La Svizzera lava più bianco
I soldi.
I conti elvetici gestiti da società del Liechtenstein usati da Ciancio per far girare e moltiplicare milioni di euro “in parte riconducibili a Cosa Nostra” e messi sotto sequestro dai giudici screanzati.
Centocinquantasei milioni novecentoottantotto mila duecentoundici euro e 52 centesimi: (€ 156.988.211,52, circa trecento miliardi di vecchie lire): è questo il «saldo negativo» di quarant’anni di attività del gruppo Ciancio, cioè della ragnatela societaria di Mario Ciancio Sanfilippo e dei suoi familiari (la moglie, Valeria Maria Renata Guarnaccia; le figlie Angela, Rosa Emanuela Benedetta, Carla Rosa Fausta, Natalia; e il figlio Domenico Natale Enzo, l’unico a portare anche il secondo cognome del padre).
“Quei 147 milioni d’incerta provenienza”
Quasi centocinquantasette milioni di euro di incerta provenienza che alimentano le finanze del gruppo e dei conti esteri, dal 1974, anno di fondazione della Nies Spa, la prima impresa di Ciancio, al 2013. Quarant’anni passati al microscopio da tre giudici della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Catania (Nunzio Trovato, Alba Sammartino e Alessandro Ricciardolo), che hanno sottoposto a minuziosa radiografia le aziende, i possedimenti, gli affari e i conti italiani ed esteri dei Ciancio, disponendo la confisca e il sequestro dei beni considerati di «evidente provenienza delittuosa», frutto di un continuo afflusso di denari «anche derivanti da profitti di attività criminali soggettivamente ascrivibili ad appartenenti alla “famiglia” catanese di Cosa Nostra», scrivono i magistrati.
La situazione economica del gruppo è stata ricostruita dal Collegio sulla base della relazione di consulenza predisposta dai consulenti tecnici della Procura, Alessandro Colaci e Marco Masciovecchio, della società di revisione PricewaterhouseCoopers Spa (PwC), in contraddittorio col consulente della difesa, Giuseppe Giuffrida, e l’importante contributo investigativo del Ros dei carabinieri di Catania, vivisezionando ogni entrata, ogni uscita, ogni profitto, ogni perdita, ogni somma di dubbia provenienza, anno dopo anno, analiticamente: dalla genesi fino alla confisca.
La genesi del gruppo Ciancio
Nella genesi del gruppo Ciancio c’è una società fiduciaria del Banco di Roma (oggi Unicredit), la Figeroma Spa, che fa da «paravento» a Mario Ciancio, movimentando e «ripulendo» per suo conto ingenti capitali di ignota provenienza ma a lui riconducibili, e che, in quegli stessi anni, opera per conto di personaggi di primo piano della borghesia mafiosa siciliana, come l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino e gli allora re delle esattorie dell’isola, i cugini Salvo. Figeroma che troviamo anche nelle cronache sugli investimenti di Enrico Nicoletti, il cassiere della Banda della Magliana.
Lo stesso Banco di Roma, negli anni Settanta-Ottanta controllato da soggetti legati a Giulio Andreotti, risulta coinvolto in vicende oscure della storia della Repubblica, come, ad esempio, il crack della galassia bancaria di Michele Sindona, il finanziere mafioso e piduista avvelenato in carcere nel 1986 da soggetti rimasti ignoti.
Nel triennio 1974-1976, grazie anche al «paravento» della Figeroma, Ciancio getta le basi di quello che diventerà il suo impero editoriale e, dal 1976, inizia a costituire ingenti provviste finanziarie all’estero, operando in discreti e sicuri paradisi fiscali come Liechtenstein, Svizzera e Lussemburgo, rinomati Stati-lavanderie di denaro sporco proveniente da attività illecite d’ogni tipo, dalla corruzione al traffico d’armi passando per il traffico internazionale di stupefacenti.
