“Mio figlio ucciso dalla mafia. E non solo”
Tanti i ricordi che si concentrano, tante le sensazioni, tante le emozioni. Per un po’ tocchiamo la corda dei sentimenti. Attilio che primeggia a scuola. Attilio che traduce senza vocabolario le versioni di latino e di greco. Attilio che a quindici anni è un campioncino di basket. Attilio che vuole fare informatica. Attilio che si iscrive in Medicina all’Università cattolica del Sacro cuore di Roma. Attilio che racconta le barzellette su Totti. Attilio che, concluso il tirocinio con il prof. Gerardo Ronzoni, un luminare nel campo dell’urologia, vuole trasferirsi a Messina.
“Intorno al 2002 aveva saputo che c’era un posto. Aveva presentato la domanda. Bonariamente gli dissero: ‘E’ inutile, c’è il cugino di un senatore barcellonese, il posto è suo’. A quel punto optò per Viterbo”.
Poi Angela mette insieme i fatti, li ordina e li elabora.
“La morte di Attilio”, dice, “è avvenuta in una regione dove la mafia è sbarcata da alcuni anni e la massoneria comanda indisturbata grazie ai potenti collegamenti di cui dispone”.
“All’inizio non ci fecero vedere neanche il cadavere. È meglio che lo ricordiate com’era, spiegarono garbatamente il prof. Rizzotto e mio nipote Ugo Manca. All’inizio ci dissero che era morto per un aneurisma. Quando ci parlarono di suicidio, capii che lo avevano ammazzato. Addirittura sostennero che il setto nasale era stato deviato dal telecomando poggiato sul letto, dopo che Attilio, stordito dall’overdose, c’era andato a finire con la faccia. Dalle foto, invece, si vede il telecomando sotto il braccio. E poi, come può un telecomando poggiato su un piumone, fracassare la faccia di un uomo?”.
“Attilio non voleva neanche il vino a tavola durante la settimana: ‘Devo essere sobrio, quando vado in sala operatoria devo essere tranquillo. Come si poteva fare l’eroina e a quei livelli?”.
“Mi chiedo perché è stata chiamata la moglie del prof. Rizzotto a fare l’autopsia. Non era la persona adatta: conosceva bene Attilio,ci sono delle foto di una festa da ballo in cui addirittura ballano insieme. E poi era la moglie di un primario alle cui dipendenze lavorava mio figlio. Il prof. Rizzotto
era stato interrogato come testimone, non era giusto che fosse proprio sua moglie a fare l’autopsia. Un’autopsia condotta in modo veloce, sommario e approssimativo. I miei tre fratelli, che aspettavano l’esito dell’esame autoptico, possono testimoniare: il professorRizzotto passeggiava dietro la porta dove la moglie faceva l’autopsia, Ugo Manca pure. Dicevano di fare presto perché si doveva trasferire la salma in Sicilia. Manoi non avevamo fatto alcuna pressione”.
Perché insistete sulla pista che porta a Provenzano? “Una settimana dopo, mentre siamo al cimitero, si presenta un signore, Vittorio Coppolino, papà di Lelio Coppolino, un intimo amico di Attilio. Ci ferma e ci dice: ‘Siete sicuri che vostro figlio non sia stato ammazzato perché ha visitato Bernardo Provenzano?’. Non avevo idea di chi fosse Provenzano, e pensai: ‘Ma questo che dice?’”.
“L’ultimo Natale (quello del 2003, un mese prima della sua morte) Attilio lo aveva passato con Lelio.Sono convinta che in quel periodo Attilio avesse confidato alcuni segreti su Provenzano, comprese le complicità barcellonesi, a Lelio Coppolino e a qualche amico vicino a Ugo Manca”.
“Dopo un anno incontro nuovamente il papà di Lelio: ‘Hai visto che avevo ragione?La Gazzetta del Sud parla dell’operazione di Provenzano’. Mi porta il giornale, ma stranamente manca la pagina che mi interessa. Gli telefono: ‘Vittorio, perché mi hai dato il giornale con un foglio mancante?’. E lui: ‘L’ho portato a Lelio, l’avrà strappata per accendere il fuoco’. Recupero il quotidiano e leggo: il pentito Francesco Pastoia, ex braccio destro di Provenzano, dichiara: ‘Un urologo siciliano ha visitato Bernardo Provenzano nel suo rifugio’. Da quel momento mi si sono aperti scenari del tutto nuovi”.
“Nei giorni che precedono la sua morte, Attilio è angustiato da qualcosa, specie dopo aver sentito al telefono gente di Barcellona.Lo affermano tutti i testimoni. Due giorni prima fa uno strano viaggio a Roma, probabilmente per incontrare qualcuno. Parla al telefono con un’infermiera: è strano, spaventato: ‘Attilio, ma che hai?’. ‘Un problema’. ‘Non ti preoccupare, domani è un altro giorno’. Nel pomeriggio ha un appuntamento con il prof. Ronzoni, il suo secondo padre, e non si presenta. La sera, a Viterbo, ha una cena di lavoro con una Casa farmaceutica e non si presenta neanche li”.
“Ma il mistero si infittisce nelle ore successive. Alle undici di sera chiamiamo ma non risponde. L’indomani mattina alle nove telefona, ma senza quell’affettuosità di sempre: ‘Mamma, mi dovete fare aggiustare la moto che è nella casa al mare di Terme Vigliatore’. ‘Attilio, siamo a febbraio’. “Me la dovete fare aggiustare’. Chiudo e mi giro verso mio marito: ‘Attilio sta diventando acido’. Da qualche giorno mi rispondeva così, come se volesse che io capissi le sue preoccupazioni. Dopo la sua morte, abbiamo portato la moto dal meccanico: era in ottimo stato. Attilio voleva mandare un messaggio, forse un riferimento alla località di Terme Vigliatore, dove Provenzano è stato nascosto per diverso tempo. Anche questa telefonata non esiste nei tabulati della Polizia. Nelle ore successive lo abbiamo chiamato più volte, il telefono suonava ma lui non rispondeva. Questo mi fa presumere che fosse in ostaggio. L’hanno portato in qualche posto? È andato a visitare Provenzano in qualche località segreta? Perché quegli strumenti di lavoro in camera da letto? Li ha adoperati o li doveva adoperare?”.
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