Mori, il Sisde e quelle operazioni criminali
Nelle nuove carte riflettori puntati sul ruolo dell’ex capo del Ros negli anni ’70
Palermo. E’ lo spaccato di uno Stato-criminale quello che emerge dalle prime indiscrezioni relative all’attività integrativa di indagine della Procura di Palermo che verrà depositata al processo sulla trattativa Stato-mafia. I faldoni sono stati trasmessi anche alla Procura generale che rappresenta l’accusa al processo d’appello in cui Mori è imputato di favoreggiamento aggravato alla mafia.
Il periodo del Sid
Questo materiale racchiude una parte dell’attività di indagine sulla permanenza dell’ex capo del Ros Mario Mori al Sid (Servizio Informazioni difesa, ex Sismi, attuale Aise, ndr) nei primi anni ’70. In quel periodo Mori è un giovanissimo ufficiale dei Carabinieri (da 3 anni era nell’Arma) che comanda una tenenza.
Nel 1973 viene chiamato al Sid da un ex ufficiale dei Carabinieri al Servizio Informazione Difesa, Federico Marzollo, all’epoca la persona più vicina all’ex direttore del Sid Vito Miceli (uomo di Licio Gelli.
La struttura parallela
Miceli predispose la struttura parallela del Sid finalizzata ad organizzare un colpo di Stato tra il ’73 e il ’74 chiamata la Rosa dei Venti, ndr).
Marzollo quindi porta Mori al Sid nel ’73, lo sponsorizza e lo avvicina a Vito Miceli. Tra l’altro lo stesso Marzollo era stato allievo ufficiale del padre di Mori.
A cavallo tra la fine del ’74 e l’inizio del ’75 succede qualcosa di strano.
Negli atti acquisiti dalla Procura dagli archivi dell’Aise (il servizio segreto per la sicurezza esterna) risulta in particolare che negli anni di permanenza al Sid Mori ha svolto funzioni operative con tanto di nome e documenti di copertura, riportando anche degli encomi importanti nel corso del ’73 e del ’74 per determinate operazioni. Mori si è occupato nello specifico di “contatti” con i terroristi neri.
Il contesto
A questo punto occorre inquadrare ulteriormente il contesto.
Nel dicembre del ’74 il giudice istruttore di Padova, Giovanni Tamburino (fino a un mese fa a capo del Dap, ndr), che sta indagando sulla Rosa dei venti (con tanto di richiesta d’arresto per l’ex capo del Sid Vito Miceli), manda al Sid una richiesta urgente con la quale chiede che sia trasmessa dall’Autorità Giudiziaria di Padova un’immagine fotografica di Mario Mori. Il giudice Tamburino non specifica altro.
La cacciata di Mori
Come è noto la Rosa dei venti è un’indagine condotta dalla magistratura di Padova sull’organizzazione segreta modello “Gladio” che operava soprattutto nel nord est, faceva riferimento, tra gli altri, all’ex generale Amos Spiazzi, e aveva come obiettivo quello di reiterare il progetto del “Piano Solo” del generale Giovanni De Lorenzo: una sorta di colpo di Stato militare che ci sarebbe dovuto essere tra il ’73 e il ’74. Tamburino chiede quindi la fototessera di Mori nel dicembre ’74. Per quale motivo?
Non bisogna scordare che nell’ottobre di quello stesso anno il giudice Tamburino aveva fatto arrestare per l’indagine sulla Rosa dei venti Vito Miceli. Successivamente era stato arrestato anche Amos Spiazzi. Il 4 gennaio del ’75 l’ex generale Gianadelio Maletti (ex numero due del Sid rimasto al Servizio in seguito all’arresto di Miceli) scrive di suo pugno un appunto in cui chiede al direttore del Servizio facente funzioni, l’ammiraglio Mario Casardi (che poi diventerà direttore a tutti gli effetti), di allontanare Mario Mori dal Servizio “nel più breve tempo possibile”.
