sabato, Novembre 23, 2024
CronacaPaesiPeriferie

Morire in strada a 14 anni. Una “normalità” assassina

Peppe Cunsolo, 14 anni, è stato trovato in mezzo alla strada il 28 gennaio, solo. Si indaga sulla sua morte, tra omertà e passioni negate: era uno dei Briganti, squadra di rugby a cui il Comune ha negato il campo San Teodoro

Quattordici anni li avrebbe compiuti un mese dopo la sua morte, avvolta nel mistero. Il piccolo Peppe Cunsolo era uno dei Briganti, la squadra di rugby di Librino, e il giorno di San Valentino, quando è morto dopo due settimane di coma, i suoi genitori hanno deciso di donare gli organi. La decisione dei genitori – si è letto sul quotidiano locale – è stata «nobile, non tutti l’avrebbero fatto».

Le sofferenze della giovane madre, e del padre detenuto nel carcere dell’Ucciardone a Palermo che non ha potuto partecipare ai funerali del figlio, sono intuibili. Ma troppo poco s’è detto di cosa ha ucciso Peppe: forse non è stato un incidente stradale. Le uniche certezze sono una misteriosa targa automobilistica e un rapporto del 118: «Il piccolo Peppe Cunsolo è stato trovato solo, in mezzo alla carreggiata e senza la presenza di veicoli attorno». Peppe è stato raccolto dal viale Castagnola, la strada più trafficata di Librino, intorno alle 15.40 del 28 gennaio, è stato trasportato al pronto soccorso dell’ospedale Garibaldi, dove è arrivato alle 16.16 in condizioni gravissime.

Sul caso la procura etnea ha aperto un fascicolo. Il sostituto procuratore Salvatore Faro ha disposto l’autopsia, eseguita lunedì 20 febbraio, «perché – ha spiegato – non è sicuro che si sia trattato di un incidente». L’esame esterno era già stato effettuato, ma non sono emersi elementi utili. «E’ passato troppo tempo dal fatto, aspettiamo i risultati dell’autopsia», ha affermato il procuratore capo Giovanni Salvi. Che ha aggiunto: «Purtroppo fin dal primo momento si è pensato ad un incidente e quindi non sono state fatte ulteriori analisi e indagini».

«L’ultima volta che l’ho visto è venuto al campo, chiedendo di giocare con i suoi modi irruenti “fozza, cc’ha fari?”, e abbiamo litigato. Anche per come ci siamo lasciati qualche mese fa, oggi sto male». Piero Mancuso, fondatore dei Briganti Rugby, non nasconde la sua rabbia per la morte di Peppe. È stato uno dei ragazzi della squadra fino al 2009, quando i Briganti non hanno più potuto allenarsi al campo San Teodoro, consegnato dal Comune alla società del Catania per un progetto di scuola calcio mai avviato.

Piero racconta di come il rugby lo stesse cambiando. «Ho molta rabbia. Nel 2007 Peppe era veramente tostissimo, ci tirava anche le pietre. Pian piano siamo riusciti a farlo diventare parte del gruppo, tanto da portarlo a Treviso per un torneo nazionale under 11 nel 2008», continua Piero. La situazione, per Peppe, è cambiata con l’arrivo del Catania, che oggi, su quello stesso campo negato, annuncia di voler costruire un nuovo stadio. «Abbiamo perso lui e tanti altri ragazzini – conclude Piero – Da quando ha smesso di giocare, ha iniziato un lungo peregrinare nelle comunità per disposizione del tribunale dei minori».

«Al suo funerale c’erano anche le figlie del mafioso Arena, quelle arrestate da poco: in quell’ambiente, se la verità si deve nascondere, stai sicuro che rimarrà tale». Le parole di Giuliana, operatrice di un oratorio a poca distanza dal famigerato palazzo di cemento di viale Moncada, non lasciano molte speranze.

Anche lei conosceva Peppe, che in quel luogo di spaccio gestito dalla famiglia Arena era stato visto tante volte, con il fratello maggiore ora in carcere.

Nessuna traccia di veicoli, nessun segno di frenate, niente sangue», dicono intanto dalla sezione infortunistica della polizia municipale, che sta indagando per conto della Procura.

