Le lezione di Gezi Park
La protesta di Gezi Park ha mostrato alla comunità internazionale il volto migliore della Turchia: pacifico, coraggioso, aperto, tenace ed ingegnoso.
Cominciata come protesta ambientalista contro la distruzione del Gezi Park per fare posto all’ennesimo centro commerciale e cresciuta dopo la gratuita violenza usata dalla polizia per disperdere i pacifici manifestanti, il parco di Piazza Taksim è diventato il simbolo della rivolta contro il governo autoritario di Recep Tayyip Erdoğan, che, soprattutto dopo le ultime elezioni, credendo che la maggioranza ottenuta fosse abbastanza da mettere a tacere il resto della popolazione, ha premuto l’accelleratore sull’islamizzazione del Paese iniziata dieci anni fa.
Intimidazioni nei confronti dei media al punto che il 31 maggio, quando la polizia ha attaccato i dimostranti inermi che cercavano di raggiungere Taksim, nessun canale telvisivo ne ha dato la notizia; arresti di giornalisti, intellettuali ad artisti (basti pensare, di recente, ai casi del pianista Fazil Say, del giornalista Ahmet Şık e di Turkan Saylan, fondatrice dell’Associazione Turca per il Supporto della Vita Contemporanea); la gentrificazione di molte parti storiche di Istanbul, da dove gli abitanti originari sono stati mandati via e le loro case distrutte per lasciare il posto a hotel, residence e palazzi esclusivi; forti restrizioni alla legge sull’aborto (legale in Turchia dal 1983) e limitazioni alla vendita di alcol, sono alcuni dei motivi della protesta, al di là del piano di distruggere il parco.
Girando per Gezi Park, ci si rende conto di quanto diffuso sia il malcontento: ci sono studenti universitari e pensionati, lavoratori e disoccupati, curdi, aleviti, nazionalisti, musulmani anticapitalisti, kemalisti e comunisti, persone che hanno votato per il partito di Erdoğan, ma non si sentono rappresentati dal suo operato paternalistico ed autoritario. Tra i manifestanti, più della metà sono donne, giovani e meno giovani, che il governo di Erdoğan ha relegato sempre più all’esclusivo ruolo di mogli e madri.
Il clima a Gezi Park è gioiso e pieno di speranza: c’è chi canta, chi legge, chi intona cori per chiedere le dimissioni di Erdoğan, chi discute sul da farsi perché la protesta produca dei risultati concreti, chi disegna vignette satiriche, chi formula slogan arguti. chi gioca a pallavolo. I protestanti si organizzano per pulire il parco ed aiutano gli operatori ecologici che giornalemente portano via l’immondizia. Chi può porta da mangiare ed il mangiare viene distribuito gratuitamente. Ci sono un centro medico, uno veterinario ed uno ricreativo per i bambini dei manifestanti, una biblioteca ed un area con la televisione per chi la notte non riesce a dormire.
Laddove la stampa non ha fatto il proprio dovere, i giovani turchi hanno usato i social media, prontamente demonizzati da Erdoğan, per mostrare al mondo cosa sta succedendo. In un Paese diviso e polarizzato, dove il 70% della popolazione è al di sotto dei 30 anni, sono stati proprio i giovani a dare una lezione di democrazia ed un messaggio inclusivo ed apartitico, che mira solo ed esclusivamente a combattere ogni forma di fascismo ed a promuovere i diritti umani, dell’ambiente e la libertà di espressione. È la prima volta che così tanti turchi si uniscono per chiedere una sana democrazia che ascolti le voci del dissenso. Comunque vada a finire con il Gezi Park, questa è già una storica vittoria.