Il 9 gennaio Casardi emette un provvedimento in cui dispone l’allontanamento di Mario Mori dal Servizio con effetto immediato aggiungendo alla richiesta di Maletti un’ulteriore direttiva. Non soltanto Mori deve essere cacciato via dal Servizio, ma deve essere urgentemente allontanato dal territorio della città di Roma.
Perché mai Mori viene mandato via da Roma in quel modo?
Agli inizi del 1978 Mario Mori viene quindi restituito all’Arma di appartenenza per poi essere inviato a comandare il nucleo radiomobile di Napoli. In quello stesso anno il Comando generale dei Carabinieri scrive al Sid chiedendo se vi siano motivi ostativi al trasferimento di Mori a Roma. A tutti gli effetti si tratta di una sorprendente anomalia in quanto Mori, dopo essere stato cacciato con tanto di abbassamento delle note caratteristiche, non ha più alcun tipo di rapporto con il Sid.
Anni di fuoco
Il dato ancora più sconcertante è la risposta del Sid. Siamo nel gennaio del ’78, nella replica si legge che “come da disposizioni impartite” c’è il divieto di trasferire Mori a Roma “fino alla fine della celebrazione del processo Borghese”. Per quale ragione viene sottolineata questa specifica indicazione? Bisogna mettere insieme altri pezzi di questo mosaico.
Il giudice Tamburino che stava conducendo l’indagine sulla Rosa dei venti a un certo punto si vede richiesti gli atti dalla procura di Roma. La tesi dei magistrati romani è molto semplice: siccome stiamo indagando sul Golpe Borghese, anche se non sono gli stessi soggetti, si tratta sempre di un colpo di Stato organizzato dai militari e quindi c’è connessione. Il pm che indagava sul Golpe Borghese era un uomo fedelissimo di Giulio Andreotti: Claudio Vitalone.
L’indagine tolta al magistrato
Di fatto Tamburino resiste fino al dicembre del ’74, poi però la procura di Roma si appella alla Cassazione e vince. Tutta l’indagine sulla Rosa dei venti viene quindi tolta a Tamburino per essere mandata a Roma così da essere unificata a quella sul Golpe Borghese.
Evidentemente il Sid scrive di non mandare Mori a Roma “fino alla fine del processo Borghese” fino a quando è in corso il procedimento che vede tra gli imputati anche Vito Miceli. Ma restano intatti gli interrogativi su quella disposizione del Sid. E’ un dato di fatto che nel giro di un paio di mesi la triade Miceli, Marzollo e Mori viene cacciata dai Servizi.
I magistrati del pool stanno lavorando per comprendere in special modo i motivi dell’allontanamento di Mori. Incrociando i dati e analizzando le carte si cercheranno i possibili collegamenti tra Mori, Rosa dei venti e processo sul Golpe Borghese, fino ad arrivare al biennio stragista ‘92/’93.
Molti dei principali protagonisti sono morti. E quelli in vita sono consapevoli dei contraccolpi che subirebbero da parte del Sistema nel caso di loro “rivelazioni” e preferiscono tacere.
In nome della “sicurezza”
La cacciata di Mori potrebbe rappresentare una sorta di “punizione” per aver agito troppo spregiudicatamente? O c’è dell’altro? Fino a che punto quegli stessi apparati che hanno armato la mano di Cosa Nostra, dei terroristi o di chiunque altro (per destabilizzare il nostro Paese attraverso le stragi), hanno utilizzato lo stesso Mori per quelle azioni criminali nel nome della “sicurezza nazionale” o per una “ragion di Stato”?
Il futuro generale dei CC Federico Marzollo comandava nel 1961 la stazione di Carabinieri di Merano (BZ). Era famigerato per le torture inflitte ai prigionieri negli anni degli attentati in Alto Adige. Diversi prigionieri sono morti sotto tortura. In un processo farsa a Firenze è stato assolto, “perchè i prigionieri si sono autoprocurate le ferite e le menomazioni”.