Liberiamoci!
Dipingere la libertà nelle periferie di Trapani
Ci sono due pupi. Uno ha l’armatura rossa, la faccia cattiva. È una marionetta guidata da due occhiali da sole e due grandi mani.
Colpisce con la spada il secondo pupo, un cavaliere verde accasciato a terra, che riesce, con l’unico braccio libero che ha, a recidere uno dei fili che rende schiavo il suo avversario. Gli occhiali ricordano Matteo Messina Denaro, i pupi sono due pupi, siciliani e basta.
“Quale dei due pupi vorreste essere?” chiedo a due bambini. “Io non vorrei essere uno dei due pupi” risponde Daniele “io vorrei essere come Matteo Messina Denaro perché è furtuni. Lui quando passano gli sbirri gli fa ciao con la mano”. Invece Aria, di sette anni, dopo averci pensato un po’, risponde “Io sono il cavaliere verde, quello a terra, perché anche se sembra sconfitto in realtà taglia il filo a quello cattivo. E poi il verde è il mio colore preferito”.
Daniele ha otto anni, ma parla e tira in fuori il petto come se fosse più grande. Quando gli chiedo chi è Matteo Messina Denaro mi risponde che è un “bulletto”, che adesso tutti stanno cercando. Aria è piccolina, ha il viso dolce, si tiene spesso in disparte ed entra in gruppo solo quando si gioca a nascondino. Abitano a Fontanelle Milo, quartiere popolare di Trapani, riconosciuto come il “Bronx” o “lo Zen di Trapani”. Come ogni pomeriggio giocano ai piedi del lotto cinque della palazzina di Via Vito Calatabiano, dove da un mese è apparso un grande murales. A loro piace perché è colorato e perché ci giocano, cercando di colpire la parte più alta del disegno, dove c’è una scritta: Liberiamoci.
Nei palazzoni di fianco tutto sembra monotono: alto, grigio, sporco. Si leggono sui muri scritte del tipo “W Matteo Messina Denaro” o “Il bronx siamo noi” o ancora “Filippo sbirro come Buscetta”. Dai balconi delle signore guardano la strada, alcune sedute su una sedia richiamano i bambini che si allontanano troppo, altre si intravedono appena dalle finestre, silenziose. I cani ringhiano dalle case, i marciapiedi sono rotti e pieni di erbacce.
In una delle palazzine, al lato di un balcone al primo piano, è inchiodato al muro un canestro arrugginito, sotto ci sono i brandelli di un vecchio pallone di cuoio e vicino i pezzi di uno specchio rotto. A pallacanestro ci sta giocando Veronica, una bambina di nove anni, che per qualche tiro rimane scalza perché dice che riesce a saltare meglio, poi rimette le infradito.
Oltre i palazzoni c’è un grande campo, che viene usato come discarica. Ai lati è seduto Gabriel, un bambino di sei anni, che sta giocando al suo gioco preferito: contare quanti ”surci” passano nel campo. Quando mi chiede di giocare con lui, gentilmente passo. Gli chiedo cosa voglia dire la scritta del murales: liberiamoci, da cosa? “Dai fili” risponde naturalmente, e riprende a giocare.
Il murales riporta la data del 29 luglio e tre firme: Ance, Confindustria e Iacp.
“Cinque mesi prima della nascita del murales” spiega Edoardo, ventidue anni, uno degli autori dell’opera “sullo stesso muro erano apparse scritte a favore della mafia e di Matteo Messina Denaro”. Per rispondere alle scritte l’Iacp (Istituto autonomo case popolari) ha promulgato un bando perché fossero coperte da un’immagine che affrontasse il tema della giustizia, che parlasse di legalità contro la violenza.
Dieci giorni dopo, il progetto scelto è stato quello di quattro giovani artisti trapanesi, Edoardo Maria Manuguerra, Dario Di Nicola, Tito Francesco Buscaino e Andrea Alessandro Mancuso, riuniti nel collettivo “Desaparadise”. “Abbiamo scelto il tema dei pupi siciliani perché ci sembrava caratteristico e diretto” continua Edoardo “Abbiamo voluto presentare un’opera che lasciasse libera la lettura. Gli occhiali sono un chiaro riferimento a Matteo Messina Denaro, ma per il resto la scena è aperta, ognuno può leggerla come vuole. Ad esempio qualcuno potrebbe pensare che quello accasciato che taglia i fili allo schiavo sia lo Stato. Ma alcuni potrebbero pensare il contrario: lo Stato guidato da Matteo Messina Denaro”.
“Noi quattro ci siamo conosciuti al liceo artistico, poi abbiamo seguito percorsi diversi ma ancora ci ritroviamo nell’arte. Nessuno di noi aveva mai messo piede in questo quartiere prima dell’inizio dei lavori, per questo eravamo tesi” spiega Edoardo.
“Siamo arrivati a Fontanelle Milo con i colori e le impalcature e tutti ci guardavano incuriositi: sapevano che saremmo andati a dipingere, ma non sapevano cosa. Alcuni pensavano che fossimo andati a fare una gigantografia di Falcone e Borsellino e si sono subito infastiditi. Quando abbiamo spiegato che non avevamo intenzione di fare quello, sono rimasti a guardarci mentre lavoravamo, con curiosità’”.
“Mentre lavoravamo c’erano molti bambini che ci giocavano attorno. Alcuni chiedevano le bombolette argentate e insistevano dicendoci che non ci avrebbero lasciato dipingere, se non gliele avessimo date e spesso si avvicinavano per disturbare. Ma diverse volte erano i ragazzi più grandi che li allontanavano e li richiamavano a lasciarci lavorare, che se fossero avanzati i colori, li avrebbero avuti”.
“Molti ragazzi hanno assistito ai lavori, a molti abitanti del quartiere è piaciuto il lavoro che abbiamo fatto. Adesso è come se loro stessi li stessero custodendo”. Ad un mese dalla nascita, il murales è privo di scritte o alterazioni. “Anche per noi, al di là del messaggio morale del murales, è stato bello dare colore alla nostra città, in particolare in una zona abbandonata come Fontanelle Milo. Un progetto del genere, di queste dimensioni e con questo valore, non era mai stato fatto a Trapani. Ci auguriamo che sia il primo di una lunga serie”.