Mafia e antimafia I volti della mia città
Conosciamo i mafiosi trapanesi, vecchi e nuovi. E chi li ha combattuti e li combatte…
Nel tempo a Trapani i visi dei boss sono stati quelli di Totò Minore, Francesco Messina Denaro, i campieri diventati latifondisti, Vincenzo Virga e Francesco Pace, i boss diventati imprenditori, Mariano Agate e Francesco Messina, l’imprenditore ed il muratore diventati mammasantissima da quando furono ammessi a sedere alla tavola del corleonese Totò Riina, Vito ed Andrea Mangiaracina, anche loro mazaresi, che potevano permettersi (Andrea) di incontrare a quattr’occhi il ministro degli Esteri Giulio Andreotti, il senatore a vita le cui accuse di mafiosità sono state prescritte (ciòè non più perseguibili perché il tempo a disposizione dato ai giudici per pronunciare la condanna è risultato scaduto quando Andreotti finì davanti ai giudici di Palermo).
Oggi la mafia è quella di Matteo Messina Denaro erede di Francesco, il “patriarca” del Belice, capo di una Cosa nostra che dalla mafia delle armi e delle bombe è ora diventata “sommersa” ma per questo non meno percepibile. Ma è anche la mafia di imprenditori mai punciuti e che usano le imprese come un mafioso potrebbe bene usare un’arma. Ci sono gli imprenditori che pagano la “quota associativa a Cosa nostra”, che si informano come debbono comportarsi se prendono un appalto fuori da Trapani, come avrebbe fatto Vito Tarantolo al quale sono stati appena sequestrai beni oltre 30 milioni di euro, o è la mafia degli imprenditori che scontati la pena sono tornati liberi e ricevono ogni giorno l’omaggio della gente.
Come succede a Ciccio Genna che giorno per giorno abita al Borgo, una volta cuore della mafia delle campagne, e dove riceve saluti e distribuisce consigli.
Oggi la mafia di Matteo Messina Denaro è fatta anche da insospettabili, persone apparentemente al di sopra di ogni sospetto, che si muovono tra la politica e l’economia, e fanno tanta campagna elettorale in questi giorni.
La mafia a Trapani non ha colore politico, te la ritrovi distribuita in modo trasversale, da sinistra a destra, anche perché qui non c’è poi una sinistra, tranne rare eccezioni, così “chiacchierona” contro i mafiosi e i corrotti, spesso guarda e non parla.
Conosciamo i volti dell’antimafia che ha avuto e ha il volto di Gian Giacomo Ciaccio Montalto, magistrato, ucciso nel 1983, di Ninni Cassarà, capo della Mobile, ucciso nel 1985, di Mauro Rostagno, giornalista, ucciso nel 1988, di Giuseppe Montalto, agente penitenziario, ucciso nel 1995, di Alberto Giacomelli, giudice, ucciso nel 1988, di Rino Germanà, poliziotto, commissario a Mazara, sfuggito ai sicari di mafia nel 1992, di Carlo Palermo, magistrato, scampato all’autobomba di Pizzolungo nel 1985, di Margherita Asta, attivista di Libera, figlia e sorella delle vittime della strage di Pizzolungo, di Giuseppe Linares, ex capo della squadra Mobile e oggi dirigente della divisione Anticrimine della Questura di Trapani da dove dà la “caccia” ai tesori e alle casseforti della nuova mafia, di Andrea Tarondo, magistrato della Procura di Trapani, che ha alzato tanto il livello di contrasto contro i mafiosi e i colletti bianchi, andando anche a riaprire armadi che si pensavano fossero stati chiusi per sempre come quelli sulla Gladio trapanese, da meritare una cimice collocata dentro la sua auto da qualche manina di un qualche 007, non è stato lavoro di qualche mafiosetto ma da specialiasti.
L’antimafia ha il volto sofferente di un ex prefetto, Fulvio Sodano, inchiodato su una poltrona e legato ai respiratori per potere continuare a vivere, cacciato da Trapani nel 2003, ha ancora il volto di tanti ragazzi, studentesse e studenti, che hanno capito quanto grave sia la situazione che hanno deciso di dedicare ore di studio alla legalità, smentendo il neo sindaco di Trapani, un generale dei carabinieri, Vito Damiano, che aveva detto di non gradire motlo che di mafia si parlasse a scuola, e invece questi studenti hanno detto di volere capire il male che la mafia ha seminato in questa terra, e conoscere così quali strade non dovranno mai percorrere.
Vorremmo conoscere adesso i volti di chi, a sentire qualcuno, ha fatto antimafia per fare carriera, che così ha ottenuto lavoro, guadagni, spesso ce li hanno indicati come “professionisti dell’antimafia” che era la stessa cosa che tanti anni addietro veniva pronunciata nei confronti di due giudici dilaniati dal tritolo mafioso.
