Mafia-padrona: tre decenni di dominio fra cosche e logge
Trent’anni (il prossimo 25 gennaio) dal delitto del magistrato Gian Giacomo Ciaccio Montalto. Ventisette anni dalla strage di Pizzolungo…
Ventisei anni dalla scoperta della loggia segreta Iside 2 dove erano scritti professionisti, colletti bianchi, politici, mafiosi.
Ventiquattro anni dall’omicidio del giudice Alberto Giacomelli. Ventiquattro anni dal delitto di Mauro Rostagno. Venti anni dalle stragi di Capaci, via D’Amelio e dal suicidio di Rita Atria. Venti anni dal tentato omicidio del vice questore Rino Germanà.
Diciassette anni dal delitto dell’agente penitenziario Giuseppe Montalto, omicidio che fu il “regalo di Natale” del capo mafia Matteo Messina Denaro ai mafiosi detenuti al 41 bis.
Undici anni dall’arresto dell’ultimo super latitante trapanese, Vincenzo Virga. Sette anni dalla cattura dei componenti dell’ultima cupola mafiosa conosciuta della provincia di Trapani, quella capeggiata dall’imprenditore e padrino don Ciccio Pace.
Che ha governato il rapporto tra la mafia, la politica e l’impresa, che ha ordinato l’inabissamento di Cosa nostra come ha voluto il sanguinario e volgare assassino Matteo Messina Denaro. Don Ciccio Pace è forse l’unico dei capi mafia siciliani che è in carcere a scontare condanne per associazione mafiosa e non ergastoli per delitti.
Totò Minore, Vincenzo Virga, Francesco Pace e oggi Matteo Messina Denaro. Dal 1982 ad oggi sono stati i capi della mafia trapanese.
Matteo Messina Denaro oggi guida il mandamento di Trapani e quello di Castelvetrano, certamente governa la cupola provinciale, dall’alto di quella autorità che gli è stata passata da suo padre, il patriarca della mafia belicina Francesco Messina Denaro, ma anche da Totò Riina e Bernardo Provenzano, testimone del comando che perché detenuto gli è stato passato dal più potente dei mafiosi trapanesi, don Marianino Agate da Mazara del Vallo.
Se fosse libero lui guiderebbe la mafia trapanese e non Matteo Messina Denaro.
Dal 1982 ad oggi la presenza mafiosa trapanese è segnata da sangue, morti ammazzati, faide, ma anche inciuci, crocevia di misteri, politica, servizi segreti, italiani e stranieri, Gladio, massoneria.
E’ la storia della mafia che qui in questi tempi è tornata ad essere sommersa perché qui era nata sommersa. Infiltrata nella borghesia, nei salotti della città, nei circoli nobiliari.
Qui a Trapani pochi sono stati gli uomini d’onore con coppola e lupara, molti di più quelli che nel frattempo erano nobili, banchieri, professionisti… borghesi.
Ninni Cassarà che nel 1985 finì ammazzato a Palermo, andò via da Trapani dove aveva guidato la Squadra Mobile dopo un alterco con il questore e dopo che era andato a bussare alla porta di un circolo che ancora esiste, in via Palmerio Abate, a un tiro di schioppo da prefettura, questura e tribunale.
All’ombra di questi “palazzi” i borghesi si incontravano, i borghesi non “punciuti” si vedevano con quelli “punciuti”, e parlavano, parlavano, parlavano, concordavano le cose da fare e da far fare.
Fu lì che anni dopo in una intercettazione gli investigatori guidati da uno dei successori di Cassarà, il dirigente Giuseppe Linares, sentirono fare a due persone un discorso strano, uno chiedeva ad un altro il consiglio, ma era in realtà la richiesta di un permesso, a realizzare una impresa, una attività, gli investigatori sentirono delle strane parole, una risposta che li lasciò perplessi, “un fari e un fare fari”, non fare e non lasciar fare.
Tempo dopo capirono quegli investigatori, quando cominciarono a venire fuori grandi e anche piccoli appalti che giravano sempre tra le stesse imprese, che quello non era il momento di fare e non era nemmeno il momento di lasciar far fare, tutto doveva restare immobile, in attesa dei tempi giusti, che arrivarono, quando mafia, politica e impresa a Trapani riuscirono ad accomodarsi allo stesso tavolo.
La vicinanza tra affari leciti ed illeciti fu tale che alla fine il sistema legale divenne quello illegale, e che la normalità era quella di vedere, senza farci molto caso, il mafioso in grisaglia che usciva dall’ufficio del politico. Don Ciccio Pace è stato uno di questi. Usciva spesso dalla segreteria di un deputato regionale di Forza Italia, in corso Italia, nel cuore di Trapani. Uno di quei politici che diceva di conoscere l’uomo e non il mafioso. Pace d’altra parte era un mafioso assolto e ripagato dallo Stato per ingiusta detenzione. Era anche sorvegliato speciale, ma mica si può sapere tutto. Certo se poi qualcuno non consente che il giornalista possa scrivere bene e in evidenza la notizia, il gioco è bello e fatto.
Trapani nel 2012 resta una provincia in Italia dove lo Stato da sempre è Cosa Nostra, anzi “Cosa Loro”. Dove per costruire il nuovo Palazzo di Giustizia ci sono voluti decenni. Dove anche i fidanzamenti e i matrimoni sono regolati dalle regole dell’onorata società. Figurarsi l’elezione di un sindaco.
Trapani oggi è la città che ha sempre una miriade di sportelli bancari, dove hanno riaperto le finanziarie e dove innumerevoli sono i negozi che comprano oro. Dove non mancano le sale bingo e del poker on linre. Slot machine in ogni bar.
Paolo Borsellino e Giovanni Falcone avrebbero avuto l’idea di creare un pool antimafia a Trapani. Se Palermo è la capitale della mafia, Trapani resta la capitale del settore finanziario, lo zoccolo duro di Cosa Nostra dove il controllo del territorio è pressocché totale, dove il rapporto con le istituzioni e con la Massoneria è tradizionale.
L’organizzazione ha concorso a coordinare anche la gestione di iniziative imprenditoriali. Trapani è la città, la provincia, dove più antichi e collaudati sono i rapporti tra cosa nostra e le famiglie mafiose sparse sui 5 continenti e altre organizzazioni criminali estere.
La provincia siciliana dove per decenni si è sparato di meno è anche la più impenetrabile e quella dove ogni anno finiscono in manette almeno 100 persone per associazione mafiosa ma pochi sono i collaboratori di giustizia le cui rivelazioni non riescono ad intaccare il nodo imprenditoriale economico mafioso riguardando il passato e non le evoluzioni attuali. Cosa Nostra da queste parti ottiene quello che vuole senza sparare, fa affari con gli appalti e si siede nei salotti che contano.