Lavoro contro la mafia: l’idea delle “start up”
Coi beni confiscati ai mafiosi bisogna creare piccole aziende giovani, in grado di produrre lavoro, e quindi di contrastare la mafia
Si fa presto a dire start up, innovazione, creatività, impresa, incubazione, accelerazione. Provateci, se avete il coraggio, a tirare su una società di questi tempi, al Sud come al Nord.
Le preoccupazioni di oggi sono quelle di ieri. Non è cambiato sostanzialmente nulla, purtroppo. Quanto tempo ci vuole per avviare la società? Qual è la trafila burocratica? E se i mafiosi vengono a chiedermi il pizzo? E chi mi dà i soldi che mi servono per i primi investimenti? E se andassi all’estero? Proviamo con la Carinzia? Forse è meglio una cooperativa?
Questi i dubbi e le angosce che assillano i nostri giovani che trascorrono la propria esistenza precaria appresso a master, dottorati di ricerca, corsi di perfezionamento proiettandosi sempre e solo verso il futuro. È un tempo indefinito, quello del futuro. È un tempo sospeso.
Nel futuro tutto sarà più bello. Nel futuro tutto sarà più roseo e tranquillo. Nel futuro tutti avranno possibilità e ci sarà giustizia.
Ed oggi? Oggi no. Aspetta in fila. Verrà il tuo turno.
E così facendo le buone idee, se ci sono, restano imbrigliate, soffocate e si perdono. Punto e a capo. E si ricomincia. Ora, siccome è di moda essere smart e cioè intelligenti, ci chiediamo se è smart un Paese che castra così le migliori idee. Ci domandiamo a cosa serve che l’Italia sia famosa per l’arte, l’architettura ed il design. A che serve essere la patria dei santi, poeti e navigatori e fregiarsi di tanti primati quando poi in tanti sono costretti ad andare via, e per sempre.
Certo molti diranno che andarsene può essere un’occasione per formarsi, ibridarsi, per meticciarsi e per crescere. Vero, verissimo. Ma la questione è un’altra. Qui si va via perché obbligati. Non c’è una libera scelta. O vai via o capitoli al triste destino.
E ci chiediamo a chi giovi insistere su futuro, speranza, ottimismo e bla bla bla quando l’unica prospettiva, troppo spesso, è affidarsi al welfare degli “uomini d’onore” che ti offrono lavoro e ti risolvono problemi.
Perché la mafia è smart, mettiamocelo in testa. Ci arriva prima, interpreta i tuoi bisogni, li prevede e li soddisfa ma con costi sociali incommensurabili. Lo sanno anche le pietre che, ad esempio, ad un lavoro precario offerto sotto elezioni corrisponde di certo l’obbligo di voto al politicante ammanicato con le cosche. Così non puoi stupirti se l’Italia sprofonda nella corruzione, nel clientelismo, nel nepotismo e così via.
Da soli non ce la si fa
Ma torniamo ai nostri giovani startupper, agli imprenditori da “incubare” ed agli innovatori. Spesso soli, abbandonati, tristi e depressi. Felici e propositivi solo sui social network e pronti sempre a pubblicare e a rilanciare a tamburo battente articoli ed approfondimenti dove si stimola a prendere in mano il coraggio ed avviare la propria attività.
Il mondo reale di lì fuori è però, troppo spesso, lento ed imbrigliato.
Perché ci sono solo solisti, che non riescono a tirare su un concerto a più fiati. Da soli non ce la si fa, diciamocelo. Da soli non ce la si fa, lo ripetiamo a gran voce.
Ecco perché è obbligatorio moltiplicare quelle occasioni per fare comunità, per creare legami, per intessere relazioni che diventino stabili e durature. Questo è il senso della Scuola Estiva “GIÀ – Giovani Imprenditoria ed Innovazione”, organizzata in Calabria, Campania, Puglia e Sicilia da Libera*, nei beni confiscati alle mafie. Una sfida nella sfida. Perché se vogliamo essere veramente smart, e cioè intelligenti, dobbiamo mettere in insieme le eccellenze, organizzarci e promuovere competenze. Metterle insieme significa stringerle le une alle altre coniugandole al plurale.
Una comunità alternativa
È obbligatorio, quindi, creare una comunità alternativa a quella mafiosa e corrotta, ed è fondamentale tradurre il NOI anche in questi processi. Le mafie si combattono con la cultura, prima di tutto, la legalità arriva molto dopo. La cultura dei diritti contro i privilegi, della dignità contro la prevaricazione.
Il nostro start up è riprenderci la dignità, provando a raccontare un’altra storia di questo paese. La restituzione del maltolto attraverso il riutilizzo dei beni confiscati alle mafie, non è altro che un modo diverso di raccontare una storia di violenze e di soprusi, provando a trasformare quel profondo male, appunto, in possibilità di riscatto. Vorremmo essere start upper della Giustizia, incubatori del concetto scolpito in quel secondo comma dell’articolo 3 della Carta Costituzionale, nella parte in cui si dice che “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana…” . La giustizia è il punto di partenza, la legalità ed il relativo lo sviluppo, una volta rimossi gli ostacoli, diventano il punto di arrivo.
Altrimenti il senso di resa e sconfitta ci obbligherà alle fughe e gli abbandoni. E allora proviamo a ripartire, di slancio e non solo a parole!