Anche Falcone e Borsellino venivano chiamati professionisti dell’antimafia, additati, indicati, così alla fine sono finiti ben posti al centro del mirino che i mafiosi tenevano acceso attendendo il momento buono per premere i loto timer: lo hanno fatto, a Capaci, il 23 maggio del 1992, in via D’Amelio a Palermo il 19 luglio dello stesso anno.
Anni prima lo avevano fatto a Pizzolungo, il 2 aprile 1985, quando cercarono di uccidere il pm Carlo Palermo e fecero a pezzetti una mamma ed i suoi due figlioletti. Nel 1983 stessa cosa, autobomba imbottita di tritolo, per Rocco Chinnici, il capo dell’ufficio istruzione di Palermo. Anche loro venivano guardati come professionisti dell’antimafia.
Una lunga premessa per dire “benvenuti a Trapani”. La città della vela e del sale, si legge all’ingresso della città sui cartelli turistici, dove nel 2005 si è sperimentato, prima di attuarlo altrove, il sistema “protezione civile” e “grandi eventi” per fare svolgere le gare internazionali della Coppa America, dove il denaro scorreva a fiumi e la mafia si ingrassava.
La città che in 20 giorni ha messo una targa su una strada dedicandola ai “grandi eventi” per celebrare i fasti della vela mondiale e che invece ha impiegato decenni, vent’anni, per dedicare una via, una piazza, alle vittime di Cosa nostra.
D’altra parte Trapani è la città dove i sindaci andavano dicendo che la mafia non esisteva mentre Cosa nostra piazzava autobombe e ammazzava magistrati, e oggi ci sono sindaci che dicono che di mafia non bisogna parlarne o che l’antimafia è peggio della mafia, o ancora ci dicono che la mafia è sconfitta mentre loro stessi vengono condannati per favoreggiamento a imprenditori mafiosi, come è successo al primo cittadino di Valderice Camillo Iovino, che condannato non si è dimesso, ma nemmeno c’è stato chi ha molto insistito perché lo facesse, e con la faccia tosta giorni addietro è salito in prefettura per firmare assieme al ministro dell’Interno Cancellieri un protocollo di legalità contro la mafia e la corruzione.
Benvenuti a Trapani quindi, la città dove Cosa nostra e massoneria hanno animato le stanze del potere segreto ma quello era, ed è, il vero potere, pubblicamente riconosciuto; la città cassaforte di Cosa nostra, dove si è annidato, è cresciuto, il potere economico dei boss che non portano più coppole e lupare ma indossano le grisaglie proprie dei manager; la città dove sono cresciute a dismisura banche e finanziarie dinanzi ad una povertà incredibile, alla disoccupazione crescente.
Qui la mafia si è sommersa da tempo secondo una precisa strategia, perché così è diventata impresa, ha fatto diventare legale il proprio sistema illegale, qui la mafia “vive” mentre la gente è costretta a “sopravvivere” e spesso di questo i cittadini non si rendono conto. Per disattenzione, per complicità, per quieto vivere. Benvenuti a Trapani.
Trapani è tante cose, rappresenta lo zoccolo duro della mafia e non solo perché qui si nasconde l’ultimo dei grandi latitanti di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro, 50 anni e dal 1993 ricercato per delitti e stragi, cresciuto seguendo l’esempio del padre, il patriarca della mafia belicina, Francesco Messina Denaro, campiere di grandi latifondisti, come la famiglia D’Alì di Trapani, Tonino è senatore dal 1994, e oggi è sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa; ma Matteo ha anche impersonato i due volti della mafia, quella violenta, militare, di Totò Riina e quella di Bernardo Provenzano che ha saputo infiltrarsi dentro i gangli istituzionali, ritenendo migliore “scendere a patti con lo Stato”.
A Trapani la mafia resta quella che nel 1988 veniva raccontata da Mauro Rostagno, forte e inviolabile, protetta da insospettabili alleati, e così quando invece del solito boss le indagini colpiscono il colletto bianco, il professionista, il politico, spesso arrivano gli attacchi, “il terzo livello qui non deve toccarsi. E così succede che a Trapani c’è chi dice che è l’antimafia che produce la mafia o ancora c’è chi volendo per forza smentire sostiene che ci sono notizie gonfiate messe apposta in giro.
Poi le stesse persone le ritrovi a celebrare Paolo Borsellino dimenticando che Borsellino ci ha detto che una sentenza di assoluzione non significa per forza non colpevolezza e se il reato penale non è stato possibile provare tra le pagine di queste sentenze spesso ci sono elementi che dovrebbero provocare le condanne morali, l’espulsione dall’impegno politico per esempio.
