domenica, Settembre 8, 2024
Cronaca

Medicina: via il numero chiuso?

 

No, stiamo solo scimmiottando i francesi

Quello del 30 luglio potrebbe essere l’ultimo test di ammissione ai corsi laurea magistrale a ciclo unico in medicina e chirurgia. La proposta di legge arrivata in commissione Istruzione viene raccontata come la fine del famigerato numero chiuso per gli aspiranti medici. Ma non è così. Scopriamo pregi (pochi) e difetti (tanti) del modello alla francese, che oltralpe vorrebbero abbandonare.

Sono docente di biologia e genetica in uno dei corsi di laurea in medicina e chirurgia della Sapienza Università di Roma. In aula ogni anno ho di fronte più di 160 studenti. Molti di loro hanno affrontato la prova di ammissione nazionale frequentando corsi a pagamento, con costi che vanno oltre le 500 euro. Chi non supera la prova di accesso (30000 dei 50000 candidati) tende ad iscriversi ad un corso di indirizzo biologico o farmaceutico per tentare la prova l’anno successivo nella speranza di convalidare gli esami di base sostenuti. Il numero chiuso è stato stabilito per effettuare una programmazione numerica che possa garantire agli studenti di medicina la partecipazione alle scuole di specializzazioni e l’accesso al mondo del lavoro negli ospedali o sul territorio come medici di famiglia.

La proposta di legge parlamentare, che vede d’accordo la maggior parte delle forze politiche, prevede di eliminare la prova di accesso e garantire un primo semestre di studi a chiunque voglia iscriversi al corso di medicina. In questo semestre i ragazzi dovranno frequentare 4 insegnamenti a valle dei quali saranno valutati con un nuovo test nazionale, dove nel computo del punteggio finale verranno considerati, oltre al numero di risposte esatte date nel quiz, il numero di crediti formativi ottenuti con il conseguimento dei 4 esami e il voto ricevuto. Chi avrà ottenuto un punteggio tale da rientrare nel computo della graduatoria prevista dalla programmazione ministeriale potrà quindi continuare il corso di studio. Gli altri studenti saranno costretti cambiare corso di laurea. Quindi il numero chiuso rimane, è solo spostato tutto di 6 mesi.

Vantaggi rispetto al modello attuale? Gli studenti potranno risparmiare i costi del corso per il superamento dell’attuale test. Poi ancora, accederanno alla nuova selezione nazionale sulla base di quanto avranno appreso e reso nel primo semestre, senza più rispondere a domande di ragionamenti logici o di competenza di lettura.

Svantaggi?

Aule: non siamo pronti. Le attuali sono già piene per capienza, di conseguenza per far posto a tutti abbiamo bisogno del 150% di aule in più. Aule che andrebbero realizzate entro un anno in tutti gli atenei. Auspicabile nel futuro, irrealizzabile in tempi brevi.

Docenti: non siamo pronti. I docenti dei corsi del primo semestre (anatomia umana, biologia e genetica, fisica medica, chimica e propedeutica biochimica e metodologia medico scientifica) raggiungono e sforano ampiamente le 120 ore di didattica frontale annuale. E quasi tutti insegnano anche in corsi di laurea diversi da quello di medicina. Quindi due possibilità: assunzione di nuovi docenti, anche qui un 150% in più dell’attuale corpo didattico, ma dubito ci sia questa volontà e i tempi per bandire i concorsi; oppure raddoppiare o triplicare il monte ore didattico dei docenti attuali, costringendoli ad interrompere l’attività scientifica (noi tutti dopo le lezioni e gli esami torniamo nei nostri laboratori ad occuparci di ricerca scientifica) e con risvolti sulla qualità della didattica.

Pressione psicologica: i ragazzi studierebbero con una spada di Damocle sulla loro testa, sarebbe il modo migliore per disincentivare la qualità dell’apprendimento. Un problema che stiamo già notando, in quanto i ragazzi hanno incominciato a preferire scorciatoie come le “sbobbinature”, le registrazioni (quasi mai autorizzate) delle lezioni, ai libri di testo. Il risultato è che alle domande poste nelle sessioni orali le risposte sono sintetiche o monosillabiche. Di conseguenza meno promossi e voti sempre più bassi. Questa legge sarà la benzina vicino a questo fuoco.

Tempo perduto: dopo un semestre di frequenza, di studio e di speranze, non superando la soglia di accesso, i ragazzi si troveranno fuori dal corso di medicina dovendosi iscrivere ad un corso diverso già avviato al secondo semestre. Magari saranno riconosciuti alcuni dei crediti acquisiti, ma non è la stessa cosa: avrebbero comunque perso insegnamenti del primo semestre, molti dei crediti formativi andrebbero integrati e quindi accumuleranno un ritardo sul nuovo percorso. Oppure, come fanno in Francia, paese a cui si ispira la proposta di legge in esame, gli studenti francesi (più di ventimila) non ammessi al proseguimento degli studi di medicina emigrano in Belgio. Ed infatti in Francia si sta discutendo sulla possibilità di abbandonare questo modello di programmazione selettiva.

Responsabilità dei docenti: chiaramente un conto è bocciare sapendo che lo studente potrà ripresentarsi dopo un mese o dopo un anno, un conto è farlo sapendo che se non supera il tuo insegnamento al primo appello la carriera dell’aspirante medico potrebbe interrompersi. Come docente non mi porrei il problema, al sistema attuale che vuole medici pronti in 6 anni e senza un giorno in più più preferisco contrappormi selezionando solo studenti adeguatamente preparati. Quindi se devo bocciare uno studente lo boccio, a cui, però, so di poter dare altre possibilità per convincermi della loro preparazione. Molti di loro, tornando, riescono a convincermi.  Con questa proposta di legge gli studenti non avranno altre possibilità.

A conti fatti forse non è meglio lasciare le cose come stanno: programmazione ministeriale e test di ingresso prima dell’iscrizione?

Viviamo in un paese in cui abbiamo sbarrato la strada a tanti aspiranti medici e la pandemia ci ha mostrato la carenza di personale medico. Abbiamo chiuso ospedali di provincia (e di frontiera) e ora per una indagine di risonanza magnetica o tomografia computerizzata siamo in liste di attesa di oltre dieci mesi. Abbiamo contratto la spesa sanitaria nazionale sotto l’egida della spending review per costringere i cittadini a spendere capitali in centri medici privati a cui finanziamo l’acquisto di strumenti diagnostici. E allora? E allora faccio quello che so fare meglio, le domande:

Se liberassimo l’accesso agli studi di medicina senza più selezioni a monte? Se noi docenti tornassimo ad essere più rigorosi nelle aule universitarie per aumentare la qualità dei professionisti del futuro? Se facessimo lavorare gli strumenti diagnostici h24 per abbattere i tempi di attesa? Ma soprattutto, se tornassimo ad appropriarci di una sanità pubblica, capillare ed efficiente?

Dalla politica immagino risposte sintetiche o monosillabiche.

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