Lo sgombero di Palazzo Bernini
Centocinquanta persone cacciate da Palazzo Bernini, l’immobile comunale abbandonato e trasformato in casa da famiglie di bulgari e rumeni. Negli stessi giorni, una campagna istituzionale contro i pregiudizi razziali…
Succede a Catania, dove le politiche di accoglienza sono affidate in larga parte ai privati sociali e dove in pieno centro è cresciuta una baraccopoli in cui convivono topi e bambini
«Dosta!» significa «basta!» nella lingua romanì. È il nome di una campagna di sensibilizzazione contro i pregiudizi verso Rom, Sinti e Camminanti lanciata dall’Unar, ufficio nazionale anti-discriminazioni razziali.
Catania è stata la prima delle cinque città italiane scelte per questo progetto, lanciato il 19 luglio alla presenza del prefetto Francesca Cannizzo e dell’assessore alle Politiche sociali Carlo Pennisi.
«Catania in fatto di ospitalità non ha termini di paragone», dichiarava il prefetto proprio quando, a pochi chilometri, alcune famiglie venivano cacciate da un edificio di proprietà comunale abbandonato, il cosiddetto palazzo Bernini.
Niente manganelli e poliziotti per lo sgombero: la mattina del 17 luglio una squadra di operai mandata dal Comune si è presentata sul posto, e con mattoni, cazzuola e cemento ha iniziato a chiudere gli ingressi all’edificio, un lavoro andato avanti per giorni. E chi nomade non voleva essere dovrà tornare a esserlo.
Come Dino, un ragazzo bulgaro di 21 anni che, per far vivere sua moglie e il figlio di cinque mesi, raccoglie rottami in ferro. «Fino a un mese fa abitavo in una baracca, ma appena ho potuto sono venuto qui. Lì c’è troppo caldo e sporcizia, e non voglio tornarci», dichiarava Dino a inizio luglio.
I manovali hanno concluso il proprio lavoro in un giorno di pioggia, il 23. La moglie e il figlioletto «sono tornati nella baracca in corso dei Martiri, almeno lì hanno un tetto e non si bagnano».
Erano in centocinquanta ad abitare nel palazzo Bernini di Catania. Uomini, donne e tanti bambini. Famiglie come quella di Dino, occupanti abusivi di un edificio destinato ad uffici comunali ma abbandonato dall’amministrazione subito dopo l’acquisto, nel 1999.
Persone diverse, provenienti da Romania, Bulgaria, Africa, e anche una coppia di italiani.
Quattro palazzine, un normale condominio, con l’energia elettrica, l’intonaco rovinato e qualche stanza senza porte. Unico vero disagio la mancanza di acqua corrente: la strada da percorrere «per andare alla fontana a riempire i bidoni» è faticosa, ed espone agli occhi della gente «che guarda male e giudica».
“Sono senz’acqua? Bene!”
Ma, secondo l’assessore alle Politiche sociali di Catania, la mancanza di acqua è paradossalmente un bene.
«Queste persone non devono stare comode. Anzi, devono stare scomode così è più facile che decidano di andarsene», dichiara l’assessore Pennisi, fautore di una politica di assistenza ai bisognosi che si può riassumere con una semplice battuta: «eliminare le enclavi».
Nei giorni dello sgombero, a pochi ex occupanti del palazzo Bernini è stato dato un biglietto di sola andata per il proprio Paese di origine.
«Una decina appena, gli altri sono tornati nelle baracche» secondo i volontari del collettivo politico Aleph, che da gennaio hanno supportato i residenti nelle piccole operazioni quotidiane, a cominciare dalla pulizia dell’immobile.
«C’erano carcasse di motorini e ogni genere di spazzatura. Ma quello che non s’è mai visto sono le siringhe».