“Mafiosi, fuori dalla comunità!”
Mafiosi, io vi scomunico! Sono le parole scandite da Papa Francesco in Calabria sabato 21 giugno , davanti ad una folla immensa. Parole pesantissime. Mai pronunziate prima. Altri Papi prima di lui avevano scagliato anatemi contro i mafiosi. Convertitevi! un giorno verrà il giudizio di Dio! , aveva urlato Giovanni Paolo II ad Agrigento vent’anni fa. Benedetto XVI aveva poi bollato la mafia come incompatibile con il Vangelo. Ma la condanna più grave ed esplicita, una condanna senza appello, è arrivata ora da papa Bergoglio.
Cacciati definitivamente
Fin dai primi tempi della Chiesa, la sanzione della scomunica veniva espressa – nel diritto canonico – con la formula “a communione repellatur”. Vale a dire che il colpevole – in quanto indegno – era cacciato, espulso definitivamente dalla comunione dei fedeli: comunità di persone e comunità di cristiani che con il sacramento della comunione realizzavano il momento più alto della loro fede.
Senza più ambiguità
Già il 21 marzo, in occasione della “Giornata della memoria e dell’ impegno” annualmente celebrata da Libera, Papa Francesco (incontrando con Luigi Ciotti i familiari delle vittime di mafia) aveva ricordato ai mafiosi che le loro malefatte li avrebbero inesorabilmente portati, dopo la morte, all’inferno. La scomunica ora li colpisce già in vita e nello stesso tempo è un severo monito alla Chiesa perché sia reciso ogni rapporto con i boss, rinunziando alle ambiguità, passività e disattenzioni che troppo spesso si son dovute registrare nel passato.
Ai livelli più diversi: dal cardinal Ruffini, per il quale parlare di mafia era una provocazione comunista o nordista (al punto da costringere ad una lunghissima, ostentata ed umiliante attesa Tina Anselmi, inviata apposta da Roma per chiedergli qualche “orientamento” sulla mafia); fino al carmelitano padre Frittitta, capace di celebrare messa – senza vergogna – nella cappella privata che Pietro Aglieri aveva fatto allestire nel suo “covo”, lo stesso dal quale partivano ordini di morte e di delitti assortiti.
Come se la mafia, coltivando i riti vuoti di un cattolicesimo tutto santini, devozioni ipocrite e confraternite, potesse nascondere sotto una crosta di falsa sacralità – insieme alla lupara – il suo comportamento blasfemo, intriso di violenza, prepotenza e sfruttamento.
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La speranza è che le parole di Papa Bergoglio riescano a spezzare questa crosta ingannevole, ottenendo uno scatto di responsabilità che finalmente superi un agire troppo vecchio o timoroso (se non anche connivente), trovando il coraggio di rinnovare. Senza coraggio ( per dirla col linguaggio degli uomini di Chiesa) non c’è freschezza del Vangelo. Non c’è speranza di slegare le bende ed i bavagli che per troppo tempo hanno reso forti i mafiosi e mortificato i valori, costringendo il nostro popolo a subire infamie tremende insieme ad un doloroso turbamento sociale e morale.
In ogni caso, Papa Francesco obbliga tutti ad una presenza davvero significativa sulla questione mafia: che significa – in particolare – obbligo di progettare senza limitarsi ad inseguire emergenze o pronunziare condanne occasionali ed isolate