L’attacco alle cooperative
Castelvetrano: incendi nelle terre confiscate ai Sansone, amici di Riina. E’ solo uno dei casi. E intanto c’è chi vuole metterle all’asta
Castedduvitranu, Castelvetrano per i forestieri, è un comune siciliano di 30mila anime in provincia di Trapani, situato nel cuore della Valle del Belice. Il suo territorio è ospita le rovine di Selinunte. Per quasi trenta secoli le popolazioni della valle si sono dedicate tenacemente all’agricoltura. Da qualche tempo a questa parte, invece, tra di loro c’è chi preferisce darsi all’arte meno nobile dell’edilizia selvaggia.
È così che la famiglia Sansone ha fatto una fortuna. Definiti dalla stampa “costruttori” o “imprenditori edili”, i fratelli Gaetano e Giuseppe sono divenuti celebri per esser stati gli anfitrioni di Totò Riina, avendogli dato ospitalità durante gli ultimi anni della sua latitanza. Era loro la villa in Via Gianlorenzo Bernini n.54 a Palermo, dove “U curtu” venne stanato dagli uomini del Generale Mori e dal Capitano Ultimo.
Quella stessa villa che i carabinieri del Ros non perquisirono, permettendo a Cosa Nostra di recuperare l’archivio di Riina. Tra i picciotti che ripulirono l’appartamento ci sarebbe stato un altro membro della famiglia Sansone, Giovanni. Secondo quanto riportato dai maxipentiti Brusca e La Barbera, Giovanni era il responsabile della “squadra delle pulizie” che quel 15 gennaio 1993, dai due piani della villa e dalla stanza blindata dove Riina nascondeva chissà quali segreti, fece sparire tutto.
Sostiene Brusca: “Poi Giovanni Sansone mi raccontò che avevano tolto anche i più piccoli indizi… Tutto quanto era stato bruciato, la casa imbiancata, tolti anche i capelli dei bambini. E così noi ci chiedemmo: perché fanno questa pagliacciata? Visto che lo sapevano già dove era la casa”
Tre Sansone quindi, i proprietari dell’appartamento (del quale Riina pagava puntualmente l’affitto con assegni circolari) e l’altro, il cugino, l’“addetto alle pulizie”. Gli investigatori, alla famiglia Sansone, hanno confiscato un po’ di tutto e a più riprese: cantieri, ville, condomini e soprattutto terreni; ma anche un agriturismo, una palestra e persino un oleificio. Un patrimonio di centinaia e centinaia di miliardi di lire:
L’ elenco dei beni confiscati comprende: 100 ettari di terreno agricolo; 124 appartamenti a Palermo; 21 villette; un complesso edilizio costituito da 47 monolocali; 31 tra cantine, box, negozi ed uffici; 32 automezzi; partecipazioni azionarie in 13 societa’ , soprattutto edilizie; depositi bancari per centinaia di milioni; crediti nei confronti di varie aziende.
Nel settembre ’95 il primo maxi-sequestro riguarda anche un centinaio di ettari di terreni che si estendono tra Castelvetrano e Partanna. Quasi un unico oliveto, che attraversa intere contrade, Casabianca, Sergio Torre, Estaglio, dove si coltiva la pregiata oliva Nocellara del Belice. Tutte quelle proprietà, frutto del riciclaggio, della speculazione edilizia e del lavoro capillare di estorsione compiuto dalla famiglia dell’Uditore di Palermo, sono state confiscate in via definitiva nel 2007 ed affidate all’associazione Libera. 100 ettari, per chi non lo sapesse, non sono una cosa da niente: un solo misero ettaro corrisponde a diecimila metri quadri. 100 ettari, la cifra a cui ammontano i territori sequestrati ai Sansone in provincia di Trapani, è un milione di metri quadri.
Il 12 aprile tra Castelvetrano e Partanna fa caldo e tira un debole vento di scirocco. La temperatura di prima mattina è già alta, attorno ai 25 gradi. Quando i ragazzi della cooperativa Placido Rizzotto arrivano sul posto, prima a Seggio Torre, poi a Estaglio, trovano i campi avvolti in una coltre di fumo cinereo. Le fiamme si sono già quasi spente, ma si può sentire ancora il crepitare delle cortecce, lo scoppiettare dei rami. Una distesa d’erba bruciata si stende a perdita d’occhio, e l’odore, acre e pungente, di piante d’olivo abbrustolite penetra le narici. Al giallo del prato schiarito del sole si mescola ora il nero delle foglie. Centinaia di piante carbonizzate. Un incendio, divampato da numerosi focolai. Anzi, due incendi, scoppiati contemporaneamente, uno a pochi chilometri dall’altro. Coincidenza?
Libera è nata nel 1995, grazie a don Ciotti. La sua prima battaglia condotta è una grande raccolta firme: in pochi mesi un milione di persone sottoscrivono la petizione popolare per una legge che regoli l’affidamento a scopo sociale dei beni confiscati ai mafiosi. Dopo un anno la battaglia è già vinta: la legge 109 viene promulgata il 7 marzo 1996, concludendo il lavoro iniziato negli anni 70 da Pio La Torre. Davide Pati, della Presidenza di Libera, si occupa proprio della gestione dei terreni confiscati:
“I terreni vengono sequestrati su ordine dell’autorità giudiziaria, in base alle indagini compiute dalla polizia, poi da quel momento il bene viene gestito da un amministratore nominato dal giudice, fino alla confisca definitiva, quando si conclude l’iter giudiziario. Una volta confiscato il bene, dalla fase giudiziaria si passa ad una amministrativa, che è di competenza dell’agenzia nazionale, la quale attiva tutto un processo di destinazione che coinvolge sia uffici statali ministeriali sia gli enti locali, per trovare la destinazione migliore per quel bene.”