Le “compagne” della sartoria
Un vecchio laboratorio di taglio e cucito, nel cuore del quartiere. Ma forse qualcosa di più
“Sin da bambina mi piaceva cucire, e quando da ragazzina cominciai a lavorare in una fabbrica tessile, dove io facevo piccoli lavori di manovalanza, mi piaceva osservare le operaie che tagliavano le camice o i pantaloni. Avevo tanta voglia di imparare quel mestiere! Così quando una capo operaia si accorse della mia vocazione e mi diede la possibilità di imparare il taglio dei capi ne fui molto felice. Tagliavo le stoffe per molte ore della giornata, ma siccome le forbici erano molto pesanti e molto grandi rispetto alla mie piccole mani, spesso mi venivano le piaghe alle dita. Ma non mi importava, mi importava solo di imparare a tagliare e cucire!”
Con queste parole Antonella Motta, la sarta del quartiere di San Cristoforo a Catania, l’anno scorso ha iniziato il primo incontro del laboratorio di sartoria nella sede dell’associazione Gapa in via Cordai 47. Un laboratorio proposto dalla stessa Antonella e sostenuto dai volontari del Gapa con l’obiettivo di insegnare a chi ne avesse voglia l’arte del cucire e nella speranza che questa potesse diventare un mezzo di lavoro e di guadagno per chi ne avesse voglia, capacità ed entusiasmo. Già perché l’entusiasmo per il suo lavoro, la gioia di insegnare e la generosità verso gli altri sono le caratteristiche che distinguono Antonella.
“Io qualcosa la so fare, però mi piace frequentare perché imparo cose nuove e faccio qualcosina per me, e poi mi piace perché trovo gente accogliente e disponibile” dice Maria.
“Vengo per imparare”, interviene Melina “così compro la stoffa e mi faccio i vestiti picchì sugnu ponchia.”
Dopo le prime lezioni teoriche si è passati subito alla pratica e sotto la guida dell’insegnante le partecipanti hanno cucito dei capi per loro stesse, per le loro figlie e per i loro mariti ed a fine corso c’è stata una bellissima sfilata con la premiazione degli abiti più belli.
Adesso siamo al secondo anno del corso di sartoria e grazie al passa parola fra le signore del quartiere c’è un’affluenza maggiore. Al laboratorio partecipano anche due ragazze laureate, Vanila e Cristina, che hanno un lavoro precario, che vogliono imparare a tagliare e cucire sia per potere guadagnare qualcosa cucendo abiti e vendendoli, sia perché questa attività può aiutarle a realizzare altri oggetti artigianali. Le signore vengono in sede, tirano fuori dalle proprie borse le stoffe, tagliano i capi, imbastiscono, cuciono, provano, riprendono le cuciture, allargano, stringono.
Ma il corso di sartoria non è solo questo, è qualcosa di più. E’un modo per intrecciare rapporti di amicizia e solidarietà attraverso la concretezza di un’attività manuale. Infatti durante tutta questa attività di taglio e cucito c’è un continuo parlare fra le donne, un assiduo confronto fra persone che vivono le stesse ansie che hanno le stesse preoccupazioni. Un continuo raccontare i propri problemi familiari. Il marito che non c’è più, i figli che non trovano lavoro, i soldi che non bastano mai. E poi il loro ruolo di donne, un ruolo pesante che non viene mai riconosciuto, ma che viene sempre portato avanti con responsabilità, forza e volontà. Occuparsi della casa e del marito, badare ai figli e spesso anche ai nipoti, farsi carico dei genitori anziani e malati e poi quando il marito non lavora quello di sbracciarsi le maniche e fare qualsiasi lavoro, anche il più umile.
Parlano di tutti questi argomenti senza piangersi sopra. Trovano solidarietà fra loro e si danno consigli utili a superare i grossi problemi.
“Qui siamo come una famiglia” afferma Lucia “ organizziamo incontri, a volte andiamo a mangiare fuori e stiamo bene insieme.”
Mimma, 75 anni ”Avevo 23 anni quando sono andata in Belgio a lavorare ed ho fatto la pantalonaia per 10 anni perciò so cucire. Faccio la nonna, la mamma, la sorella e la badante. Ma nonostante tutto sono una donna solare ed allegra e vengo qui perché mi piace stare in compagnia e perché mi piace fare qualcosa per gli altri… Qualche giorno mi ritiro a casa con gli occhi neri perché mi interesso sempre agli altri!”
“Ho cresciuto i miei figli, i miei nipotini ed adesso ne sto crescendo un altro.” dice Enza “Ad un certo punto non mi sentivo realizzata e volevo fare qualcosa di diverso per tenere la mente occupata, anche perché ho avuto un po’ di depressione perché ho mio figlio che non lavora.
Venire qui mi fa sentire bene e non penso a niente. E’ bello anche per le persone che ci sono. Peccato che non sono venuta prima!”
Poi all’improvviso Mimma tira fuori una battuta di spirito e allora si ride insieme, si sdrammatizza, si parla d’altro.
Basta piagnistei, basta pensare ai problemi giornalieri. Quella mattinata è dedicata a noi donne della sartoria e ce la dobbiamo godere tutta.
MESSINA, 26 MAGGIO AL PINELLI
TEATRO POPOLARE
“Librino” è una parte della mia vita, da ragazzino, nel mio quartiere a Catania.
Non è un monologo, è la mia storia raccontata agli amici. Sono i miei umori, e le voci della strada che mi sono portato dappresso; dal momento in cui sono andato via da quella periferia.
Che senso ha, portarlo qui al Teatro Pinelli, domenica ventisei maggio ?
Il senso sta nella voglia di denuncia di ogni violenza, di ogni violenza implicita, rimosso dai silenzi Il senso sta nel provare a incontrare qui, persone e voci e storie che legano la periferia di Catania, a quella di Messina, e di ogni altra periferia.
Non voglio restare in silenzio Tra stare zitti e gridare, preferisco la possibilità di essere solidale con ogni altra violenza, vissuta in questo paese: la violenza a quella donna, il licenziamento sul lavoro di quell’operaio, la malasanità, la compravendita del diritto a non soccombere.
Dei giornali, della televisione, dei dibattiti, della piazza virtuale, dei mercati, della pubblicità, da questo o quella condizione, possiamo decidere di morire senza gridare.
Oppure uscirne insieme.
Luciano Bruno