Manifestazione Euromediterranea: le testimonianze
“Le condizioni di vita al Cara di Mineo sono terribili, c’è gente bloccata qui da più di sei mesi, a volte il riso è l’unica cosa da mangiare e potrebbe anche essere l’unico pasto in tutta la giornata. Non abbiamo soldi per comprare nemmeno una zuppa, non ci resta che fare chilometri in bicicletta sotto il sole per andare a raccogliere le arance e guadagnare qualche spicciolo con cui prendere qualcosa di migliore da mangiare.”
Il 18 aprile del 2015, a duecento chilometri dalle coste di Lampedusa un peschereccio partito dalla Libia con un carico di ottocento migranti si ribalta, si salveranno solo ventotto persone. Verranno poi sbarcati a Catania che oggi ospita la sede di Frontex, l’istituzione dell’Unione europea per la protezione delle frontiere, vera e propria organizzazione di polizia di confine. A un anno dall’evento, associazioni antirazziste e Carovane Migranti insieme hanno portato testimonianze di chi dalla Tunisia, all’Algeria al Messico cerca i propri figli dispersi. Con loro gli attivisti che hanno violato la frontiere del Brennero chiusa dall’Austria, e che in questi giorni hanno organizzato una nuova protesta con questo nuovo muro d’Europa. Nel frattempo non si ferma l’esodo di migranti sulla rotta Libia Italia, il 25 aprile a Pozzallo e Augusta una nave di Medici Senza Frontiere ha sbarcato altri trecento migranti. Finiranno in un centro di accoglienza ad aspettare che il loro destino venga deciso da altri. Il Cara di Mineo è uno di questi non luoghi dove si consumano le speranze di chi ha lasciato la propria terra ed è ora ospitato in un lager che specula sulle morti per arricchire criminalità e politica corrotta.
“Sono il padre di un giovane desaparecidos di diciassette anni, mio figlio ha lasciato la Tunisia il 9 giugno 2012, poco prima di arrivare a Lampedusa la nave si è rovesciata. Quando la guardia costiera ha risposto alla chiamata di aiuto hanno chiesto quanti erano sul barcone, hanno risposto centotrentotto, si sono avvicinati, hanno fatto il giro della barca e se ne sono andati. Cinque ore dopo la chiamata sono tornati ed hanno trovato cinquantasei sopravvissuti e settantotto dispersi. E’ stata aperta un’inchiesta insieme al governo tunisino per capire cosa era successo, per dire alle famiglie se i loro figli sono sopravvissuti o sono morti. Dopo diverse iniziative e manifestazioni in Tunisia ancora ci hanno fatto sapere cosa è successo. I nostri figli non sono terroristi né criminali, hanno diritto di andare dove vogliono, negli hanno ‘90 quando non c’erano i visti i tunisini potevano liberamente passare del tempo in Italia.”
“Noi di Carovane Migranti non vogliamo girarci dall’altro lato, siamo partiti da Torino portando con noi altri compagni, Koucela che dall’Algeria denuncia la scomparsa dei migranti, Imed che rappresenta i tunisini che hanno perso i figli in mare e tre messicani. Perché in Messico quando scomparivano le donne, i migranti, gli attivisti, le persone comuni nessuno si preoccupava, finché sono scomparsi 43 studenti, e si è cominciato a comprendere la gravità di quello che stava succedendo. Noi pensiamo che il Messico sia un laboratorio di rapporti tra stato e criminalità, che può anticipare quello che potrebbe accadere in Europa.”
“Il mio nome è Omar, e sono uno dei sopravvissuti al massacro e sparizione forzata in Messico del 26 settembre 2014. Molti si chiederanno cosa c’entri la sparizione di 43 studenti con la questione dei migranti o della costruzione di muri, noi crediamo che c’entri molto. Perché il problema che accomuna tutti questi casi nel mondo è la mancanza di giustizia. Vogliamo denunciare che in Messico succedono le stesse cose nel mediterraneo e con tutti i migranti del mondo. In Messico ci sono più di trentamila desaparecidos e più di centocinquantamila assassinati negli ultimi 10 anni. E molti di questi desaparecidos sono migranti che dal centro America cercano di raggiungere il nord America, e nel loro cammino incontrano morte, sparizioni, e muri come quelli che le autorità vogliono costruire qui, aumentando ingiustizia e disparità.”
