L’imprenditore bifronte
Alfio Castro subito dopo la scarcerazione per la condanna per associazione mafiosa, come si diceva, riprende i rapporti imprenditoriali con il gruppo di Mimmo Costanzo e Concetto Bosco. Più precisamente, come risulta dalla sentenza pronunciata dalla Corte di Assise di Messina del 30.3.2012 nel processo c.d. Vivaio, Castro Alfio viene delegato da parte di Concetto Bosco a fungere da intermediario con le ditte locali del barcellonese che avrebbero dovuto rifornire di circa un milione di metri cubi di materiale inerte il cantiere Scianina, alle condizioni più vantaggiose per la Consortile.
In esecuzione del mandato Castro contatta tre ditte barcellonesi, titolari di cave in grado di allestire per la Tecnis la rilevante fornitura. Castro è a conoscenza, secondo la sentenza citata, che dette ditte erano già sottoposte ad estorsione da parte della mafia barcellonese.
All’incontro organizzato da Castro con i rappresentanti delle tre ditte barcellonesi viene invitato a partecipare il referente mafioso del gruppo barcellonese, Giuseppe Isgrò, che detta la condizione che la mafia locale avrebbe dovuto ricevere a titolo di pizzo 1 euro a metro cubo sull’intera fornitura degli inerti, una cifra intorno ad un milione di euro. Nel successivo mese di aprile 2005 Castro incontra, presso la sede della Tecnis a Catania in via Almirante 21, gli imprenditori per stabilire il prezzo finale. L’incontro, in base alle carte processuali, è fatto rivivere nelle parole dei partecipanti, titolari delle cave di inerti, confermate da ultimo dal racconto di Castro, nel frattempo divenuto collaboratore di giustizia.
Mimmo Costanzo e Concetto Bosco ricevono dapprima separatamente in un ufficio della Tecnis i due mafiosi, Castro e Isgrò, mentre i tre titolari delle ditte barcellonesi sono fatti attendere in una sala riunione. Dopo l’interlocuzione riservata, Costanzo e Bosco, presenti Castro e Isgrò ed anche alcuni ingegneri della Tecnis, comunicano ai titolari delle ditte il prezzo della fornitura, stabilito in 8 euro al metro cubo, precisando che 7 euro sarebbero stati versati ai fornitori degli inerti mentre il restante euro era destinato ai barcellonesi col sistema della sovrafatturazione.
L’accordo sembrava cosa fatta. Tuttavia, la mancata restituzione di mezzi meccanici per un valore di circa 200.000 euro, sottratti dalla mafia locale a Giacomo Venuto, titolare di una delle tre ditte barcellonesi, determina quest’ultimo a ribellarsi alla estorsione imposta. Il contrasto viene, in un certo qual senso, superato e risolto grazie ad una iniziativa di Mimmo Costanzo, che convoca Venuto e gli propone di effettuare l’intera fornitura al prezzo di 7 euro, aggiungendo che all’euro da consegnare alla mafia per ogni metro cubo avrebbe pensato lui personalmente.
Ha riferito in specie Giacomo Venuto deponendo alla Corte d’Assise di Messina: “Si, se la vedeva lui… Allora ribadivo, vedi che con questo ( Castro n.d.A.) non si scherza, perché sai sono gente pericolosa”. “ o, tu stai tranquillo, – ribatte Mimmo Costanzo – “ la fornitura la fai tu a 7 euro, il resto me l’ho visto io con chi di dovere e m’ha tranquillizzato.”
Prosegue ancora Venuto, a domanda del Pubblico Ministero: “Ho detto: può succedere che io già la prevedevo una cosa del genere, che mi davano.. facevano danni o furti o incendi, poteva succedere un po’ di tutto. E lui (Costanzo) ha detto “ No, stai tranquillo perché già io la situazione l’ho sistemata con chi di dovere”, punto.
Venuto, una volta iniziata la fornitura, a causa della mancata restituzione dei mezzi rubati, non consente alle imprese mafiose di effettuare alcun trasporto per suo conto. Segue puntuale la ritorsione della mafia che, nel settembre 2005, con un attentato da Far West, incendia alla Mediterranea Costruzioni, la società di Venuto, diversi mezzi meccanici.
Oltre al danno subito, per un valore di circa 700.000 euro, Venuto è costretto a cedere metà della fornitura oggetto del contratto, secondo i desiderata della mafia barcellonese.
Accade infatti che, dopo il clamoroso segnale di intimidazione inviato al fornitore, Bosco incontra Alfio Castro. Secondo il racconto processuale di quest’ultimo – divenuto collaboratore di giustizia – Bosco dopo averlo invitato a posare in ufficio il cellulare, passeggiando in un cortile lontano ad orecchi indiscreti, a proposito dell’incendio subito gli chiede se la “ discussione con Venuto” potesse avere fine.
