venerdì, Novembre 22, 2024
Inchieste

La Svizzera lava più bianco

I soldi.

I conti elvetici gestiti da società del Liechtenstein usati da Ciancio per far girare e moltiplicare milioni di euro “in parte riconducibili a Cosa Nostra” e messi sotto sequestro dai giudici screanzati.

Centocinquantasei milioni novecentoottantotto mila duecen­toundici euro e 52 centesimi: (€ 156.988.211,52, circa trecento miliardi di vecchie lire): è questo il «saldo negativo» di qua­rant’anni di attività del gruppo Ciancio, cioè della ragnatela so­cietaria di Mario Ciancio Sanfilippo e dei suoi familiari (la mo­glie, Valeria Maria Renata Guar­naccia; le figlie Angela, Rosa Emanuela Benedetta, Carla Rosa Fau­sta, Natalia; e il figlio Do­menico Natale Enzo, l’unico a portare anche il secondo cogno­me del padre).

 

“Quei 147 milioni d’incerta provenienza”

Quasi centocinquantasette milioni di euro di in­certa provenienza che alimentano le finanze del gruppo e dei conti esteri, dal 1974, anno di fondazione della Nies Spa, la pri­ma impresa di Ciancio, al 2013. Quarant’anni passati al micro­scopio da tre giudici della sezione Misu­re di prevenzione del Tribunale di Catania (Nunzio Trovato, Alba Sammartino e Alessandro Ricciardolo), che hanno sottoposto a minu­ziosa ra­diografia le aziende, i possedimenti, gli affari e i conti italiani ed esteri dei Ciancio, disponendo la confisca e il sequestro dei beni considerati di «evidente provenienza delittuosa», frutto di un conti­nuo afflusso di denari «anche derivanti da profitti di at­tività criminali soggettivamente ascrivibili ad appartenenti alla “famiglia” catanese di Cosa Nostra», scrivono i magistrati.

La situazione economica del gruppo è stata ricostruita dal Col­legio sulla base della relazione di consulenza predisposta dai consulenti tecnici della Procura, Alessandro Colaci e Marco Masciovecchio, della società di revisione PricewaterhouseCoo­pers Spa (PwC), in contraddittorio col consulente della dife­sa, Giuseppe Giuffrida, e l’importante contributo investigativo del Ros dei carabinieri di Cata­nia, vivisezionando ogni entrata, ogni uscita, ogni profitto, ogni per­dita, ogni somma di dubbia provenienza, anno dopo anno, analitica­mente: dalla genesi fino alla confisca.

 

La genesi del gruppo Ciancio

Nella genesi del gruppo Ciancio c’è una società fiduciaria del Banco di Roma (oggi Unicredit), la Figeroma Spa, che fa da «paravento» a Mario Ciancio, movimentando e «ripulendo» per suo conto ingenti capitali di ignota provenienza ma a lui ricon­ducibili, e che, in quegli stessi anni, opera per conto di perso­naggi di primo piano della bor­ghesia mafiosa siciliana, come l’ex sindaco di Palermo Vito Cianci­mino e gli allora re delle esattorie dell’isola, i cugini Salvo. Figeroma che troviamo an­che nelle cronache sugli investimenti di Enrico Nico­letti, il cas­siere della Banda della Magliana.

Lo stesso Banco di Roma, negli anni Settanta-Ottanta controllato da soggetti legati a Giu­lio Andreotti, risulta coinvolto in vicende oscure della storia della Repubblica, come, ad esempio, il crack della galas­sia bancaria di Michele Sindona, il finanziere mafioso e piduista av­velenato in carcere nel 1986 da soggetti rimasti ignoti.

Nel triennio 1974-1976, grazie anche al «paravento» della Fi­geroma, Ciancio getta le basi di quello che diventerà il suo im­pero editoriale e, dal 1976, inizia a costituire ingenti provviste finanziarie all’estero, operando in discreti e sicuri paradisi fi­scali come Liechtenstein, Sviz­zera e Lussemburgo, rinomati Stati-lavanderie di denaro sporco proveniente da attività illecite d’ogni tipo, dalla corruzione al traffico d’armi passando per il traffico internazionale di stupefacenti.

