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Marsiglia, Milano, Palermo, Cosa nostra e la ‘ndrangheta

E quel giudice ragazzino al centro del mediterraneo

 

L’assassinat du Juge Pierre Michel. Marseille, mercredi 21 octobre 1981

 

Capita sempre così. Tracce, legami, collegamenti compaiono improvvisamente quando meno te li aspetti. Un nome, un riferimento, un accenno sulla pagina di un libro, su un documento giudiziario, su un articolo di giornale, in qualche carta dimenticata in archivio e quella storia che avevi iniziato a seguire anni prima di colpo si arricchisce di un nuovo tassello.

Dell’omicidio di un “giudice ragazzino” francese, Pierre Michel, me ne occupai un paio di anni fa. La sua storia, in Italia quasi del tutto sconosciuta se non agli addetti ai lavori, mi balzò agli occhi mentre stavo raccogliendo materiale per un romanzo (Italian Tabloid che poi pubblicai in ebook). Una storia che mi colpì molto perché intuì subito come  potesse avere un valore non marginale e solo simbolico per cercare di descrivere quale fosse (e probabilmente è ancora) l’intreccio del potere criminale nell’internazionalizzazione delle mafie e in particolare del peso (economico e anche politico) che ha avuto dal dopoguerra a oggi il traffico di droga. Ne scrissi all’epoca sia qui che su I Siciliani giovani (www.isiciliani.it) e un capitolo di Italian Tabloid fu dedicato alla vicenda.

Ieri, leggendo La Malapianta di Nicola Gratteri (magistrato in prima fila contro la .ndrangheta) e Antonio Nicaso (un bel libro che parla di ‘ndrangheta) ho incontrato ancora una volta il nome di Michel. Un altro tassello che andava, inaspettato, al suo posto.

Nel capitolo relativo agli investimenti al Nord della ‘ndrangheta, Gratteri risponde così a una domanda di Nicaso sulle prime attività “in proprio” dei clan calabresi nell’importazione dell’eroina. “Dopo l’uscita di scena di Tutatello e di Epaminonda, sul finire degli anni Ottanta. Alcune famiglie della ‘ndrangheta cominciarono ad acquistare direttamente morfina base dai turchi e raffinarla con l’aiuto di alcuni chimici francesi e scavalcando Cosa nostra. Dopo una prima inchiesta che aveva decimato i clan Mollica-Bruzzaniti-Palamara di Africo, la procura di Milano, su segnalazione della polizia francese, si mise sulle tracce di Charles Altieri, un chimico ricercato per l’omicidio del giudice Pierre Michel, ucciso a Marsiglia nel 1981 mentre indagava sui grandi trafficanti di droga”. Altieri che collabora con la ‘ndrangheta scavalcando Cosa nostra, che all’epoca aveva il monopolio dell’eroina. Altieri che è quel gangster della Mileu marsigliese che volle sbarazzarsi di quel giovane giudice scomodo. E Gratteri prosegue: “Quando ormai si erano perse le speranze, il 21 maggio del 1990, a Rota d’Imagna, in provincia di Bergamo, tre carabinieri notarono una montagna di spazzatura davanti a una villa disabitata. Fecero irruzione e dentro, tra provette e alambicchi, trovarono due chimici francesi, collaboratori di Altieri, e un ragazzino di Platì emigrato a Corsico, Nunziatino Romeo che, terrorizzato, si era nascosto in un armadio. Da Romeo arrivarono a suo zio, Saverio Morabito, che risultò intestatario delle fatture con cui erano stati acquistati gli alambicchi trovati nella villa di Rota d’Imagna. In quegli anni, Morabito era legato a doppio filo ad Antonio Papalia, ritenuto il boss più autorevole della ‘ndrangheta in Lombardia”.

Segniamoci questi nomi e questi luoghi: Michel, Altieri, Marsiglia, Turchia e Lombardia. E poi, eroina, Cosa nostra, Mileu e alla fine ‘ndrangheta.

