Lo sgombero di Palazzo Bernini
Lo dice Federica Frazzetta, del collettivo che denuncia il trattamento riservato dai media agli occupanti dello stabile. Descritti come ladri e delinquenti, «brutti sporchi e cattivi».
Per lei e gli altri componenti del gruppo dipingere gli abitanti di palazzo Bernini in questi termini ha il solo obiettivo di addossare le responsabilità della criminalità diffusa su chi, estraneo alla comunità, non può ribattere.
“Fanno troppo rumore”
Sotto i portici il 17 luglio, giorno dello sgombero, c’è anche il signor Pino. «Ve l’ho detto di non fare correre e giocare sotto i portici i bambini, di non lavare le macchine, di non fare rumore: se non vi facevate notare non vi cacciavano», dice Pino alle famiglie, raggruppate sotto la precaria galleria dello stabile di viale Bernini. Lui fa il posteggiatore abusivo, proprio di fronte al palazzo.
Gli occupanti, che sono appena stati buttati fuori dai vigili urbani, parlano di lui come «di una persona amica», anche se si dice che Pino, abitante del quartiere vicino che si chiama Picanello, abbia chiesto una volta dei soldi ai residenti del palazzo per restare in zona. Che si sono rifiutati di pagare.
Ma la sua presenza un po’ ambigua, insieme a quella dei ragazzi del collettivo Aleph, rimane l’unico segno di solidarietà registrato in sei mesi. Perché da gennaio «non si è visto nemmeno un assistente sociale», afferma sicura Federica. A peggiorare le cose i catanesi della zona, che evitano il contatto tra i propri bambini e quelli «degli zingari».
«La Catania-Bene non può accettare una situazione del genere», conferma un abitante del quartiere, che si chiama Pippo, e ha circa 70 anni. Non vuole sentire ragioni: «Queste persone rovistano nei rifiuti, rubano nelle case, sporcano, e s’avvicinano quando siamo in piazza. La gente scappa perché ha paura, ci mettono un attimo a uscire il coltello».
Pippo non cita mai un episodio di criminalità visto da lui direttamente, ma parla con indignazione di quella volta che «al mare un gruppo si è buttato con tutti i vestiti, sono usciti dall’acqua e si sono fatti la doccia. Vestiti!».
Una doccia parecchio malintenzionata secondo Pippo che, stanco di argomentare, dichiara: «Vorrei vedere se li avesse lei sotto casa». E continua a camminare indisturbato per il viale. Intanto gli operai mandati dal Comune hanno lavorato sodo: superata la previsione di «murare tutti gli ingressi in due settimane», in appena sei giorni, il 23 luglio, non c’è un solo accesso libero al palazzo.
Piove, e tutti i mobili e gli effetti personali sono zuppi d’acqua, materassi compresi. «Dormirò qui stanotte, che posso fare», esclama sconsolato Dino.
Cento famiglie vivono oggi a Catania nelle baracche di Zia Lisa, proprio accanto al cimitero, in condizioni igienico sanitarie pessime, tra un torrente inquinato, una montagna di rifiuti e centinaia di ratti.
Non stanno meglio gli altri, almeno centosessanta secondo il Comune, che vivono invece in Corso dei Martiri, dentro tre fosse create negli anni ’50 per realizzare un mega progetto di riqualificazione, che dopo quasi sessanta anni – e il forzato trasferimento degli abitanti del quartiere San Berillo – forse partirà in autunno.
I lavori in Corso dei Martiri…
«Queste persone dovranno andare via prima che inizino i lavori in Corso dei Martiri», spiega l’assessore Pennisi. A supporto di queste persone rimane solo il cosiddetto Presidio Leggero, un servizio di prossimità garantito da operatori pubblici e privati sociali come la Caritas. «Per queste persone, non essendo catanesi, non c’è possibilità di accedere a servizi di Social Housing», afferma l’assessore. Per gli sfollati del palazzo Bernini e quelli che a breve dovranno lasciare il Corso dei Martiri, servirebbe un campo di transito, la cui realizzazione viene continuamente rinviata. «Tra queste persone c’è chi può restare, chi deve tornare a casa, chi dovrebbe andare in galera – sottolinea Pennisi – Solo quando avremo un quadro completo potremo parlare di un campo di transito». «Dosta alle baracche!».