Le donne dell’antimafia
Le loro vite, le loro storie, le loro paure
Donne, semplicemente donne. Sorelle, mogli, madri, figlie e nello stesso tempo giornaliste, sindaci, giudici, collaboratrici e testimoni di giustizia. Donne che hanno sofferto per la perdita delle persone che più amavano e di cui sono state capaci di proteggere e protrarre la memoria anche dopo la morte, trasformando l’assenza dei loro cari, in una grande testimonianza di coraggio, forza, onestà e fiducia nel futuro delle nuove generazioni e di questo paese.
Alcune di loro le conoscete sicuramente: Felicia Bartolotta, Elena Fava, Maria Falcone, Rita Borsellino, Rosaria Costa. Altre sono forse meno note: Anna Puglisi, Renate Siebet, Teresa Principato… Donne comuni nella maggior parte dei casi, che mai avrebbero immaginato di diventare simbolo della lotta alla mafia.
A loro è stata dedicata la mostra “Donne & Mafie”, proposta dall’Udi ed organizzata in collaborazione con il Comune e la Provincia di Catania all’inizio dell’anno presso il Palazzo della Cultura.
La partecipazione degli studenti
Nonostante la scarsa sponsorizzazione, questa mostra ha visto una grande partecipazione delle scuole medie e superiori della città, oltre che dei singoli cittadini.
Ma quanto è difficile raccontare con soli 46 pannelli le vite, le storie, le paure ma anche il coraggio di chi ha fatto della lotta alla mafia la ragione del proprio vivere? E, soprattutto, quanto è difficile raccontare tutto questo a dei ragazzi?
Diventa facile rispondere a queste domande dopo aver assistito a una visita guidata per gli alunni della scuola media Aandrea Doria (scuola che, nonostante il grande impregno contro la dispersione scolastica, è stata sfrattata dal quartiere San Cristoforo di Catania a causa della morosità del Comune).
Non servono strategie
Le difficoltà, infatti, spariscono quando a guidare i ragazzi sono donne attualmente impegnate nell’antimafia sociale o nella difesa delle famiglie coinvolte come vittime nei processi di mafia, come Elena Majorana e Adriana Laudani.
Ti rendi conto che non servono strategie, piuttosto una grande voglia di riscatto per la verità, per la memoria, per i diritti di cui ogni giorno le mafie privano i cittadini di questo paese.
I ragazzini e le ragazzine seguono attentamente con lo sguardo le loro mani indicare i volti delle protagoniste della mostra, ascoltano con interesse queste storie spezzate, scattano qualche foto ai panelli che raccontano le vite di chi ancora resiste e non si arrende all’oppressione delle cosche.
L’assenza dello Stato
Arriviamo quasi alla fine della mostra e una sezione viene dedicata anche alle donne mafiose, quelle che hanno sostituito i mariti a capo delle “famiglie”, ritenendo più opportuno entrare a far parte dei clan per vendicare i propri cari piuttosto che affidarsi allo Stato. Quello Stato che, con la sua assenza, ha contribuito alla morte di tanti testimoni e collaboratori di giustizia.
Sarebbe stato bello sentire i commenti degli alunni ma nessuno fa domande, nessuno esprime un pensiero. Non importa, la loro attenzione ha detto tutto, la mostra li ha colpiti! Ed una nuova classe sta arrivando.
Ricominciamo dalle donne
Molte volte mi sono chiesta quanto valore abbiano le parole: spesso, guardando i telegiornali e leggendo i giornali, mi sono detta che le parole non servono a niente, verba volant… Giorno dopo giorno tutti continuiamo a rinunciare ai nostri diritti e ci pieghiamo ad una mentalità mafiosa, se non alla mafia: “io non posso farci niente, tanto sono tutti così e non cambierà mai niente. Allora tanto vale essere come loro!”.
Oggi invece mi sono ricreduta: è vero, le parole non bastano, ma da qualche parte bisogna pur cominciare!
Ricominciare dalla consapevolezza, dalla memoria, dalla rivendicazione dei diritti. Ricominciamo insieme dalle donne, dalla loro forza e coraggio, ricominciamo dalla loro “normalità” anche nell’essere simbolo di una lotta lunga quanto la storia di questo paese.