Quando venne ucciso, Michel stava collaborando con alcuni magistrati di Palermo. In particolare dalle cronache dell’epoca si apprende che solo poche settimane prima dell’omicidio il giudice aveva ricevuto a Marsiglia tre colleghi di Palermo. Escono fuori solo due nomi di magistrati italiani che mantenevano rapporti di collaborazione con Michel: Giovanni Barrille e Giusto Sciacchitano. E il terzo chi era? Bisognerà aspettare il quinto anniversario del delitto per intuirlo. Alla commemorazione appare infatti Giovanni Falcone, presente in Francia per altri impegni, e fa intuire al cronista un’antica collaborazione con il giudice assassinato nell’81. E molti altri tasselli vanno al loro posto. Sia per la differenza di livello con i primi due nomi emersi, sia perché all’epoca del delitto Falcone era il titolare della prima grande inchiesta su mafia e droga. E si, i conti tornano. Eccome se tornano.

Michel venne ucciso quando stava seguendo sul versante francese proprio la stessa vicenda che impegnava Falcone. Mentre Michel indagava il legame strettissimo fra Mileu e Cosa nostra. Un legame forte fin dal primo dopoguerra. Con i marsigliesi e i siciliani e Cosa nostra americana che avevano creato una sorta di joint venture per il traffico dei narcotici per almeno un decennio e grazie anche a quella sorta di Ati formata da Lucky Luciano e il trafficante corso (con tanto di flotta) Pascal Molinelli. Avevano perfino una base e Tangeri, Luciano e Molinelli, e una propria stazione radio nel Golfo di Napoli per coordinare la flotta che operava nel Mediterraneo. Ed è facile intuire che non ci si limitasse solo al traffico di stupefacenti con quel tipo di organizzazione. E neppure al contrabbando delle sigarette. L’epoca richiama anche i viaggi di clandestini (e qui il richiamo inevitabile anche alle attività delle organizzazioni ebraiche prima del voto dell’Onu sulla Palestina) e il traffico d’armi.

Dopo il ’57, e il summit dell’Hotel des Palmes che diede vita alla “commissione” della mafia siciliana, Cosa nostra prese la guida del traffico e i marsigliesi vennero soppiantati nella gestione diretta dei produttori di morfina base. Ma in mano dei francesi rimase per lungo tempo ancora il monopolio della raffinazione, non tanto dei luoghi quanto dei chimici.

Ed è proprio una storia di chimici e trafficanti, questa. Che unisce Marsiglia a Palermo e gli investigatori delle due città. E una storia di raffinerie individuate e bloccate e di sangue. Troppo. E ancora, sempre di raffinerie e di chimici marsigliesi parla anche Gratteri. E non è più Cosa nostra ma la ‘ndrangheta a chiedere collaborazione ai “tecnici” francesi. E poi Gratteri, che ha fama di essere uomo che pesa le parole, fa quell’accenno al giudice ragazzino Pierre Michel. E non può essere un caso. Perché la morte di Michel ha rappresentato il punto di non ritorno in un’inchiesta molto ampia che ha impegnato i magistrati marsigliesi e palermitani.

Riporta l’agenzia Ansa delll’epoca:

INCHIESTA SU UN TRAFFICO DI STUPEFACENTI VALUTATO A CENTO VENTI MILIARDI DI FRANCHI (UN
FRANCO VALE CIRCA 212 LIRE ITALIANE). I PRIMI INDIZI DELLA RINASCITA DELLA ” FRENCH CONNECTION”
ERANO STATI SCOPERTI NEL MARZO 1980, NELL’ ALTA LOIRA, FRANCIA CENTRO SETTENTRIONALE.  DIECI PERSONE AVEVANO ORGANIZZATO UN LABORATORIO CLANDESTINO PER LA TRASFORMAZIONE DELLA
MORFINA-BASE IN EROINA.  ARRESTATE, ERANO STATE TUTTE INTERROGATE DAL GIUDICE MICHEL.  FRA LORO VI ERANO ELEMENTI GIA’ NOTI NEGLI ANNI SETTANTA.  L’ INCHIESTA, SVOLTA DALLE POLIZIE ITALIANA E FRANCESE AVEVA CONDOTTO NEL GIUGNO 1980, ALLO SMANTELLAMENTO DI UN TRAFFICO FRANCO ITALIANO DI STUPEFACENTI, IL CUI QUARTIER GENERLE ERA NELLE VICINANZE DI MILANO.  NELL’ AGOSTO DEL 1980 VENIVA SCOPERTO A PALERMO UN ALTRO LABORATORIO CLANDESTINO, CAPACE DI PRODURRE MEZZA TONNELLATA DI EROINA AL MESE.

