L’antimafia difficile
“L’antimafia mediatica”, “l’antimafia delle poltrone”, “gli affari dell’antimafia”: non si può dire che l’antimafia goda in questo momento di una grande reputazione, né che le critiche che le vengono (adesso) rivolte siano tutte immotivate. Spesso però sono critiche ingenerose: la burocrazia (e a volte l’eccessiva diplomazia) di Libera è più che bilanciata dalla lotta per i beni confiscati e dalle migliaia di ragazzi nei campi estivi. L’antimafia in politica è stata stata spesso usata a pretesto per portare avanti carriere altrimenti assai banali, ma diversi politici provenienti dall’antimafia hanno dato un buon contributo al Paese. E gli interessi che ruotano attorno al variegato mondo dell’ “imprenditoria antimafia”, per quanto antipatici, in fondo sono abbastanza limitati.
L’antimafia, tuttavia, è meno “simpatica” di quanto non fosse vent’anni fa. I giornalisti coraggiosi ci sono ancora, ma tendono a trasformarsi in Vip. Dei politici, nessuno ha ottenuto risultati paragonabili, nella pratica, a quelli di un Pio La Torre o un Luca Orlando. E le imprese continuano, buoni propositi a parte, a galleggiare benissimo nel mare dell’economia post-mafiosa. L’atmosfera, in generale, è sensibilmente diversa da quella dell’antimafia di vent’anni fa.
Il motivo, in sostanza, è che un tempo l’antimafia era gratis, e ora invece vuole premi e ricompense. Meritevoli o meno, non ha importanza; è proprio l’idea generale che cambia tutto. Il capitano garibaldino diventa, con pieno diritto, generale sabaudo; e magari si comporta bene; però, chissà perché, comincia a non vincere più una battaglia. È successo spessissimo, nella storia nostra; anzi si può dire che da noi accada a ogni rivoluzione (mancata), a ogni normalizzazione.
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“Va bene – dice qualcuno – Smettiamola di usare la parola antimafia”. Eh, no: torniamo invece a usarla a nel senso giusto. L’antimafia non è mondo dei Vip, non è spettacolo, non è potere. Chi fa antimafia non è affatto tenuto a fare ricordare il suo nome: deve semplicemente farla, punto e basta. Il bellissimo insulto – “professionisti dell’antimafia” – che ci rivolse il letterato Sciascia è in realtà la migliore definizione di ciò che dobbiamo essere: niente pennacchi al vento né dichiarazioni roboanti, ma serio e costante lavoro da militanti della libertà.
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Questa è la nostra antimafia, e ci scusiamo se non è affatto brillante. I giovani che la seguono, e che di solito ci arrivano per generosità ed entusiasmo, restano sovente perplessi dopo i primi mesi: tutto qua? Sì, tutto qua. Ma portatela avanti – come Gobetti, come don Milani – per tutto il tempo necessario, senza mai fermarvi, stando insieme. E alla fine così, e solamente così, avrete cambiato l’Italia.