E dal momento che Venuto, anche dopo l’incendio dei suoi mezzi, intende proseguire la fornitura senza ricorrere a trasportatori imposti dalla mafia, sono sottoposti a minaccia armata i conducenti dei camion incaricati dall’imprenditore. Inoltre, nel giro di pochissimi giorni la Mediterranea Costruzioni di Venuto riceve una diffida da parte della Tecnis a fornire con regolarità e senza intoppi il materiale inerte.
Alla fine, nel giugno 2006, Venuto deve capitolare e cedere ai voleri della mafia barcellonese, comunicando alla Tecnis di non potere continuare da solo la fornitura, che viene affidata per il 50% ad altra ditta del barcellonese.
Dal racconto di collaboratori e persone offese, emerge dunque che gli imprenditori Costanzo e Bosco si sarebbero resi disponibili, nei termini descritti, a pagare l’estorsione ai barcellonesi, avrebbero aperto tavoli di trattative con conclamati mafiosi, che poi coartarono la volontà di imprenditori a pagare il pizzo; non solamente, poiché, come si legge nella sentenza della Corte di Assise di Messina pubblicata il mese scorso, furono loro stessi sottoposti ad estorsione senza che tale condotta illecita fosse tempestivamente denunziata.
Si riporta un passo: “Bisognano (collaboratore di giustizia barcellonese, n.d.a.) ha dichiarato che all’estorsione ai danni dell’ATI Scianina era effettivamente interessata l’associazione mafiosa barcellonese. L’estorsione sull’impresa madre, quella cioè che doveva eseguire i lavori per il ripristino della galleria Scianina che era crollata, prevedeva il pagamento di un pizzo pari all’ 1% del valore dei lavori, mentre per eseguire le forniture di materiali all’impresa madre erano state scelte la Venumer, la Cogeca e la Mediterranea che avrebbero dovuto pagare una tangente di 50 centesimi o di un euro circa per ogni metro cubo di materiale fornito”.
I dati processuali indicano che i responsabili della Tecnis e CoGip per anni, peraltro in coincidenza della loro crescita imprenditoriale, hanno violato il codice etico di Confindustria, che così recita:
“Le aziende associate e i loro rappresentanti riconoscono fra i valori fondamentali della Confindustria Sicilia il rifiuto di ogni rapporto con organizzazioni criminali, mafiose e con soggetti che fanno ricorso a comportamenti contrari alle norme di legge e alle norme etiche per sviluppare forme di controllo e vessazione delle imprese e dei loro collaboratori e alterare la libera concorrenza.
Gli imprenditori associati adottano quale modello comportamentale la non sottomissione a qualunque forma di estorsione, usura o ad altre tipologie di reato poste in essere da organizzazioni criminali e/o mafiose. Gli imprenditori associati sono fortemente impegnati a chiedere la collaborazione delle forze dell’ordine e delle istituzioni preposte, denunciando direttamente o con l’assistenza del sistema associativo, ogni episodio di attività direttamente o indirettamente illegale di cui sono soggetti passivi”.
Veramente un bell’esempio di imprenditoria Siciliana……….ci sarebbero altri articoli da scrivere. Intanto queste persone sono ancora a piede libero……liberi di rovinare imprenditori onesti che impegnano tutte le loro forze per andare avanti e dare lavoro a tanti giovani Siciliani! Mi chiedo quando finira’ questo schifo e dove sono i veri politici e non solo mafiosi…………………..sono delusa:-(
Pingback: Giardini Naxos: quando il cemento copre il paradiso - Giornalettismo
E la gente continua ad opporsi. Vi pare strano? Propaganda martellante e grandi interessi sono elementi che condizionano la vicenda, ma il cittadino attento dovrebbe accorgersi che c’è un’altro fattore fuori misura: l’uso della forza, sproporzionato, utilizzata da anni per portare avanti quel poco di sondaggi così inutili per l’opera quanto basilari per la propaganda. Uso della forza e propaganda, due pilastri della vicenda TAV, che si sostengono a vicenda. A beneficiarne i burocrati che vivono a sbafo da anni grazie alla cortina di fumo e di parole. Parolai interessati, da non confondere con i fanfaroni grandi e piccoli della politica nazionale, regionale e locale che ad ogni occasione alzano il becco e starnazzano dandosi ragione reciprocamente. Gente con poca fantasia, che ripete da anni le stesse bugie: l’opera è essenziale, i No Tav sono criminali, i finanziamenti sono europei. Balle raccontate sperando di mantenere la poltroncina (e forse qualche prebenda).