Il 9 giugno del 1976, a Vaduz, microscopica capitale (cinque­mila abi­tanti) del minuscolo principato del Liechtenstein (160 kmq e 37mila abitanti, incastonato tra Svizzera e Austria e at­traversato dal fiume Reno), è stata costituita la società fiducia­ria Weissdorn Handelsan­stalt. Due giorni dopo, ricostruiscono i giudici, a Mario Ciancio San­filippo e al cugino Mario Gaetano Biondi «era stata conferita procura generale dalla fiduciaria per il compimento di tutte le operazioni ban­carie». Che iniziavano il 22 giugno, in Svizzera, presso la filiale del Credit Suisse di Chiasso, dove i cugini-procuratori accendevano due conti de­posito: il primo denominato «Rubrica Zecca, identificato con il numero 92099-65», con attribuzione dei poteri di firma a Bion­di; il secondo denominato «Rubrica Timone,  identificato con il numero 92098-85», con poteri di firma a Ciancio.

Al primo conto deposito, estinto nel 2000, erano collegati due conti correnti. La documentazione bancaria fornita ai magistrati dall’istitu­to è relativa al solo periodo 1989-1999. Da un «rap­porto confidenzia­le» prodotto dal Credit Suisse, allegato alla relazione del consulente della difesa di Ciancio, si evince che «in data 28.03.2000 il cliente (il cui nominativo non veniva specificato) si recava presso l’istituto e, in relazione al conto deposito Rubrica Zecca, chiedeva: “estinzione del­la relazione e suddivisione del patrimonio fra gli a.d.e. [aventi diritto econo­mico; n.d.r.] che hanno aperto nuova relazione cifrata” presso il medesimo istituto».

Da un ulteriore «rapporto confidenziale» si evince che «il “beneficiar­io” del rapporto con la banca» sia Mario Ciancio Sanfilip­po, ma che, in ogni caso, gli introiti della Rubrica Zecca sa­rebbero legittimi.

 

La Weissdorn Handelsanstalt

Altro discorso per il conto deposito Rubrica Timone, quello col pote­re di firma attribuito a Ciancio, fin dalla costituzione, este­si a Leo­nardo, Emanuele e Rita Biondi dal 23 febbraio del 1989 all’8 ottobre del 1993, quando tornano nell’esclusività dell’editore della Sicilia fino al 28 aprile del 2014, quando pas­sano nelle mani di Angelika Iris Moosleithner, un’avvocata di Vaduz, dove ha sede la  fiduciaria Weis­sdorn Handelsanstalt.

A questo conto deposito sono collegati tre conti correnti di ap­poggio: uno in franchi svizzeri, «per il quale sono stati prodotti dalla banca gli estratti conto a partire dal giorno 01.01.1986 fino al 30.09.2014»; uno in dollari statunitensi «per il quale sono stati prodotti dalla banca gli estratti conto a partire dal 25.01.2001 (data di accensione) fino al 30.09.2014»; un terzo in euro, «per il quale sono stati prodotti dalla banca gli estratti conto a partire dal 26.04.2004 (data di accensione) fino al 30.09.2014». L’assenza della documentazione relativa al pe­riodo 1976-1989, nel 2015, aveva spinto il Tribunale a rigettare la ri­chiesta di sequestro dei tre conti da parte della Procura.

«Tale conclusione – annotano i giudici, nel ribaltare la prece­dente de­cisione – non è oggi condivisa dal Collegio, alla luce delle emergen­ze della attività istruttoria successiva al decreto sopra citato. Ed inve­ro, vanno rilevati due dati: il conto Rubri­ca Timone è stato aperto dalla società fiduciaria sopra indicata nell’anno 1976, quando il pro­posto versava in condizione di sperequazione, non potendo egli di­sporre di redditi leciti; i pri­mi dati utili attengono all’anno 1989, in cui il conto in oggetto aveva una provvista pari ad € 3.495.807, pari all’epoca a £ 6.768.826.782, ed anche in tale anno era presente una prevalen­za dei flussi finanziari negativi su quelli positivi. Dall’esame dei flussi finanziari relativi agli anni 1976-1989 si evince che il pro­posto non poteva disporre di risorse lecite tali da costituite la provvi­sta riscontrata nel 1989 e deve in ogni caso ritenersi che egli abbia il­lecitamente esportato valuta in Svizzera. Pari­menti illecito il saldo at­tivo attuale del conto deposito in esa­me, derivante da un’originaria il­lecita esportazione di capitali. Tale saldo attivo deve pertanto essere confiscato». Un saldo at­tivo che al 24 ottobre del 2014 ammontava a quasi venticinque milioni di euro (€ 24.839.783,78).

