giovedì, Novembre 21, 2024
-mensile-Periferie

Le guerre diverse

Parla un giovane curdo, che non può dire il suo nome. Parla di vite martoriate dalla violenza. In nome di un razzismo – turchi contro curdi – che forse è solo l’etichetta di un conflitto fra emarginazione e potere. Come qui da noi, nei nostri ghetti

Le vie strette, i bambini che giocano in strada e gli anziani nei bar, le piccole botteghe colorate, le strade un po sporche animate da quella parte della società legata a lavori umili, alle scelte obbligate o precluse. Periferie.

Halil e’ un giovane universitario, ha vent’anni poco più e tante idee in testa, come ogni suo coetaneo ha il sogno e la volontà di cambiare se non il mondo almeno il suo mondo. Halil vive la sua periferia due volte, in quanto circoscritta ad una zona vecchia e povera della città (ma piena di bellezza e di storia, come spesso accade anche nelle nostre “periferie del centro”), ed in quanto periferia dei diritti dei popoli. Perché Halil vive e studia ad Istanbul ed e’ di etnia curda, che in Turchia significa appartenere non solo una minoranza, ma ad una cultura in ostaggio.

“Spiegherò i problemi che il popolo Curdo ha qui in Turchia. Voglio parlare prima di tutto del passato e di come siamo arrivati a questa situazione. Quando guardiamo indietro vediamo i Curdi sotto una continua oppressione. La loro identità non riconosciuta”.

Ci vuole parlare Halil della sua gente, quando diciamo di essere italiani alla ricerca di storie, di essere interessati alle vicende curde è lui a chiederci di essere di ascoltato, vuole rilasciare un’intervista “politica”.

“Il Governo [turco] cominciò una politica fascista discriminatoria. A causa di ciò molti giovani Curdi furono imprigionati e torturati. Questo diventò motivo per molti di spostarsi sulle montagne in gruppi e da lì combattere per mettere fine a questa tortura ed oppressione verso il proprio popolo. Cominciarono un offesa militare nominandosi partito PKK “Partiya Karkeren Kurdistan”, che in Turco significa Partito dei lavoratori Curdi”.

Come hai detto molti giovani hanno deciso di nascondersi sulle montagne del Kurdistan per iniziare una resistenza partigiana. Quali ideali hanno portato ad una decisione cosi’ difficile?

“Il PKK cominciò l’offesa militare per liberare il proprio popolo, per la propria identità. Molte persone persero la vita. Curdi e Turchi morirono in questa guerra. Ma essendo una guerra, le persone muoiono da entrambe le parti. Il motivo di tutto questo è che i fascisti Turchi non vogliono accettare e riconoscere il popolo Curdo. Ma i Curdi arrivano dalla Mesopotamia, dalla loro terra. I Turchi vi hanno allargato i loro confini e colonizzato i Curdi che non accettano questa sottomissione e decidono di resistergli”.

Credi che oggi, dopo tutte le morti da entrambe le parti, abbia ancora senso una resistenza militare?

“L’offesa militare non ha perso la sua importanza anche se i Curdi cercano di ottenere i loro diritti legalmente, democraticamente, lavorando anche diplomaticamente. Come fanno? Cominciarono in Turchia con il loro partito politico, prima HADEP, poi DTP ed oggi BDP. HADEP e DTP furono chiusi a causa delle oppressioni fasciste turche. Molte persone furono imprigionate, torturate ed alcune persero la vita. Ma nonostante tutto, oggi i Curdi sono più organizzati ed ancora continuano a combattere per i loro diritti in maniera diplomatica”.

Cosa impedisce allora di trovare un punto di incontro, di pace, tra il popolo curdo e quello turco?

“In migliaia hanno perso la vita. Per questo motivo, Curdi e Turchi oggi vogliono la pace. Ma alcuni non vogliono che questa pace avvenga. Forse è l’Iran o la Syria. Tre donne attiviste del PKK sono state uccise [il 10 Gennaio nei locali dell’Istituto curdo di Parigi], un massacro. Può essere stata la mano Turca, o Iraniana o Siriana. I Curdi oggi sono molti organizzati e vivendo anche in questi paesi c’è la paura che possano muoversi bene anche lì. Può essere che il massacro delle tre attiviste sia stato fatto per prevenire questa pace. Noi Curdi la vogliamo la pace, e credo che anche i Turchi la vogliono. Sono sicuro che arriverà presto e che vivremo pacificamente insieme”.

La libertà di un popolo passa sicuramente dalla sua capacita’ di avere dei figli istruiti. Tu hai deciso di non limitarti al liceo e iscriverti all’università’.

“Essere uno studente è difficile perché studiare è possibile solo se hai soldi. Ciò crea ingiustizie e disuguaglianze. Una famiglia che lavora regolarmente non può educare i suoi figli come vorrebbe. Quindi alcuni di loro interrompono lo studio per il lavoro, mentre quelli che continuano a studiare non riescono ad ottenere a scuola i loro diritti. I bambini di famiglia burjuva possono frequentare qualsiasi università vogliano, anche se non studiano, perché queste sono private. Gli studenti devono indossare un solo tipo di uniforme. Non siamo contro le uniformi ma vengono imposte come se fossero militari. In alcune università c’è la polizia che non vuole che gli studenti abbiano una propria visione ideologica e quindi li opprimono”.

E della condizione delle donne curde cosa puoi dirci?

“In Turchia le donne Turche e Curde hanno gli stessi problemi. Ma con una leggera differenza per le donne Curde. I loro figli sono stati perseguitati e le “Madri del Sabato”, come le chiamiamo noi, sono madri che cercano i loro figli dispersi. In linea generale l’uomo predomina sulla donna. Accade che le donne non possano camminare da sole in strada e che gli uomini irrompono in ogni parte della vita di una donna, limitandone i diritti”.

In Turchia parlare della situazione curda può essere pericoloso, perciò hai chiesto di non essere ripreso per timore di rappresaglie della polizia. Hai voluto invece essere rappresentato da questo quadro [copertina dell’articolo].

“Il colore del fiore è rosso, verde e giallo. Fatto artigianalmente da un amico in prigione, i colori simboleggiano la bandiera Curda. Noi lo guardiamo come un fiore che si apre alla libertà”.

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