Nelle aule del Tribunale di Trapani si è spesso ascoltata la storia di una mafia che è stato tanto sfrontata, che ha avuto, ed ha, tanti di quegli appoggi e di quelle complicità, da potere autonegare la sua esistenza. Il capo mandamento Francesco Pace, condannato a 20 anni, in un processo dove nessuno ha pensato di costituirsi parte civile, intercettato è stato sentito dire che la mafia lo ha rovinato, poi però ha continuato quel discorso quel giorno e negli altri ancora, parlando di appalti da pilotare, di cemento da vendere, di prefetti e poliziotti da far mandare via da Trapani. E quello che il boss andava dicendo trovava negli stessi momenti riscontro nei salotti e nei bar, era la prova che la mafia era capace, e lo è ancora, di fare tam tam di ciò che pensa e pretende che a pensarlo siano tutti in questa città. Un giorno l’allora capo della Mobile, Giuseppe Linares, si sentì dire da un noto avvocato che questi aveva saputo il suo trasferimento da Trapani era questioni di giorni.
Si era creato un tam tam e le parole della mafia erano così circolate. Il sistema funziona da tempo: nel 1988 quando ammazzarono Mauro Rostagno, il capo mafia di Mazara Mariano Agate interpellato da altri “picciotti” disse che Rostagno “era stato ucciso per questione di corna”, mentre invece l’ordine di morte era partito da un giardino di agrumi nelle campagne di Castelvetrano dove Francesco Messina Denaro aveva convocato chi doveva occuparsi di “fare stare per sempre zitto quella camurria di giornalista”. A oltre 20 anni da quel delitto oggi in Corte di Assise a Trapani si stanno processando i mafiosi che uccisero Rostagno, e quella voce che questi era stato ucciso “per questione di corna” sfacciatamente è entrata anche in questa aula di giustizia, e il boss Mariano Agate, che Rostagno in tv sbeffeggiava, sarà certamente contento.
Non viviamo in una terra normale purtroppo e ce ne accorgiamo ogni giorno di più. In una terra dove ogni giorno dovremmo ricordare che la mafia è merda, come diceva fino a 30 anni addietro a Cinisi Peppino Impastato contando i 100 passi che dividevano la sua casa da quella di don Tano Badalamenti, prima che una bomba lo facesse saltare in aria. Anche Peppino era un professionista dell’antimafia, e anche lui ha avuto il suo bel tritolo. Magari lo fanno a Trapani, lo facciamo, ma spesso tanti lo fanno per fare scena, spettacolo, spente le luci si torna al solito andazzo.
E così nessuno si stupisce se Doriana Licata, medico di Campobello di Mazara, la nipote di un grande imprenditore, Carmelo Patti, al quale lo Stato vuole confiscare 5 miliardi di euro di beni, perché si ritiene che quel denaro serva al super latitante Matteo Messina Denaro, oggi candidata alle elezioni regionali, ogni giorno spenda fior di denaro per conquistare il sostegno della gente, o ancora ti ritrovi con Crocetta che sostiene il rinnovamento antimafia della Sicilia soggetti come un consigliere provinciale, Matteo Angileri, che fino a qualche giorno addietro andava sostenendo che quasi era tutto inventato quello che si diceva su Trapani e se la prendeva con Michele Santoro per via di quel reportage dove si raccontava la storia di quel prefetto che aveva sfidato il potere mafioso e politico della città. Benvenuti a Trapani.
Meno male che i sei tu… Blogger di grande sensibilità .. A volte i tuoi articoli sembrano colate di vomito incontrollabili. Solo il sospetto per te e’ sufficiente per vomitare le tue intuizioni e a volt anche strumentalizzazioni addosso ad obbiettivi facili. ma perché non fai delle vere inchieste invece di scrivere quello che c’e scritto sui documenti processuali. perche in italia i giornalisti dono sempre espressione di un potere. So che il tuo comportamento e’ a fin di bene, ma credo che la mediocrità aggressiva fa solo del male.
dove sta la mediocrità aggressiva di chi riporta ciò che è appurato dalla magistratura?? direi la mediocrità sta nel cercare di denigrare senza argomenti chi impiega tempo e denaro nell’informare le persone di ciò che accade attorno a loro; di chi mina come un cancro questo paese; ed anche di chi meschinamente per paura, forse invidia, od omertà…semplicemente non riesce ad accettare che si parli di come realmente stanno le cose; mi auguro che lei sappia molto di più di qualche carta processuale e che magari lo dica a noi…nel frattempo però, grazie all’autore dell’articolo che impiega il suo tempo a svegliare qualche mente dal torpore.