Svizzera, però, non vuol dire solo Credit Suisse, ma anche Ubs di Lugano e Banca Svizzera Italiana dove, a partire dal 1989, si sono re­gistrati altri ingenti movimenti di capitali. A fine luglio dell’89, la so­lita Weissdorn Handelsanstalt, la società fiduciaria con sede a Va­duz che abbiamo appena visto,  stipulava una convenzione con la banca Ubs per l’apertura di una posizione cifrata avente n. 241- 644.601, conferendo contestualmente i poteri di firma a Ciancio. Com’era già avvenuto con la banca di Chiasso, anche a Lugano alla posizione ci­frata sono collegati due distinti conti di deposito ai quali sono altresì collegati di­versi conti correnti.

 

Una nuova posizione cifrata

Nell’aprile del 2003 veniva aperta una nuova posizione cifrata, inte­stata alla società fiduciaria Attenuata Familienstiftung, anch’essa con sede a Vaduz, e su tale posizione veniva trasferito l’intero patrimonio intestato alla Weissdorn Handelsanstalt. Ciancio era procuratore am­ministrativo anche della nuova fidu­ciaria, di cui avevano potere i fir­ma i seguenti soggetti: la Corp­board Ltd (fino al 2010), con sede nel­le Isole Vergini Bri­tanniche (società interamente controllata dalla banca Ubs e spe­cializzata nella costituzione di trust e fondazioni a Singapore e Hong Kong in collaborazione con fiduciarie del Liech­tenstein); Norbert Marxer (che all’inizio del 2006 sarà sostituito dal colle­ga Rainer Gassner), un avvocato del Principato, dove negli anni 70 ha ricoperto anche incarichi di governo; la società Auc­toriana An­stalt, anch’essa con sede in Liechtenstein. Avente di­ritto economico è, sin dall’inizio, Mario Ciancio Sanfilippo: è lui il beneficiario degli in­vestimenti patrimoniali movimentati tramite questo reticolo societa­rio.

 

Il sequestro dei conti

Già nel 2015 il Tribunale di Catania aveva disposto il sequestro dei conti correnti attivati da Ciancio alla Ubs di Lugano, non­ché il seques­tro di cinque milioni di euro (ora confiscati) depo­sitati su un conto corrente acceso nel 1989 nell’istituto di credi­to Intesa San Pao­lo – Private Banking Spa di Catania ed intesta­to all’editore. Il Tribu­nale, però, aveva respinto la richiesta di sequestro avanzata dalla pro­cura per diversi conti svizzeri e Ciancio, nelle more del ricorso, ave­va tentato di fare sparire i fondi in essi contenuti, disinvestendo il de­naro, ma il Procura­tore Federale della Confederazione Elvetica aveva avvertito i colleghi catanesi e, così, era stato sventato l’intento dell’allora indagato Mario Ciancio e ora sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa. Sui conti Ubs, i giudici hanno confi­scato oltre diciotto milioni di euro (€ 18.102.279).

Le banche della confederazione elvetica non sono più quelle raccon­tate da Jean Ziegler nel suo saggio del 1990, “La Svizze­ra lava più bianco”, e ciò lo si deve all’incessante lavoro fatto da Giovanni Fal­cone prima di essere ucciso per scardinare il muro di silenzio elveti­co, ormai superato da accordi bilaterali e internazionali senza i quali i soldi illecitamente accumulati da Ciancio sarebbero rimasti al sicu­ro.

 

“Una pericolosità qualificata”

Dopo quasi quattrocento pagine di accurata analisi della galas­sia so­cietaria e finanziaria di Mario Ciancio Sanfilippo e dei suoi familiari, i giudici Trovato, Sammartino e Ricciardolo concludono e sintetizza­no perché quasi tutto l’impero di Cian­cio andava confiscato: «L’anali­si dei flussi economici in entrata e in uscita dimostra come l’attività imprenditoriale del Ciancio Sanfilippo sia stata avviata e si sia pro­gressivamente sviluppata con investimenti iniziali di impressionante entità e con succes­sivo impiego di ingenti capitali, gli uni e gli altri da ritenersi il­leciti o in quanto frutto di condotte costituenti manife­stazioni di pericolosità “qualificata” ovvero in quanto non spiegabili te­nuto conto delle risorse lecite delle quali il proposto poteva disporr­e».

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