Mafie a Bologna: chi non le vede, chi le combatte
In una delle regioni più civili d’Italia la mafia ormai ha ben più che delle semplici teste di ponte. Le istituzioni reagiscono? Ancora troppo poco. Ma soprattutto reagiscono poco i cittadini, cullati nell’illusione di “altrove ma non qui”
Mentre a Parma nel carcere di massima sicurezza Provenzano inscenava un tentativo di suicidio, il TAR della stessa città respingeva il ricorso di due ditte edili che erano state escluse da appalti pubblici perché sospettate di infiltrazioni mafiose. La Prefettura della città aveva emesso la contestata interdittiva, confermata ora dai giudici: rapporti familiari e rapporti societari con persone malavitose con precedenti per associazione a delinquere, estorsione, usura, riciclaggio.
Notizie attuali, assolutamente non eccezionali: anche in una regione considerata avanzata e civile (e pure di sinistra) roba ormai di ordinaria amministrazione.
Sembra non entrarci molto, ma credo che ci siamo persi l’occasione di rifare l’educazione collettiva rivedendo politicamente i 150 anni dell’Unità d’Italia.
Se pensiamo che 150 anni fa per andare da Bologna a Modena ci voleva il passaporto (i bolognesi erano soggetti alle leggi del Legato pontificio diverse da quelle dei modenesi sudditi del Duca) e un mercante alla frontiera dava certamente un aiutino al gabelliere del dazio perché chiudesse un occhio, ci rendiamo conto che quelli che realmente interpretano i diritti di cittadinanza sono gli eredi delle minoranze illuministe, patriote, socialiste e, poi, antifasciste e resistenti. Ancora minoranza.
Senso dello Stato generalizzato? troppo poco. Ovunque. Siamo, infatti, molto meno lontani fra di noi di quanto non sia lunga la catena degli Appennini.
Se il Nord fosse “migliore” o anche solo del tutto diverso, avrebbe opposto alla penetrazione mafiosa quella resistenza morale che si manifesta storicamente solo nei tempi, poi chiamati “eroici”, in cui va a rischio, oltre alla convivenza, la sopravvivenza. Tuttavia dovrebbe essere sempre possibile “prevenire” i guai, quando si sentono arrivare.
I Siciliani giovani sanno già molto della nostra realtà e hanno ricevuto parecchia informazione da Bologna, dove non solo le istituzioni democratiche “reggono”, ma è presente “Libera” e anche all’Università il problema viene studiato e a Giurisprudenza funziona un laboratorio, animato dalla prof. Stefania Pellegrini, che mette a fuoco le infiltrazioni nel settore edile, negli esercizi pubblici (pizzerie, bar, baretti e barettini), nei giochi e, soprattutto, il fenomeno del decentramento nella nostra regione dei sorvegliati speciali.
La stessa Procura regionale registra i delitti di specie, come l’usura, le estorsioni, la ripulitura di capitali illeciti, l’acquisizione di quote societarie nelle imprese.
Tuttavia è vero che siamo diventati un paese ben strano: mi è stato detto che a Scampia c’è chi si sentirebbe rassicurato dalla ripresa degli ammazzamenti (“se ricomincia la faida e si fanno guerra fra di loro, almeno noi possiamo stare tranquilli”); a Bologna, dove un 5% dei commercianti paga il pizzo, la gente continua a far conto di niente e il Presidente di Confindustria ha candidamente dichiarato di non aver mai sentito parlare di mafie.
Eppure la Regione ha disposto interventi importanti (forse meno tempestivi del dovuto: il giornalista Bombonato dice che “la politica ha dormicchiato”) e il Prefetto non ha nascosto le sue preoccupazioni.
A Modena Giovanni Tizian – un giovane giornalista precario che tutti dovrebbero conoscere – dal 22 dicembre è stato posto sotto scorta, ultimo segnale di brutte storie, purtroppo non recenti. E’ un precario che rischiava la vita per 4 euro al pezzo. Qualcuno potrebbe chiedersi perché: perché ha il senso corretto della professione giornalistica: non intervistava vittime, ma “informava”. Deve essere perché pochi sono come lui se Réporters Sans Frontières declassa i media italiani, mentre i cittadini non si rendono conto di essere diventati meno liberi (Telejato docet).
A Modena, infatti, succedevano cose strane, come incendi dolosi (contro ignoti?), seminagione di bossoli nei cantieri, un Zagaria latitante intercettato sul treno Modena-Napoli e non catturato (ed era uno venuto a controllare i suoi affari). A Parma Saviano ha denunciato l’ “aria rarefatta”, irrespirabile perché sa di mafia. A Castelfranco, dice una magistrata, “nel viale principale si parla casalese”.
Più o meno la stessa aria attorno a sant’Agata, a Granarolo, a Novellara, a Nonantola, sulla costiera romagnola (diciamo un simbolo per tutti, “viale Ceccarini” di Riccione). Senza contare San Marino, ormai paradiso fiscale e centrale del riciclaggio. Accade così che per la ricostruzione dell’Aquila le mafie siano partite da Reggio Emilia, non da Reggio Calabria.
Di fatto le organizzazioni interessate a infiltrare un territorio ricco di quel benessere che rende insensibili e vulnerabili sono state attente a non creare traumi con omicidi e violenze dirette: i reati perseguibili senza particolare rilevanza sono droga, sfruttamento della prostituzione, asservimento.
Anche per gli appalti la partecipazione malavitosa si indirizza alla miriade dei subappalti e al bisogno dell’imprenditoria di contare su servizi a basso costo, come possono essere i trasporti (e i relativi padroncini complici dei mercanti di droga), le forniture di calcestruzzo, i rifiuti.
Giova lavorare nel sommerso e nel nero, inserire propri fiduciari per acquisire il controllo delle assicurazioni e negli enti pubblici, impegnarsi nell’usura.
I mafiosi hanno bisogno del silenzio per poter lavorare nell’indifferenza; per questo rappresentava una minaccia gravissima per la magistratura la volontà del passato governo di limitare le intercettazioni o il rifiuto del ministro Maroni della Direzione distrettuale investigativa antimafia.
Le finestre di vulnerabilità sono state aperte tutte, a partire dalla scelta del Nord per il soggiorno obbligato dei malavitosi, che ha consentito il radicamento delle famiglie.
Ormai il collegamento Sud-Nord è diventato tramite, attraverso l’Emilia-Romagna e la Lombardia collegate, con l’Europa.
La crisi, in questo contesto, diventa cruciale e rafforza i pericoli. Mentre cresce lo spread e l’euro ondeggia, le banche fanno poco credito, le aziende e gli esercizi commerciali hanno bisogno di liquidità, la speculazione immobiliare e perfino i mutui sono alla resa dei conti, cresce la disoccupazione.
Si tratta di condizioni che per il potere occulto che fattura 70 miliardi diventano opportunità di acquisire maggior potere.
Solo per alto senso del dovere ci diciamo ottimisti. Tuttavia le normative degli Enti locali, i sequestri di proprietà e di beni delle mafie o i grandi sforzi di don Ciotti e del volontariato non sono diventati occasione di condivisione collettiva e di solidarietà comune.
Sarebbe una buona cosa se anche i Siciliani allargassero il loro indirizzario ed entrassero nel nostro territorio con una controinfiltrazione ausiliaria…
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non si riesce a combatere sono radicate nella pubblica administrazione da per tutto ci vuole un miracolo ce sempre stato richi +richi pecore+pecore