Lombardia: ‘ndrangheta e sanità
Devo essere grato a Roberto Formigoni, governatore della Regione Lombardia, per avermi finalmente spiegato in che modo si sia potuto realizzare l’incontro di amorosi sensi tra la ‘ndrangheta e la prestigiosa sanità lombarda.
Era da circa due anni che me lo chiedevo. Da quando era stato arrestato il direttore generale della Asl di Pavia, Carlo Chiriaco, con l’accusa di essere affiliato ai clan. Attenzione: non amico o complice ma proprio affiliato.
Com’era stato possibile nominarlo a quell’incarico di potere e di pubblica responsabilità? Che cosa bolliva nella pentola dell’istituzione Regione?
Pensai che il potentissimo Giancarlo Abelli, ras riconosciuto della sanità pavese, già consigliere regionale e oggi parlamentare, potesse averlo appoggiato in nome di una comunanza di interessi.Venne fuori in effetti che Abelli intratteneva buone e utili relazioni con questo Chiriaco.
Basta così? No. Pochi mesi dopo venne fuori che la Regione aveva nominato come direttore generale della Asl 1, titolata ai controlli sull’Expo, un signore di Desio di nome Pietrogino Pezzano, filmato dai carabinieri con uomini dei clan e di cui questi ultimi parlano nelle intercettazioni come di un amico di rispetto.
Solo la rivolta dei sindaci, e una nuova inchiesta dell’Arma, bloccarono l’ardita idea. Il problema saliva di grado.
Come era possibile dopo un arresto ai vertici fare un’altra nomina a rischio per gli stessi tipi di contiguità? Forse, mi domandavo, i buoni rapporti con la ‘ndrangheta fanno punteggio come un master alla Bocconi?
Le ultime vicende, e il modo in cui Formigoni le sta affrontando, hanno spiegato tutto (all’occhio del sociologo, si intende).
La sanità pubblica in Lombardia è diventato un affare per privati. Privato l’uso delle risorse pubbliche, privati gli interessi che bussano e a cui si apre, private le congreghe, anche se con targhe pubbliche. E tra privati un po’ spregiudicati e che non vedono nulla di male nella corruzione alla fine ci si annusa e ci si intende.
Uno si chiama Caio, l’altro Tizio, l’altro ‘ndrangheta. L’importante non è il nome, ma la disponibilità a fare causa comune e scambiarsi favori. E voti, magari.
E io che mi ci arrovellavo. Vedete invece quant’era semplice?