(….)

DOPO QUESTI COLPI GROSSI DA PARTE DELLA POLIZIA E DELLA MAGISTRATURA ITALIANA E FRANCESE, I DIRIGENTI DEL TRAFFICO DI STUPEFACENTI COMINCIARONO A REAGIRE.  NELL’ ESTATE 1980 VENNERO UCCISI SUCCESSIVAMENTE IL PROPRIETARIO DI UN RISTORANTE, NEI PRESSI DI PALERMO, CARMELO IANNI, CONSIDERATO COME UN INDICATORE DELLA POLIZIA; E IL 6 AGOSTO ERA LA VOLTA DEL GIUDICE COSTA.
NONOSTANTE QUESTI ” AMMONIMENTI” DA PARTE DELLA MALAVITA ITALO-FRANCESE, IL GIUDICE MICHEL PROSEGUI’ L’ INCHIESTA.  NEL DICEMBRE 1980 SI RECO’ IN SICILIA PER UN INCONTRO CON I
COLLEGHI DI  PALERMO.  AGLI INIZI DEL CORRENTE MESE ACCOLSE COLLEGHI SICIALIANI A MARSIGLIA.

(…)

I PRIMI CONTATTI  FRA IL MASTRATO MARSIGLIESE ED I COLLEGHI SICILIANI ERANO STATIPRESI NELL’ AGOSTO DELLO SCORSO ANNO, QUANDO POLIZIA E CARABINIERI AVEVANO SCOPERTO DUE RAFFINERIE DI EROINA IN PROVINCIA DI PALERMO, ED AVEVANO ARRESTATO, OLTRE ALCUNIMAFIOSI, FRA I QUALI GERLANDO ALBERTI, ANCHE TRE MARSIGLIESI ESPERTI NELLA TRASFORMAZIONE DELLA MORFINA IN EROINA.

Ed ecco ancora un altro nome, di enorme peso: Gerlando Alberti detto U Paccarè. Amico di Tommaso Buscetta anche se poi si schierò con i la parte avversa durante la guerra di mafia e riferimento a Milano delle famiglie palermitane. Quasi un vero e proprio reggente di Cosa nostra nel capoluogo lombardo per il traffico di stupefacenti e per garantire l’accesso alla piazza finanziaria. E che gestiva i rapporti anche con i cugini calabresi che nel nord Italia stavano prendendo rapidamente piede.

La vicenda della raffineria sequestrata in provincia di Palermo (a Carini) con l’arresto dei chimici marsigliesi è stato forse il primo episodio di grande rilievo nella lotta al narcotraffico internazionale nel nostro paese. Marsiglia, Palermo, Milano e poi Cosa nostra e alla fine, sempre a ricaduta all’interno dello stesso sistema, la ‘ndrangheta. Cosa aveva avviato quel giudice ragazzino.

Scrivevo in Italian Tabloid

Rileggevo, nella notte, quegli appunti che avevo tirato giù qualche giorno prima di incontrare il mio personale Caronte nell’inferno dell’epopea di Cosa nostra. Quante conferme. Ora. E quante ne aspettavo ancora. E poi eccolo quel frammento su Marsiglia.

Soldi. E un mare di sangue. Una mattanza per prenderli. Una mattanza per mantenerli.
Questa è una piccola storia. La storia di un magistrato francese ammazzato a Marsiglia il 21 ottobre 1981. Pierre Michel. Morto perché indagava, anche in collaborazione con i magistrati palermitani, sul traffico internazionale di eroina gestito da Cosa nostra ma che vedeva coinvolta anche la criminalità organizzata marsigliese che per prima si era avvicinata al business e aveva i “chimici” e la preparazione per avviare l’industria più redditizia dalla fine della Seconda Guerra mondiale. Una storia totalmente rimossa quella di Pierre Michel.

Stava andando a casa sulla sua moto, Pierre Michel, quando venne affiancato da un’altra motocicletta con due uomini sul sellino. Solo due colpi, uno al corpo, l’altro alla testa. Fine. La sua vita, la sua carriera e le sue inchieste erano finite lì, su un viale di Marsiglia all’ora di pranzo. Giovane, alto e bravo nel suo lavoro. Un anticonformista in un posto di peso. In Italia lo avrebbero ribattezzato, senza starci tanto a pensare, un “giudice ragazzino”. Che stava indagando sulla criminalità della grande città del sud della Francia. Era il 21 ottobre 1981. Ricordiamola quella data, in memoria di un’altra vittima della guerra di mafia.

