“Mio figlio ucciso dalla mafia. E non solo”
Fin dalle prime ore, dunque, emergono delle situazioni particolarmente anomale, non proprio semplici coincidenze.
“Una volta mi sono arrabbiata col Pubblico ministero. Gli ho gridato: ‘Ma lei si rende conto che sta insabbiando le indagini?’. Ha detto che mi avrebbe querelato, non l’ha fatto”.
Ma per capire meglio questa storia, bisogna recarsi nel luogo dove la famiglia di Attilio Manca vive da sempre, Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, grosso crocevia del traffico di armi e di droga, punto di coagulo tra Cosa nostra, politica, massoneria e servizi segreti deviati.
Angela Manca è una donna dolcissima. Vive col marito Gino in un palazzetto tardo ottocentesco ubicato nel cuore di questo paesone di cinquantamila abitanti, al centro di in triangolo urbano che comprende il circolo “Corda fratres”, il municipio e l’abitazione del boss Giuseppe Gullotti.
La “Corda fratres” non è il classico circolo di paese dove si gioca a carte e ogni tanto si organizza una conferenza. È un sodalizio esclusivo che “serve” a un sacco di gente per fare carriera. E fin qui normale amministrazione, o quasi.
La cosa diventa paradossale se all’interno dell’associazione ci trovi iscritto un potente capomafia come Gullotti e un personaggio inquietante come Rosario Cattafi, accusato di essere il mandante esterno della strage di Capaci, poi prosciolto, assieme a Berlusconi e Dell’Utri, ma sottoposto a misure di sicurezza per cinque anni con l’obbligo di soggiorno a Barcellona. Due tipiche hanno diviso quelle stanze con l’ex ministro Domenico Nania, con il cugino Candeloro Nania, sindaco di Barcellona; con il presidente della Provincia Giuseppe Buzzanca, e con il Procuratore generale di Messina Franco Cassata, vero animatore della “Corda”, da sempre residente a Barcellona, e attualmente sotto inchiesta presso la Procura di Reggio Calabria per concorso esterno in associazione mafiosa e per avere scritto e diffuso un dossier anonimo pieno di veleni contro il professore universitario Adolfo Parmaliana, suicidatosi per disperazione dopo aver denunciato il verminaio che da anni infesta Barcellona.
Il municipio si affaccia sul torrente Longano, un corso d’acqua che i politici locali, alcuni anni fa, hanno pensato bene a coprire con una striscia d’asfalto. Nello scorso novembre il torrente è esondato con conseguenze devastanti. Ma questo edificio è famoso, secondo una relazione della Commissione prefettizia, “per le collusioni fra alcuni assessori e consiglieri comunali del Pdl con Cosa nostra”. Eppure né il governo di centrodestra né quello di centrosinistra si sono permessi di sciogliere il Consiglio comunale e la Giunta, specie dopo che è stata approvata all’unanimità la costruzione di un mega Parco commerciale proprio sui terreni di Saro Cattafi.
Anche la casa del boss Gullotti è a pochi metri dall’appartamento dei Manca. Qui il capomafia ha ospitato Nitto Santapaola e Bernardo Provenzano, qui assieme ai boss corleonesi ha disegnato la strategia eversiva più devastante del dopoguerra: la strage di Capaci eil delitto del giornalista Beppe Alfano.
Si trovano proprio a due passi dalla casa dei Manca le “centrali” del potere barcellonese, non cose di poco conto, ma entità collegate fra loro in maniera spudoratamente chiara, con ramificazioni lontane. Come a dimostrare che in Sicilia bene e male coesistono nel giro di pochi metri, di pochi centimetri addirittura.
Il palazzetto ospita due rami della dinastia Manca: in un appartamento vive la famiglia di Gino, in un altro la famiglia del fratello Gaetano.
Dal 2004 queste due famiglie, da sempre ai ferri corti, sono in guerra: da quando Ugo Manca, figlio di Gaetano,è implicato nella morte dell’urologo.
Non è uno qualsiasi Ugo Manca: temperamento piuttosto violento, in gioventù è stato vicino ai gruppi di estrema destra, risulta organico alla cosca barcellonese. Condannato in primo grado al processo “Mare nostrum” per traffico di droga, è stato assolto in appello.
Anche lui, dicono i bene informati, è amico di famiglia del Procuratore Cassata. “Il quale”, secondo l’avvocato Repici, “dopo l’assoluzione di Ugo in appello, per un banale vizio di forma non ha presentato neanche ricorso in Cassazione”.
Angela Manca è seduta nelsalotto di casa. Ha sessantasette anni ed è una docente di biologia in pensione, il marito, dieci anni più grande di lei,è un ex insegnante di lingue. Gianluca fa l’avvocato e di anni ne ha quaranta. Una famiglia della media borghesia siciliana che prima della morte di Attilio viveva una vita tranquilla, senza sapere cosa fosse la mafia.
Dal 12 febbraio 2004 è cambiato tutto.
È una donna dolce e perbene, lucida anche. Determinata ad andare fino in fondo. Anche se è pervasa da un dolore indicibile, pesa le parole e non va mai sopra le righe. Adesso lei, Gino e Gianluca vivono solo per ottenere verità e giustizia.
Da quando accusala mafia, la famiglia Manca è rimasta sola. Angela e Gianluca appaiono i più energici, Gino il più sensibile, ma quando c’è da organizzare qualcosa diventano una cosa sola.
In certi ambienti li considerano dei pazzi, dei visionari, dei calunniatori. Loro vanno avanti lo stesso, anche perché nel frattempo attorno a loro si è creato un movimento spontaneo che chiede, anche mediante facebook,che non vengano chiuse le indagini sulla morte di Attilio. “Una cosa bellissima che ci fa sentire meno soli. Forse è stato grazie a queste pressioni che il Gip ha deciso di respingere l’ultima richiesta di archiviazione”.
Da alcuni mesi i genitori dell’urologo sono alle prese con l’ennesimo problema: un gas urticante e nocivo (secondo i carabinieri e i Vigili del fuoco), che qualcuno immette nella loro abitazione durante le ore notturne. “Evidentemente qualcuno vuole che scappiamo, ma si sbaglia: resteremo qui perché questa è la casa di Attilio”.
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