L’eredità scientifica e tecnologica di Archimede
Vediamo ora perché la centrale “Archimede” è legata all’eredità scientifica e tecnologica di Archimede (Siracusa 287 a.C.- Siracusa 212 a.C.).
Una prima indicazione si può trovare nel comunicato dell’ENEL riportato sopra, là dove sta scritto:
«L’impianto è chiamato “Archimede” per gli enormi specchi parabolici in fila per “catturare” i raggi del sole, che ricordano gli “specchi ustori” di Archimede con i quali lo scienziato avrebbe incendiato le navi romane che assediavano Siracusa durante la guerra punica del 212 a.C.».
L’uso del modo condizionale dove è detto che lo scienziato avrebbe incendiato le navi romane è opportuno, infatti oggi la maggior parte degli studiosi ritiene che questo evento non sia storicamente provato, perché le testimonianze storiche più antiche che ci sono pervenute non ne fanno menzione ed inoltre perché sembra improbabile che Archimede disponesse degli strumenti necessari per costruire specchi ustori di dimensioni tali da poter incendiare a distanza le navi. Pure Apuleio, vissuto nel secondo secolo d.C. e oggi noto principalmente per aver scritto “ L’asino d’oro “, scrive di un’opera di Archimede, oggi perduta, intitolata “ Καταοπτριϰά” (in Italiano Catottrica) nella quale, tra l’altro, si trattavano la riflessione su specchi curvi e gli specchi ustori (si veda ad es. su Wikipedia la voce Archimede). L’esistenza della Catottrica di Archimede è attestata anche da altri Autori antichi e oggi è ritenuta certa. Ritengo perciò molto probabile che Archimede abbia studiato gli specchi ustori e conformemente al suo “bernoccolo” di fisico sperimentale oltre che teorico, ne abbia realizzati, anche se non di dimensioni tali da potere incendiare le navi romane. Peraltro, insieme con persone che ne sapevano molto più di me, come per es. Giambattista Vico, ritengo che anche le fantasie, quando non nascono col solo proposito di ingannare, debbono avere in misura non nulla un contenuto di verità.
Per spiegare la funzione che hanno gli specchi parabolici menzionati nel comunicato dell’ENEL darò fra poche righe una definizione di “arco di parabola” e quindi descriverò una sua proprietà. La parabola è una curva piana, cioè giacente in un piano, che fa parte di una famiglia di curve piane che si chiamano “sezioni coniche”. I principali risultati relativi alle sezioni coniche nel paradigma della matematica degli antichi greci sono dovuti ad Archimede e ad Apollonio di Perga (Perga 260 a.C.- Murtina 190 a. C.). Fin dai tempi prossimi a questi due matematici alcuni Autori greci hanno scritto che certi risultati sulle sezioni coniche esposti da Apollonio (senza dire che sono farina del suo sacco) sono stati dimostrati per la prima volta da Archimede, ma non voglio addentrarmi in queste questioni che sono state oggetto di controversie. Per dare la definizione di arco parabola mi riferisco alla Figura 1.
In Fig.1 è disegnato un cono con vertice in P segato (in Geometria si usa dire “secato”) dal rettangolo ABCD . Il rettangolo è tale ed è posto in modo da soddisfare le condizioni che vengono dette appresso. Si può dimostrare che una tale scelta è possibile. Il segmento AD è una corda del cerchio che è base del cono. Sia M il punto medio di AD. ST è il segmento perpendicolare ad AD, passante per M, giacente nel cerchio base del cono e che incontra la superficie del cono nei punti S e T. MV è il segmento perpendicolare ad AD, giacente nel rettangolo ABCD, V sta sulla generatrice PT del cono, l’angolo TMV è congruente all’angolo MSP, in altre parole questi due angoli hanno la stessa misura, quindi la generatrice SP è parallela al segmento MV, è facile vedere che questa condizione si può soddisfare ruotando il rettangolo
ABCD attorno ad AD come l’anta di uno sportello incernierato in A e in D fino a raggiungere la posizione giusta, ovviamente ho chiamato V il punto comune a PT e al rettangolo quando quest’ultimo è nella posizione giusta. La curva disegnata in Fig.1 , sulla quale stanno i punti A, V e D è, per definizione, un arco di parabola. Si possono dare altre definizioni equivalenti a quella data. Ho usato termini quali “segmento” e “rettangolo” e non termini quali “retta” e “piano” che, nella accezione moderna hanno un significato diverso da quello che avevano per gli antichi greci, perché retta e piano non stanno interamente dentro un supporto concreto, quale un foglio di carta, una lavagna, etc. Gli antichi matematici greci ritenevano che enti matematici, in particolare geometrici, che non si potevano rappresentare su un supporto reale (non solo pensato, ma anche esperito mediante i sensi) non hanno diritto di cittadinanza in una scienza come la matematica. Oggi il paradigma della matematica è diverso e permette di parlare di enti quali la retta, il piano, l’insieme dei numeri naturali etc. Gli antichi matematici greci tuttavia attenuavano la loro limitazione assumendo che, dato comunque un supporto, per es. un foglio, se ne poteva trovare un altro che lo conteneva e, dato comunque un segmento s questo si poteva prolungare da uno o da entrambi gli estremi in un segmento contenente propriamente s, e così via.
Dato un qualsiasi foglio di carta, una parabola, così come una retta, non si può disegnare tutta in quel foglio, per questo, mettendomi nel paradigma di Archimede, ho definito l’ arco di parabola e non la parabola.