I vigili sono giunti sul luogo circa due ore dopo l’incidente, alle 18, ritrovando solo una targa di automobile. «Ma non basta questo elemento per condannare, poteva essere lì per un altro motivo: non è stato possibile ricostruire il luogo del possibile impatto per la totale mancanza di tracce sull’asfalto» ci dice l’ispettore Lucia Mangion.

Secondo i vigili urbani per ricomporre la vicenda sono necessarie le testimonianze dirette. «Nessuno è venuto a dirci come sono andati i fatti, a raccontarci qualcosa in più – spiega l’ispettore Mangion – Adesso aspettiamo ulteriori disposizioni, acquisiremo i filmati delle videocamere dei dintorni, e si tenterà di risalire a chi ha effettuato la chiamata al 118».

Lungo il viale, tra decine di macchine in doppia fila e famiglie cariche di sacchetti della spesa, nessuno sembra aver visto. Ma sottovoce, di ricostruzioni se ne sentono diverse e tra loro contraddittorie. «Io sono arrivato alle 16.10, c’era molta gente e l’ambulanza era già andata via» riferisce uno degli impiegati della vicina tabaccheria, mentre alcuni ragazzi, coetanei di Peppe, sostengono un’altra tesi: «Per gioco altri ragazzi lo spingevano col motorino e lui è caduto». Non sono i soli a parlare di un ciclomotore, anche se secondo gli inquirenti del mezzo non c’è traccia.

«Peppe era trainato da una macchina, lui era su un motorino ed è caduto con un rumore fortissimo», dice sicuro il proprietario di una bancarella di frutta, quasi di fronte al luogo dell’incidente, che ritratta dopo pochi minuti «certo non si sa com’è successo, forse era a piedi».

«Nessun rumore, ho visto l’ambulanza e sono corso con una bottiglia d’acqua per dare soccorso» riferisce invece il garzone del chiosco, la cui visuale è ostruita da un’inferriata, ma che sente benissimo un clacson suonare nella carreggiata opposta, a più di cento metri.

All’arrivo al pronto soccorso i medici della rianimazione erano già pronti, allertati dal 118. La diagnosi? «Politrauma, è questo quello che si scrive quando un caso è molto grave. I dettagli, dalle eventuali contusioni alle fratture, sono nella cartella clinica del reparto», dicono al posto di polizia dell’ospedale cittadino. Il reparto di rianimazione è diretto dal professore Sergio Pintaudi, che ha curato con la sua equipe anche l’espianto degli organi. Quel che i medici hanno scritto sulla cartella clinica e l’esito dell’autopsia potrebbero essere gli unici elementi per trovare la verità su un presunto incidente avvolto nel mistero.

 

SCHEDA

“Ma noi ci stiamo pensando, a Librino”

«Un tempismo disgustosamente perfetto». Maria T., lettrice di Ctzen commenta così l’annuncio di Antonino Pulvirenti, presidente del Catania Calcio, della costruzione del nuovo stadio in viale San Teodoro. Al momento dell’annuncio, Peppe era morto da due giorni. Oggi in quell’area sorge un campo di calcio in erba sintetica, che il Comune ha affidato alla società calcistica, sottraendolo di fatto ai Briganti Rugby, e ai ragazzi come Peppe Cunsolo.

L’idea di Pulvirenti è un project financing con Comune e Provincia, per un impianto da almeno 30 mila posti. All’interno anche un centro direzionale nel quale inserire uffici comunali e qualche scuola. Le previsioni sono di due anni di lavoro e un costo che oscilla tra 80 e cento milioni di euro. Il sindaco Raffaele Stancanelli, però, modera gli entusiasmi. «Quella che mi è stata presentata è solo un’idea – afferma il primo cittadino – e non c’è ancora niente di definito». Del resto l’area, già nel piano regolatore Piccinato, era destinata alla costruzione di un impianto sportivo: campo da rugby, pista d’atletica e campo per calcio a 7, due grandi palestre. Di quella struttura oggi restano solo i ruderi.

“Vedete, vogliamo fare il centro direzionale. E poi c’è lo sport. Forza Catania!”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *