L’acqua e gli stucchi del Serpotta
Una nuova politica c’è, ma non vive nel Palazzo. Bisogna andare a cercarla altrove…
Incontro Antonella Leto, la donna che ha guidato il movimento per l’acqua in Sicilia, il giorno in cui la Corte Costituzionale conferma che la privatizzazione delle acque è illegittima. Curioso paese, non bastavano evidentemente 27 milioni di sì, è occorso scomodare anche la Consulta.
Ci sono comunque voluti parecchi mesi per ottenere una risposta chiara dopo la vittoria referendaria “vanificata” in molti posti, a partire dalla Sicilia, da maggioranze varie, perlopiù di centrodestra, che hanno cercato di demolire quel risultato continuando imperterrite per la strada della privatizzazione. Come è successo a Roma, con la giunta Alemanno arenatasi poi sulla vendita dell’Acea. Come è successo anche in Sicilia con la giunta dell’autonomista Lombardo caduta nell’estate del 2012, una maggioranza sostenuto dal Pd che si era immersa nel solco predisposto dal centro destra di Totò Cuffaro continuando a pretendere un’acqua privatizzata.
Antonella Leto, 47 anni, alterna la sua vita tra le iniziative per far tornare pubblica l’acqua nell’isola e il lavoro di restauratrice, con particolare dedizione a quei fantastici stucchi arabescati che si chiamano “stucchi del Serpotta”, dal nome dell’immaginifico artista Giacomo Serpotta vissuto tra il ‘600 e il ‘700.
Il suo laboratorio è vicino a piazza Marina, piena delle sue magnolie ramificate, in uno storico edificio palermitano, palazzo Abatellis. E’ lì che Antonella – attorniata dagli arabeschi d3el Serpotta che deve restaurare – passa le sue giornate quando non è alla testa di qualche corteo.
E sono forse i cortei sempre più grossi, fin sotto la sede dell’Assemblea regionale siciliana, che hanno fatto capire anche alla Palermo più rassegnata che la gente della Sicilia anche se stanca è tuttora capace di forti sussulti.
Basta considerare un dato che Antonella esibisce come un fiore all’occhiello, i municipi siciliani che pian piano hanno fatto loro questo movimento. Da Petralia Sottana a Caltavuturo, da Termini Imerese a pian piano tutto il Belice e all’intera isola, in poco più di tre mesi i comuni in lotta per riavere acqua pubblica sono diventati 140.
Centoquaranta su un totale di 390 municipi isolani, con alla testa il comune e la provincia di Messina e poi tutta una fioritura che attraversa la Sicilia. Un miracolo per il piccolo movimento per l’acqua, nato dal basso e quasi per caso, che è cresciuto impetuoso fino a raccogliere tutte queste amministrazioni in gran parte guidate dal centrodestra o da liste civiche tutte schierate contro il sopruso avviato prima da Cuffaro e portato avanti poi da Lombardo.
In Sicilia dove per la richiesta del referendum questa donna insieme al suo movimento aveva raccolto novantamila firme i sì sono stati oltre un milione e mezzo. Erano sedici anni che nell’isola non si arrivava al quorum per un referendum.
Ma l’acqua, specie in Sicilia dove per questo bene prezioso si sono consumate tragedie, ha catalizzato un’attenzione molto forte e diffusa. Forse anche perché sull’acqua in trent’anni sono stati investiti 5,8 miliardi di euro che la privatizzazione vorrebbe utilizzare per oliare gli affari dei nuovi signori del prezioso liquido.
Tutto nasce nel 2005 quando l’Eas, il carrozzone clientelare che non riscuoteva spesso neanche le bollette, viene sciolto dal governatore Totò Cuffaro. Un piccolo regno fatto di dighe, condotte, impianti e acqua ai comuni viene “svenduto” a una cordata guidata dall’Enel, maggioritaria, e dalla Veolia francese.
Il primo effetto della nuova Sicilia Acque spa, con un quarto del capitale in mano alla Regione, si fa sentire subito con un aumento delle tariffe. In quattro anni, tra il 2005 e il 2009, l’isola viene suddivisa in nove Ato, ambiti territoriali idrici gestiti dalle conferenze dei sindaci e dei presidenti provinciali. Ed ecco allora scattare il succo della privatizzazione.
Ogni Ato mette in gara il servizio idrico, tutte le gare registrano una forte ingerenza del presidente della Regione. Nei casi in cui qualcosa va storto scatta il commissariamento: a disporlo è l’Arra, oggi sciolta, all’epoca guidata da Felice Crosta conosciuto come uno degli ad più pagati d’Italia. E così l’acqua non è stata più una cosa pubblica. Ma intanto ecco spuntare un’opposizione.
“Noi siamo nati nel 2006 – racconta Antonella Leto -, dalla società civile sono nate adesioni spontanee per la ripubblicizzazione dell’acqua, il primo intervento in concreto ci ha visto raccogliere le firme per questa richiesta. In tutta la Sicilia ne abbiamo raccolte 54mila. E così è nato il Forum siciliano dei movimenti per l’acqua, in pochi mesi sono sorti comitati civici in ogni parte dell’isola”.