Perché mi sono trovato a seguire questa storia praticamente dimenticata è stato sorprendente. Stavo facendo una ricerca sulla banca dati delle agenzie di stampa su un nome: Giusto Sciacchitano. Un magistrato discusso fin da quando era uno dei sostituti del procuratore Gaetano Costa. Uno di quelli che si erano rifiutati di firmare i mandati di arresto richiesti della grande inchiesta sul traffico di droga istruita da Giovanni Falcone all’inizio degli anni ’80 e che aveva lasciato da solo il procuratore a firmare e assumersi tutte le responsabilità di quell’atto. E pochi mesi dopo, il 6 agosto, Costa era stato ucciso da sicari di Cosa nostra. La conoscevo quella storia. Ma avevo ricontrollato quel nome per vedere se c’erano novità sulla carriera di Sciacchitano dopo che Massimo, il figlio di Vito Ciancimino l’ex sindaco e assessore ai lavori pubblici del “sacco di Palermo”, lo aveva accusato di essere stato proprio lui a spingerlo a non parlare in tribunale in relazioni agli imbrogli legati alla Gas, la società creata dal padre con l’aiuto del commercialista Gianni Lapis e con uno stuolo di soci occulti e il defunto Ezio Brancato. E Brancato era proprio il suocero del magistrato palermitano. Da qui la richiesta a Massimo. Il magistrato, che intanto dai tempi della collaborazione con Gaetano Costa di strada ne aveva fatta fino ad avere un incarico alla procura nazionale antimafia e nonostante ci fosse stato il parere contrario dell’ex procuratore nazionale Vigna, ovviamente aveva annunciato querele, ma la coincidenza era comunque emersa e non era coincidenza da poco. Insomma, luci e ombre. E facendo quel controllo di routine avevo incrociato la storia dell’omicidio del giudice Pierre Michel. Perché di cose siciliane il magistrato marsigliese se ne occupava eccome. E da tempo.

(…)

Era bravo, Pierre Michel. Ed era riuscito a mettere le mani su un filone di indagine fondamentale per capire le regole e i flussi dell’organizzazione internazionale del traffico di stupefacenti, scoprendo che i marsigliesi, che fino alla fine degli anni ’50 erano stati i “padroni” dell’eroina in Europa, alla fine degli anni ’60 erano diventati in pratica solo dei tecnici di laboratorio e degli specialisti nella trasformazione della morfina base in eroina al soldo delle famiglie siciliane che il traffico del derivato dell’oppio se lo erano preso tutto in blocco. Perché attraverso i rapporti con i “cugini” americani si erano visti affidare il monopolio del rifornimento del mercato statunitense.

Rileggevo gli appunti, i lanci di agenzia, i resoconti, pochi, della stampa italiana dell’epoca e i tanti, giustamente, della stampa francese che su quel delitto clamoroso avevano centrato l’attenzione. E non riuscivo a prendere sonno. Perché c’era qualcosa che tornava. Che collegava quella storia a un’altra, ancora. Quella della pista dei soldi seguita da Carlo Palermo a Trento pochi anni dopo, e quella seguita, quasi contemporaneamente, da Giovanni Falcone a Palermo. Marsigliesi, turchi, bulgari, siciliani e “americani”. Le assonanze fra le indagini, quella di Palermo e quella di Trento, erano davvero troppe per considerarle una semplice coincidenza.

C’è un monumento nella piazzetta alle spalle del palazzo della giustizia dove sono riportati i nomi di tutti i magistrati italiani uccisi da Cosa nostra. Mi ci sono fermato spesso per fumarmi una sigaretta prima di entrare per fare incontrare qualche magistrato o seguire qualche udienza. Un bel posto. Sento che il nome di Pierre Michel non sfigurerebbe accanto a quelli dei suoi colleghi.

salvatore.ognibene

Nato a Livorno e cresciuto a Menfi, in Sicilia. Ho studiato Giurisprudenza a Bologna e scritto "L'eucaristia mafiosa - La voce dei preti" (ed. Navarra Editore).

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