Mafia Spa
Debito pubblico, spread, default, crack. Centodiciotto virgola quattro per cento del Pil, milleottocento miliardi di euro che dobbiamo a qualcuno. Ma di che parlano tutti? Dopo essere stati tutti allenatori di calcio e politologi internazionali, in questi giorni stiamo diventando forzatamente esperti economisti. Sento operai parlare di Bot e Cct e massaie chiedere al marito “hai guardato la Borsa oggi”?, sta diventando un incubo. Ci stanno terrorizzando con la storia del debito pubblico, ci raccontano che falliremo, che finiremo come la Grecia. Non ci dicono che ci sono nazioni messe peggio di noi che peró convivono tranquillamente con il loro debito e nessuno le bracca. Insomma siamo nel mirino di speculatori e banche internazionali che vogliono la nostra economia, i nostri beni artistici, il nostro lavoro e in taluni casi anche la nostra biancheria intima.
Di fronte a tali pressioni nemmeno Silvio Berlusconi, che è egli stesso il pelo sullo stomaco, ha resistito e ha passato la palla a Mario Monti, consulente della Goldman Sachs.
Seppur ancora in pectore mentre scrivo, Monti certamente perderà l’occasione per fare cassa e farla subito. Stampando moneta, vendendo il Colosseo, facendo rapine? No, mettendo le mani nelle tasche delle mafie senza farsi riguardo. Tagliando immediatamente la spese per il mantenimento della politica e destinando risorse straordinarie alle forze di polizia, che ormai sono costrette ad accettare risme di carta e computer dalle scuole.
Basta dare un’occhiata al conto economico del 2010 di Mafia Spa (che è anche il titolo del mio libro, uscito qualche settimana fa con Editori Riuniti, prefazione di Antonio Ingroia) per capire di cosa parliamo. 138 miliardi di euro di ricavi, 33 miliardi di costi per un utile d’esercizio di 104 miliardi di euro. Le due aziende che seguono, o meglio, cercano di inseguire i nostri sono Assicurazioni Generali, con 120 miliardi l’anno e l’Eni con 83.
Già, ma è frutto del mercato illegale, diranno i furbi, lo Stato non può raffinare e spacciare droga. Infatti non dobbiamo fare concorrenza alle mafie, solo saccheggiare ogni risorsa rintracciabile. E per iniziare possiamo, per esempio, ridare le scorte ai magistrati anticamorra di Napoli, qualche rotolo di carta igienica alle forze dell’ordine e magari iniziare a pagar loro anche gli straordinari. Sarebbe un investimento a rischio zero: più mezzi, più controllo, più risultato., non serve un esperto per capirlo, ma soltanto uno in buona fede.
Ma, come sempre, anche stavolta le mafie finiranno in soffitta. Le innominabili forze del male non saranno considerate causa della crisi economica. Si ignorerà il danno che causano e si chiederanno lacrime e sangue ai cittadini, che però stavolta sono a secco delle une e dell’altro.
E pensare che se facessimo pagare le tasse alla più grande azienda italiana, ovvero Mafia Spa, finirebbero nelle casse dello Stato circa 22 miliardi di euro, pari a circa il 27 per cento sugli utili.
Visto che non abbiamo alcuna intenzione di combatterla, almeno facciamole pagare le tasse, iscriviamola a Confindustria e consideriamola “una di noi”, tutti gli effetti.
Benny Calasanzio