Nel marzo del 2007 ecco il movimento debuttare per le strade di Palermo. Sono diecimila i convenuti, una bella massa che ottiene sulla carta una sorta di moratoria dalla Regione. Uno stop alquanto fasullo che come paradosso vede subito dopo un’accelerazione nelle gare di aggiudicazione per la privatizzazione.
“In quel momento abbiamo registrato forse il peggio – racconta Antonella Leto – Ci sono contratti che sono stati firmati in fretta e furia a mezzanotte… E poi sovrapposizioni di ogni tipo. Ad Agrigento la Girgenti Acque che mischiava pubblico e privato tra affidatari e affidanti: lì la gestione è stata vinta dall’Acoset di Catania, il cui amministratore delegato è Angelo Lombardo fratello dell’allora presidente regionale, sostituito poi da Giuffrida. E intanto i sindaci che si mobilitavano contro ricevevano minacce.
E’ successo a Michele Botta, a Menfi nell’agrigentino, un sindaco di centro destra, che ha ricevuto buste con pallottole poco prima di essere sentito in audizione all’assemblea regionale. A Menfi hanno messo anche una bomba alla Camera del lavoro, impegnata nel movimento per l’acqua.
A quel punto abbiamo raddoppiato i nostri sforzi e la nostra proposta di legge è stata dichiarata ammissibile dal presidente dell’assemblea regionale Cascio. Assegnata alla quarta commissione, quella su ambiente e territorio, ha innescato una serie di audizioni con i rappresentanti del movimento e soprattutto con i sindaci che intanto avevano fatta propria questa battaglia. Forze politiche? Zero.
Dalla nostra un unico consigliere del Pd, Giovanni Panepinto, sindaco di Bivona, un altro paese dell’agrigentino. In commissione intanto i disegni di legge erano diventati cinque, è stata formata una sottocommissione per sentire i gestori.
Poi il 12 giugno del 2011 è finalmente arrivata la vittoria referendaria. Che la vittoria fosse a portata di mano l’abbiamo capito fin dall’inizio della campagna quando è venuta a Burgiu Anne Lestrat, il vicesindaco di Parigi. E’ stata una vera kermesse…Che si è ripetuta dappertutto nelle Cento piazze per l’acqua pubblica, la struttura con cui nei comuni dell’isola avevamo raccolto firme per la nostra proposta di legge”.
E poi? “Dopo il referendum vinto abbiamo rivisto la nostra proposta di legge rendendola più vincolata alla disciplina europea. In commissione era stato alla fine definito un testo unico che era in sostanza il nostro. Non è mancato a quel punto un ultimo tentativo di sabotaggio. E’ scattato quando il testo è stato passato alla commissione bilancio. Lì è stata cassata la copertura finanziaria. Insomma questo è stato l’ultimo tentativo di azzopparci. Poi con le dimissioni di Lombardo, il 31 luglio 2012, è finita la legislatura e si è andati alle nuove elezioni.
Cosa ci aspettiamo? Ci aspettiamo nel prossimo parlamento regionale di ripartire dalla nostra legge. Ci dovremo far sentire di nuovo, e poi non passa giorno che non si aggiungano nuovi temi collaterali e vicini. Due esempi. Il primo riguarda l’enorme concessione fatta per le trivellazioni nel Belice, in quel territorio dove la ferita del terremoto è ancora fresca, a una società dietro cui si nasconde l’Enel. Trivellazioni per gas e idrocarburi in quel territorio lì, ma vogliamop scherzare?”
Antonella Leto sgrana gli occhi. I temi che solleva sembrano però fatti apposta per suscitare scandalo. “Da poco abbiamo appreso che Messina dovrebbe diventare il cimitero delle navi Nato a fine carriera, con tutto quello che contengono…Non ci mancava che questo per la povera Messina…E poi una delle ultime mosse di Lombardo, con la scusa del salvataggio idro-geologico, è stata quella di privatizzare le coste siciliane. Insomma i problemi da affrontare non ci mancano”.
Fuori, Palermo ribolle nella calda estate del 2012. Santa Rosalia è appena celebrata il 14 luglio per la 388° volta (così recita un manifesto già un po’ scolorito su via Maqueda). Ma la Santuzza è la Santuzza. Dentro Palazzo Abatellis Antonella Leto torna ai suoi amati stucchi bianchissimi e immaginifici. Li ripara con cura. Le bombe degli americani nel ‘43, l’incuria e la trascuratezza dei contemporanei li hanno visti spesso fragili vittime del nostro tempo.
“Stuc ou marbre fictice” dice l’Encycolopédie in merito. Antonella li cura con la stessa attenzione che ha dedicato all’acqua. Serpotta è stato definito una meteora nel cielo della Sicilia. Le sue opere mirabili sono ancora lì, negli oratori di Santa Rita, del Rosario a San Domenico, della chiesa di San Marco, ma anche a Vicari, in provincia di Palermo, nella chiesa di San Francesco, e ancora ad Alcamo dove si possono ammirare molte sue opere sparse tra la Chiesa del SS. Crocifisso (detta Badia Nuova) e la Chiesa dei Santi Cosma e Damiano (detta di Santa Chiara poiché annessa al monastero delle Clarisse).
Materiali artistici molto vulnerabili. Un po’ come l’acqua della grande isola. Ma Antonella Leto non demorde.
(da: Paolo Brogi, Uomini e donne del Sud, Imprimatur editore, 1912)