L’Expo è ferma ma gli appalti no
Tra le opere più controverse ci sono poi le nuove strade e autostrade. Sono opere indipendenti dall’Esposizione, ma per le quali l’evento avrebbe dovuto fungere da traino. E su queste infrastrutture su cui si concentrano forti interessi economici occorrerebbe di certo una maggior vigilanza. Per il 2015 potrebbe essere pronta solo la cosiddetta Brebemi, ossia la Milano-Brescia, a patto che vengano dissequestrati i cantieri bloccati a fine novembre in seguito all’arresto di una decina di persone tra cui il vicepresidente della regione Lombardia, Franco Nicoli Cristiani, nell’ambito di un’inchiesta su corruzione e traffico illecito di rifiuti: i cantieri sarebbero stati utilizzati per smaltire illegalmente rifiuti tossici, tra cui amianto, come sottofondo del manto stradale.
Quanto alla Tangenziale Est Esterna e alla Pedemontana, non ci sono i tempi e, soprattutto, i fondi. Colpa certo della crisi economica che ha colpito duro l’intero progetto dell’Esposizione universale: dall’Orto planetario che avrebbe dovuto superare la vecchia formula dei padiglioni tradizionali, si è arrivati a una sorta di “Fiera campionaria” in grande: l’idea di un’Expo basata sull’agricoltura e sulla sostenibilità declinava benissimo il tema dell’esposizione (“Nutrire il pianeta, energia per la vita”), ma non sposava a sufficienza le ragioni commerciali.
Di qui la decisione di ripiegare su una più ragionevole “cittadella digitale” che verrà realizzata su quel milione di metri quadrati acquistati a caro prezzo dalla società mista Regione-Comune: 200 milioni di euro, di cui poco meno di 50 sono andati ai privati e il grosso è stato pagato alla Fondazione Fiera che essendo proprietaria di buona parte di quell’area agricola ed essendo anche membro del comitato promotore di Expo ha provveduto fin dal 2008 a rivalutare i terreni nel suo bilancio. Una scelta che non ha mancato di sollevare un vespaio di polemiche.
Fin qui la storia. Ma di ritardo in ritardo, di taglio in taglio, cosa ne sarà di Expo? Il rischio non è tanto quello di un flop o dell’ennesima occasione sprecata, ma soprattutto quello che i due commissari Roberto Formigoni e Giuliano Pisapia, accampando ragioni d’urgenza, inizino a derogare dalle normative com’è loro potere. E’ già accaduto con la decisione di esentare dalla Valutazione di impatto ambientale (Via) uno dei progetti più invasivi dal punto di vista ambientale: la deviazione e la parziale copertura del torrente Guisa che attraversa l’area espositiva. Potrebbe accadere su altri, ancor più delicati fronti.
E’ proprio questo il rischio paventato dalla Direzione nazionale antimafia e anche da associazioni come Legambiente e Wwf che temono come l’Expo, perdendo la sua connotazione originaria caratterizzata da scelte a “impatto zero”, trasparenza e sostenibilità, finisca con il lasciare in eredità scempi ambientali e cementificazione selvaggia.
Come dargli torto, visto che ancora non si sa nulla circa la destinazione post 2015 dell’area espositiva e che al momento l’unica certezza è che, grazie a Formigoni, con la scusa dell’Expo si darà mano libera alla speculazione selvaggia su Milano e sulla Lombardia.
Il testo del piano casa lombardo che sta per essere approvato dalla commissione regionale, infatti, sancisce un vero e proprio far west: gli alberghi potranno essere ampliati quasi a piacimento, le volumetrie dei capannoni industriali potranno essere aumentate di un 10% anche in deroga alle normative urbanistiche, mentre potranno essere cedute o trasferite volumetrie su aree sia pubbliche sia private senza il consenso dei Comuni.
Oltre al recupero dei sottotetti trasformabili in abitazioni, il piano prevede anche la possibilità di abbattere un edificio e ricostruirlo più alto del 30%. L’unica speranza è che la bozza venga pesantemente emendata, ma la lobby dei costruttori è molto potente sia in Regione sia a Milano, come dimostra la controversa nomina del presidente dei costruttori, Claudio De Albertis, alla presidenza della Triennale, una delle più prestigiose istituzioni culturali milanesi.