Ma è ancora l’Italia dei misteri
La ricerca della verità: una responsabilità di tutta la società civile
“Io non cerco vendetta, voglio sapere perché è morto Paolo. Non importa quanto ci vorrà, fosse anche un’eternità. Io, di certo, non vivrò abbastanza per conoscere la verità. Non importa. E’ importante, invece, che la conoscano i cittadini italiani. Tutti dovrebbero pretenderla a gran voce. Perché non basta il grande impegno della magistratura. No. Ci vuole molto altro per arrivare alla verità, ne sono convinta, adesso più che mai. Innanzitutto, bisognerebbe aprire gli archivi di Stato. E guardarci dentro. Perché, purtroppo, tante verità sono ancora dentro i palazzi delle istituzioni”.
Le parole di Agnese Borsellino, racchiuse nel libro di Salvo Palazzolo “Ti racconterò tutte le storie che potrò”, riaccendono i riflettori sulla responsabilità della società civile nella pretesa della verità sulle stragi del ‘92/’93. Penso alla Sicilia come alla vignetta di Forattini all’indomani della strage di Capaci: una testa di caimano con la forma dell’isola che addenta un falco mentre da un occhio scende una lacrima.
A Palermo l’aria è tesa. Il rischio di nuovi attentati è qualcosa di più di una semplice ipotesi. Le ultime minacce captate dal capo di Cosa Nostra, Totò Riina, si prestano a molteplici interpretazioni, ma sono altrettanto univoche nel rappresentare un reale segnale di morte verso quei magistrati impegnati nella ricerca della verità.
Ma chi vuole questa verità?
Ma quale Stato vuole questa verità? Non certamente quello di Napolitano che, sollevando il conflitto di attribuzioni davanti alla Consulta nei confronti della Procura di Palermo, è entrato a gamba tesa nel processo sulla trattativa Stato-mafia. Processo al quale decisamente non vorrebbe partecipare per non rispondere su quanto di sua conoscenza in merito alle terribili dichiarazioni del suo ex consigliere giuridico Loris D’Ambrosio deceduto nel 2012.
“Preoccupano e fanno riflettere”
“Lei sa di ciò che ho scritto anche di recente su richiesta di Maria Falcone – scriveva Loris D’Ambrosio a Giorgio Napolitano il 18 giugno 2012 –. E sa che in quelle poche pagine non ho esitato a fare cenno a episodi del periodo 1989-1993 che mi preoccupano e fanno riflettere; che mi hanno portato a enucleare ipotesi – solo ipotesi di cui ho detto anche ad altri – quasi preso anche dal vivo timore di essere stato allora considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi”.
In un Paese “normale”
In un Paese “normale” l’intera società civile chiederebbe a gran forza al proprio Presidente di dire tutto quello che sa su quegli “indicibili accordi” che inevitabilmente hanno portato a vere e proprie trattative consumate sul sangue di tante vittime innocenti.
In un altro Paese l’intera collettività si schiererebbe al fianco di quei magistrati che, rischiando la vita, continuano ad applicare il sacrosanto principio della legge uguale per tutti, mandando a processo uomini delle istituzioni su cui pesano gravissimi capi di imputazione. Rabbia, disillusione, amarezza, ma anche tanta voglia di riscatto.
Tutto questo si continua a respirare nella terra dei coccodrilli. Alla finestra c’è il solito popolino affacciato a guardare la partita. Che mai come in questo tempo ha invece bisogno di giocatori attivi e coscienti, piuttosto che osservatori passivi e complici.
Il ruolo della società civile assumerà sempre di più un peso determinante nella bilancia della giustizia. Se sarà capace di superare divisioni e diversità mantenendo fede all’obiettivo di ricostruire il nostro Paese attraverso la verità, questa lotta avrà avuto un senso.