L’arcobaleno su Catania
Il Pride più grande di sempre contro l’odio e il governo.
“Quando abbiamo organizzato il primo gay pride a Catania nel 1994, al corteo eravamo in venti. Adesso ci contiamo in migliaia”, dichiara commosso dal palco davanti il Teatro Massimo Dario De Felice di Arcigay. È un immenso fiume arcobaleno quello che ha invaso la città. Mai nella storia una così grande partecipazione.
Giovani e giovanissimi col rainbow dipinto sulle guance, cartelli e striscioni nelle mani hanno riempito già dal primissimo pomeriggio piazza Cavour. Una generazione che sembrava sparita dalla politica ma che per il Pride ha deciso di esserci, di gridare la propria voglia di libertà, di ballare e ridere davanti a tutti: favolosi, orgogliosi, felici.
“Meno Salvini, più pompini”, recitano gli adesivi attaccati sulle magliette, a dimostrare che è una manifestazione per mandare un messaggio chiaro al Governo, a dimostrare la forza dirompente e dissacrante del movimento per la libertà sessuale.
Tante le ragazze che si baciano, molto più in alto del giorno. Tanti i ragazzi che ballano. È una grande festa e la città, intera, partecipa. Il corteo invade strade e marciapiedi, i passanti vengono risucchiati nella gioia. Ci sono i bambini che danzano in braccio ai loro genitori sulle note di Raffaella Carrà, ci sono gli anziani che salutano e agitano le mani, ci sono i signori eleganti che non riescono a trattenersi dal battere il ritmo coi piedi. I ragazzini arrivati in via Etnea per la passeggiata del sabato pomeriggio si intrufolano nella parata e iniziano a ballare, abbracciati, scanzonati, divertiti.
“L’amore è un diritto umano” c’è scritto sui cuori arcobaleno che i passanti si appiccicano sulle magliette. Dal camion col sound system piovono ventagli, alcune signore li raccolgono e si uniscono per alcune decine di metri al corteo.
Sembrano lontani i tempi nei quali i fascisti potevano permettersi di bloccare la parata, la città canta all’unisono YMCA. Eppure quando si abbassa il volume non si parla d’altro che dei tempi bui che affiorano, di Salvini e del censimento dei ROM, di Toninelli e dei respingimenti dei migranti, del ministro Fontana che dice che quelle famiglie arcobaleno, orgogliosamente presenti al Pride, non esistono. “Froci sempre, fascisti mai!” gridano un gruppo di giovanissimi studenti, che quando Vladimir Luxuria pronunciò quella frase in prima serata su Rai1 e il circolo Open Mind la scrisse su luccicanti striscioni, ancora erano solo bambini. Lo slogan viene immediatamente ripreso da tutto il corteo. È ossigeno, è speranza, è futuro.
“Siamo migliaia” annuncia Giovanni Caloggero, anima di Arcigay, “mai così tanti ad un Pride a Catania”. La folla esulta. “Siamo qui contro questo governo, contro chi vuole respingere i migranti in mare, contro chi vuole cacciare chi scappa dalla guerra e dalla miseria, contro chi dice che non esistiamo”. “Questo è il messaggio che mandiamo al Ministro Fontana” gli fa eco Armando Caravini, di Arcigay Siracusa “eccoci qui, in tantissimi”.
Le battaglie si intrecciano nel nome della solidarietà, l’arcobaleno riesce ad accogliere le rivendicazioni di chi esige libertà, dignità, uguaglianza. Si parla di migranti e frontiere sul palco del Pride e nel documento politico che lo ha lanciato, si parla di lavoro, di reddito, di diritti sociali. Si ricorda Soumalia Sacko, il giovane sindacalista dell’USB ucciso in Calabria, assieme al giornalista Dick Leitsch, icona della battaglia per i diritti civili, morto proprio ieri negli Stati Uniti. Lo spezzone antisessista di “Non una di meno” parla di autodeterminazione, di reddito, di sfruttamento, di lotta al patriarcato.
Il Sindaco della città di Catania Salvo Pogliese ha scelto di non partecipare al Pride, cosa che invece avevano fatto tutti i suoi predecessori, di destra e di centosinistra. Un’insulsa macchia nera per una città arcobaleno.