“Il mio nome è Ana Enamorado, sono una madre onduregna e vengo a nome di tutte le altre madri del centro America, insieme chiediamo al governo Messicano dove sono i nostri figli, dove sono i nostri desaparecidos. Nessuno ci vuole dare risposta nei nostri paesi, per questo siamo qui con voi ora, per alzare la voce, per costruire una catena che ci porti alla giustizia. Come qui oggi, organizziamo delle carovane in Messico con le madri dei desaparecidos per cercare i nostri figli che la criminalità organizzata ha fatto sparire, che hanno ucciso. Ed ora siamo qui per cercare una risposta, grazie.”
“Sono una delle quattordici donne che da venti anni tutti i giorni aspetta il treno che porta i migranti in viaggio dal Messico verso l’America, solo per poter dar loro da bere e da mangiare. Siamo partite da niente, solo con i soldi che abbiamo potuto raccogliere per aiutare i nostri fratelli e sorelle latinoamericani. Come madri ci sentiamo solidali con quelle donne che hanno visto i loro figli scomparire, come sta succedendo anche qui da voi, e chiediamo uguaglianza e rispetto per tutti gli esseri umani, non importa il colore, la religione o la razza, conoscendo queste persone si può comprendere la loro sofferenza e che viaggiano con la speranza vita migliore.” (Maria Gaudalupe)
“Io sono Souad, la madre di uno dei 504 ragazzi tunisini dispersi, lui si chiama Rased, e rappresento tutte le altre madri che hanno perso il loro figli. I nostri figli sono vivi, noi lo sappiamo, il problema è sapere dove sono. Ringrazio tutte le associazioni, noi lottiamo per sapere dove sono i nostri figli.”
“Voglio dire ai politici europei, è questa la vostra libertà? È questa la vostra democrazia? Le vostre famiglie sono forse qui con noi? Non so come potete chiudere tutti i giorni le frontiere e non pensare alle morti che sono conseguenza. Voglio dire che il mediterraneo è diventato un cimitero, voglio dire che ora i pesci di quel mare mangiano i corpi di queste persone disperse. Noi Tunisini, prima della rivoluzione in Tunisia del 2011 pensavamo che voi eravate democratici, dopo il 2011 davanti a questa tragedia abbiamo capito che voi non siete democratici. Noi lotteremo fino alla fine e diremo ecco che cosa abbiamo guadagnato con le vostre politiche. Questa manifestazione è un altro passo della nostra lotta e noi continuiamo a combattere, con questi mezzi, senza violenza, fino alla fine.” (Imed Soltani)
“Qualche mese fa a Malta si è deciso unilateralmente sulla chiusura militare dei confini, sapete che l’Austria ha accelerato la chiusura dei confini nelle rotte coi Balcani. Ad aprile abbiamo violato quella frontiera, in un migliaio siamo andati a dire no al regime dei confini che dal Brennero va a Idomeni, alle frontiere esterne e interne di questa Europa che da un lato tartassa i migranti, li deporta, dall’altro stringe accordi criminali con la Turchia, definendo sicuro un paese che viola sistematicamente i diritti dei rifugiati e del polo curdo. Abbiamo mostrato che dalla nostra parte esiste una società che si indigna, che non accetta questi muri, che si organizza dal basso, dai propri territori, che si sta mobilitando su tutte le zone di frontiera attive in Grecia, in Sicilia, nel nord Italia. E da qui che dobbiamo iniziare, costruendo reti insieme ai fratelli e le sorelle migranti. E quindi oggi ve lo diciamo anche qui a Catania, quel confine del Brennero lo vogliamo aperto e faremo il possibile perché resti aperto.”
“Il bacino del mediterraneo è stato trasformato in un cimitero a cielo aperto. Una volta luogo di circolazione e incontro tra diverse culture, oggi ne hanno fatto barriera tra i popoli, per scelta e responsabilità dei governi delle due rive del mediterraneo. Queste sono politiche migratorie che non abbiamo mai scelto né voluto, che paghiamo di tasca nostra con le nostre tasse. Questi dirigenti sono solo riusciti a seppellire le persone nel mediterraneo insieme ai loro sogni. Oggi chiediamo una cosa sola, fermare questa emorragia.” (Koucela Zerguine)
CARA di Mineo, la mattina dopo il corteo a Catania. A terra i volti di alcuni delle centinaia di migranti dispersi che le Carovane Migranti si propongono di ritrovare.