Lo sguardo di Shadi
Scene di vita quotidiana da un angolo del pianeta Terra
Shadi Alanzen, ventidue anni, cittadino di Gaza, ha un sogno: raccontare al mondo la vita a Gaza, i ragazzini, i bambini, la sopravvivenza quotidiana dopo la violenza che la sua terra ha subito questa estate. Shadi vuol raccontare con i suoi occhi e suoi scatti la resistenza del suo popolo.
Il suo sogno è lo stesso dei ragazzi della sua età. E’ la resistenza civile sua e dei palestinesi giovani come lui, che ha quello stesso strumento non violento: una macchina fotografica.
Shadi ci aveva mandato delle foto alcuni mesi fa. Poi, subito dopo era andato a fotografare Jabalia, un territorio a nord del mare. Lì, mentre fotografa l’esercito israeliano viene colpito da gas emesso in una normale giornata di repressione.
Niente di che, sembrava, una normale infiammazione che normalmente si poteva rivolvere con una convalescenza di un paio di giorni. Tre, quattro, un paio di settimane: ma sono ottanta giorni che é malato e non ci vede bene, e non sa che gas hanno usato su di lui. Alcuni volontari lo avevano portano all’ ospedale, per una prima cura, poi é stato dimesso.
Le macerie recenti
Qualche settimana dopo era già in viaggio, cercando di attraversare il valico che porta all’Egitto e da lì oganizzarsi.
Ma dal valico di Rafah non si può passare, e Shadi torna indietro. Cammina a piedi per una cinquantina di chilometri fino ad arrivare a casa sua. E nel frattempo l’infiammazione ad uno dei suoi occhi comincia a diventare un incidente che cambirà la sua vita.
Passano così questi ottanta giorni, e Shadi fa i primi due interventi al centro oftalmico dell’ospedale di Gaza. I medici gli fanno presente che dovrà farne almeno altri sei, di questi piccoli interventi, ma mancano perfino i medicinali piú basici: forse sarebbe meglio spostarsi in un altro ospedale.
Shadi comincia così a chiedere aiuto: “C’è qualcuno che può farmi curare, fuori dal mio paese, con una situazione traumatica come la mia? Potrei avere un permesso una volta aperto anche per un solo giorno il valico per Rafah”.
Nel frattempo la vita a Gaza trascorre con una infelice quotidianità, e i bambini che lui vorrebbe filmare per un documentario vivono la normalità delle macerie. Ci sono macerie strutturali, come le scuole e gli ospedali fatiscenti o le case con le pareti aperte, e ce ne sono altre recenti, ferite nuove, profonde e laceranti. E resistenza e depressione, voglia di vivere e desiderio di resa viaggiano attraverso le immagini che lui ha voluto fotografare.