Mafia e poteri mafiosi
30 aprile 1982. A Palermo la mafia uccide PIO LA TORRE ed il suo autista ROSARIO DI SALVO. Secondo Dalla Chiesa “PER TUTTA LA SUA VITA, MA DECISIVA LA SUA ULTIMA PROPOSTA DI LEGGE”, quella che La Torre, parlamentare eletto nelle liste del PCI, presentò nel 1980 (VIII legislatura), raccogliendo i risultati delle Commissioni parlamentari antimafia delle legislature precedenti. Punto di partenza è che la mafia… esiste. Non è una boutade.
E’ una conquista. Basti pensare che ancora a metà degli anni Settanta, mentre i più negavano l’esistenza stessa della mafia, altri osavano persino sostenere: “Si è detto che la mafia disprezza polizia e magistratura: è una inesattezza. La mafia ha sempre rispettato la magistratura, si è inchinata alle sue sentenze e non ha ostacolato l’opera del giudice. Nella persecuzione ai banditi e ai fuorilegge ha affiancato addirittura le forze dell’ordine”.
Non sono parole in libertà di un qualche buontempone. Sono parole di Giuseppe Guido Lo Schiavo, procuratore generale presso la corte di cassazione.
Pio La Torre la pensava diversamente e aveva le idee chiare, non solo circa l’esistenza della mafia, ma anche sulla sua struttura complessa, per cui articola la sua proposta su due versanti:
1) Mafia come gangsterismo, intimidazione, assoggettamento/omertà;
2) mafia come potere basato sulla accumulazione illecita di ricchezze.
Ne consegue che la STRATEGIA della LEGALITA’ ANTIMAFIA, nel progetto La Torre, si sviluppa lungo due binari:
– la repressione sul versante che potremmo definire delle “manette”;
– e l’ aggressione ai patrimoni illeciti.
Ottimo progetto. Che però resta in un cassetto. Per varie ragioni: in particolare l’intreccio perverso fra mafia e potere che soffoca e stritola, e può arrivare ad uccidere. Come appunto, purtroppo, nel caso di La Torre.
Quattro mesi dopo (3 settembre 1982) la mafia uccide il gen. Dalla Chiesa. L’effetto di due spietati omicidi “eccellenti”, così ravvicinati, equivale ad una specie di “uno-due” pugilistico. Costringe il nostro Paese a misurarsi finalmente con la tremenda realtà della mafia. Il progetto di Pio La Torre viene “recuperato” e approvato dando vita alla LEGGE ROGNONI-LATORRE. La Torre, appunto, e Rognoni, allora Ministro dell’interno.
Così, sono legge dello stato:
1) l’art. 416 bis codice penale – per la prima volta la mafia è riconosciuta come comportamento penalmente vietato e punito dal grande libro dei delitti e delle pene, il codice penale appunto;
2) le misure antimafia di prevenzione patrimoniale, che in sostanza consentono di sequestrare e confiscare a chi sia considerato mafioso i suoi beni, salvo che egli ne dimostri la provenienza lecita.
Due capisaldi – anche oggi – della legislazione antimafia. Che ancora una volta dimostra di essere LEGISLAZIONE DEL GIORNO DOPO (in questo caso due volte del giorno dopo, essendoci voluti ben due omicidi “eccellenti” perché ci svegliassimo da un sonno della ragione che favoriva e alimentava il mostro mafioso). E tuttavia, sia pure in ritardo, si compiono – sulla strada dell’efficacia del contrasto del crimine mafioso – passi per la prima volta davvero decisivi, l’uno e l’altro dovuti all’intelligenza di Pio La Torre e intrisi del suo sangue.