro aprile è successo a San Pietroburgo che un ragazzo, dopo dodici ore di consegne, è morto di infarto. Aveva ventuno anni. C’è da parte delle aziende una mancata consapevolezza di come è formato il territorio in sé per sé. Perché unire il Vomero con un’altra parte collinare come Posillipo avrebbe senso, ma unire Posillipo con Bagnoli e Fuorigrotta, così come è stato fatto per Napoli 2, è una follia. Questo denota l’assenza di persone che conoscono realmente come è fatta la città”.

Il lavoro si basa sui dettami dell’algoritmo: questa relazione con la propria applicazione, assieme alla competizione causata dal punteggio personale (ranking), ha finito per rendere i lavoratori particolarmente isolati. Per rispondere a questo, a Napoli come in altre città i riders hanno creato una rete sindacale per rendere visibili le loro rivendicazioni: “Siamo un multimondo di ventisette riders. C’è il padre di famiglia che fa trentacinque ore a settimana, perché ha una moglie e due figli, tanti che prima facevano i fattorini per le pizzerie e prendevano venti euro per sei ore il sabato sera. Ad oggi dicono ‘Io in sei ore guadagno trentacinque, quaranta euro. È vero che se mi faccio male è un guaio, ma oggi guadagno di più di quando mi facevo sfruttare nella pizzeria di turno’. Noi abbiamo creato questa rete e (questa cosa fa un po’ ridere) facciamo riunione all’una di notte, a fine turno. Ci vediamo o a Piazza Municipio o a Piazza Garibaldi, ci sediamo e discutiamo di questa situazione. All’inizio avevamo provato alle sei del pomeriggio, ma poi capitava che a qualcuno arrivava un ordine e doveva scappare. Sai, per non fare abbassare il ranking!”.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *