La terra dei muri
Ma la storia siamo sempre noi
“Con il nostro sbarco a Gaza, abbiamo voluto dimostrare che la storia siamo noi. La storia non la fanno i governati codardi con le loro ignobili sudditanze ai governi militarmente più forti. La storia la fanno le persone semplici, gente comune, con famiglia a casa e un lavoro ordinario, che si impegnano per un ideale straordinario come la pace, per i diritti umani, per restare umani (…). Il nostro messaggio di pace è un invito alla mobilitazione di tutte le persone comuni, a non delegare la vita al burattinaio di turno, a prendersi in prima persona la responsabilità di una rivoluzione.” (Vittorio Arrigoni, settembre 2008).
La rotta balcanica. Se ne parlava già poco meno di vent’anni fa. Turchia, Patrasso, Brindisi. Cambiano i numeri – cifre snocciolate come fossero punti del supermercato anche se si tratta di vite umane – ma come in un terribile gioco dell’oca si rimane fermi alla partenza.
Chi ricorda Ebrima Sanko? O i ventuno iracheni e iraniani che vagavano sette Natali fa nei dintorni della stazione di Vasto-San Salvo? O quel curdo imbarcato dalla Grecia, per migliaia di chilometri aggrappato al telaio? Non sapremo mai come si chiamava. Come avrà sognato e immaginato l’Europa? L’attendeva qualcuno quaggiù? Ma i curdi, in quella terra straziata e divisa, dove gli Stati non vogliono riconoscerli, continuano a non arrendersi. Quante raffiche, quante bombe, quante violenze hanno subito?
Alì ha bussato delicatamente alle nostre porte. Senza grandi limousine, giacche e cravatte. Non aveva valigette piene di soldi. Non ha trovato tappeti rossi e borse aperte, convegni luccicanti e business fruttuosi. Non specula sulla pelle di nessuno.
Fra poche settimane sarà Natale. Mentre ci si starà preparando a luci, regali, addobbi e orpelli vari, anche quest’anno c’è chi rimarrà fuori. Un Natale carico di dolore nelle famiglie che anche quest’anno hanno visto un loro familiare morire. Sul posto di lavoro o per malattia, per una tragedia o per crudeltà umana. Un Natale dove la speculazione e le ingiustizie continueranno a lasciare il segno. Persone che perdono il lavoro, o la casa. Perché nel 2017 c’è ancora chi è senza casa.
Arriverà la prima grande bufera di neve sulla Penisola. Per moltissimi, potrà significare la morte. Ma esistono anche loro. E il lusso delle nostre tavole, l’immensa mole di cibo che finirà nella spazzatura. Mentre per milioni di persone, nei sotterranei della storia, la spazzatura continuerà ad essere l’unica fonte di sostentamento.
Tra i simboli del Natale c’è il Presepe. Maria e Giuseppe rifiutati da tutti gli alberghi, poche settimane dopo la nascita di Gesù, costretti a fuggire clandestinamente in Egitto. Come i fratelli respinti oggi, che chiedono dignità e vita. Bussando, non trovano porte aperte ma muri invalicabili. Dalla Siria al Kurdistan, dall’Iraq all’Afghanistan – sedici anni di guerra ininterrotta – ancora oggi lì si muore, assassinati dalle guerre dei nostri governanti.
Dai lavoratori a cui viene tolto ogni diritto alle donne sfruttate o stuprate (dalla schiavitù sessuale nel Ragusano ai bordi delle strade, sino alle stanze d’albergo). Dai bambini congolesi imprigionati nelle miniere del coltan a chi la crisi economica (anche nella nostra civile Europa) ha tolto tutto. Dai malati a cui non viene garantito il diritto alla dignità alle vittime della Terra dei Fuochi sino alla città di Taranto, prigioniera dell’inquinamento.
Molti bambini non sorrideranno la notte di Natale. Le loro manine stringeranno un fucile o chiederanno cibo alla madre senza ottenerlo.