L’ombra di don Totò
Giuseppe Salvatore Riina, si proprio lui, il figlio del temibile Totò, arriverà in Veneto, a Padova, dove sarà ospite di una onlus, e dove continuerà i suoi studi presso la Facoltà di Economia
La notizia ha suscitato un vespaio di polemiche, presto trasformatesi nella sterile riproposizione di stereotipi che più che danneggiare, in una estenuante riattualizzazione plurisecolare, hanno favorito la diffusione di una immagine delle consorterie mafiose impregnate di tradizionalismo meridionale, il solito prodotto degradato, proveniente da un mondo sottosviluppato, il mezzogiorno.
Ma se il governo cittadino, di centro sinistra, non ha potuto far altro che accettare la decisione del tribunale siciliano, promettendo un monitoraggio costante della situazione, l’opposizione ha riproposto la consueta campagna di stampa, rimettendo sul tavolo della polemica tutti i cavalli di battaglia che sin dagli anni ottanta hanno masso al centro le critiche contro la legge del confino coatto al Nord per i criminali.
Ma il problema sta proprio qui, ovvero credere che la mafia al Nord è arrivata grazie ai mafiosi al confino, o almeno solo tramite questo provvedimento legislativo, rinnegando così qualsiasi responsabilità delle classi dirigenti locali, politiche e imprenditoriali, che, sempre secondo questa impostazione, sono rimaste vittime contaminate dal mordo criminale, che dal sud, grazie ad una legge sciagurata, è arrivato al Nord, infestando un florido sistema economico, e mettendo in serio pericolo le virtù civiche delle genti locali.
Ma nei primi giorni di marzo sui principali quotidiani locali veneti è stato possibile leggere due racconti che correvano paralleli, quindi simili, ma che sembravano non incontrarsi mai.
Da un lato la vicenda di Riina jr. con tutto lo strascico di polemiche al seguito, dall’altro il racconto di udienze processuali, resoconti d’indagine, indizi su nuove inchieste in corso, con al centro l’ibridazione fra crimine organizzato e imprenditoria locale.
Sarebbe stato facile chiedersi se il problema era realmente l’arrivo di Riina jr.
a Padova, oppure il livello d’infiltrazione nell’economia nordestina degli interessi camorristi o mafiosi.
Ma porsi la domanda avrebbe implicato dare una risposta, e nella risposta difficilmente si sarebbe potuto evitare di tenere in considerazione le oggettive ammissioni, in primis, degli organi istituzionali, i quali negli ultimi tempi sul radicamento del fenomeno mafioso in terra padana hanno espresso parole ferme e ineccepibili.
Ma un certo modo di intendere l’antimafia al Nord, molto più diffuso di quanto si pensi, e trasversale politicamente, ha nel corso tempo costruito un arguto stratagemma retorico che recita più o meno così; la mafia al nord non esiste, se esiste è colpa del governo di Roma che ha imposto il soggiorno obbligato.
In questo modo si sono ottenuti due risultati; il primo è quello di mantenere la criminalità organizzata nel recinto “dell’altro da me”, una cosa lontana, altra rispetto alle sane consuetudini delle popolazioni del nord, ma il risultato più importante è quello di disconoscere sia un parziale fallimento nella gestione delle politiche decentrate, che in fondo la criminalità organizzata non è riuscita a contrastarla almeno come si sarebbe voluto, sia riconoscere che un concorrente, sicuramente sleale, inficia da vicino una certa idea di organizzazione sociale.
La rappresentazione del Nord del paese organizzata da fasce importanti di ceto dirigente, basata su conservatorismo sociale e morale, cozza contro una realtà dove la dimensione economicistica ha assunto sempre più un ruolo predominante, e se la discriminante è solo un parametro quantitativo, conta sempre meno il come si è raggiunti il benessere, ma raggiungerlo.
In questo Riina jr. non ha alcun ruolo, tranne che distrarre l’opinione pubblica da compiti di riflessione collettiva ben più importanti.