Il 9 giugno del 1976, a Vaduz, microscopica capitale (cinquemila abitanti) del minuscolo principato del Liechtenstein (160 kmq e 37mila abitanti, incastonato tra Svizzera e Austria e attraversato dal fiume Reno), è stata costituita la società fiduciaria Weissdorn Handelsanstalt. Due giorni dopo, ricostruiscono i giudici, a Mario Ciancio Sanfilippo e al cugino Mario Gaetano Biondi «era stata conferita procura generale dalla fiduciaria per il compimento di tutte le operazioni bancarie». Che iniziavano il 22 giugno, in Svizzera, presso la filiale del Credit Suisse di Chiasso, dove i cugini-procuratori accendevano due conti deposito: il primo denominato «Rubrica Zecca, identificato con il numero 92099-65», con attribuzione dei poteri di firma a Biondi; il secondo denominato «Rubrica Timone, identificato con il numero 92098-85», con poteri di firma a Ciancio.
Al primo conto deposito, estinto nel 2000, erano collegati due conti correnti. La documentazione bancaria fornita ai magistrati dall’istituto è relativa al solo periodo 1989-1999. Da un «rapporto confidenziale» prodotto dal Credit Suisse, allegato alla relazione del consulente della difesa di Ciancio, si evince che «in data 28.03.2000 il cliente (il cui nominativo non veniva specificato) si recava presso l’istituto e, in relazione al conto deposito Rubrica Zecca, chiedeva: “estinzione della relazione e suddivisione del patrimonio fra gli a.d.e. [aventi diritto economico; n.d.r.] che hanno aperto nuova relazione cifrata” presso il medesimo istituto».
Da un ulteriore «rapporto confidenziale» si evince che «il “beneficiario” del rapporto con la banca» sia Mario Ciancio Sanfilippo, ma che, in ogni caso, gli introiti della Rubrica Zecca sarebbero legittimi.
La Weissdorn Handelsanstalt
Altro discorso per il conto deposito Rubrica Timone, quello col potere di firma attribuito a Ciancio, fin dalla costituzione, estesi a Leonardo, Emanuele e Rita Biondi dal 23 febbraio del 1989 all’8 ottobre del 1993, quando tornano nell’esclusività dell’editore della Sicilia fino al 28 aprile del 2014, quando passano nelle mani di Angelika Iris Moosleithner, un’avvocata di Vaduz, dove ha sede la fiduciaria Weissdorn Handelsanstalt.
A questo conto deposito sono collegati tre conti correnti di appoggio: uno in franchi svizzeri, «per il quale sono stati prodotti dalla banca gli estratti conto a partire dal giorno 01.01.1986 fino al 30.09.2014»; uno in dollari statunitensi «per il quale sono stati prodotti dalla banca gli estratti conto a partire dal 25.01.2001 (data di accensione) fino al 30.09.2014»; un terzo in euro, «per il quale sono stati prodotti dalla banca gli estratti conto a partire dal 26.04.2004 (data di accensione) fino al 30.09.2014». L’assenza della documentazione relativa al periodo 1976-1989, nel 2015, aveva spinto il Tribunale a rigettare la richiesta di sequestro dei tre conti da parte della Procura.
«Tale conclusione – annotano i giudici, nel ribaltare la precedente decisione – non è oggi condivisa dal Collegio, alla luce delle emergenze della attività istruttoria successiva al decreto sopra citato. Ed invero, vanno rilevati due dati: il conto Rubrica Timone è stato aperto dalla società fiduciaria sopra indicata nell’anno 1976, quando il proposto versava in condizione di sperequazione, non potendo egli disporre di redditi leciti; i primi dati utili attengono all’anno 1989, in cui il conto in oggetto aveva una provvista pari ad € 3.495.807, pari all’epoca a £ 6.768.826.782, ed anche in tale anno era presente una prevalenza dei flussi finanziari negativi su quelli positivi. Dall’esame dei flussi finanziari relativi agli anni 1976-1989 si evince che il proposto non poteva disporre di risorse lecite tali da costituite la provvista riscontrata nel 1989 e deve in ogni caso ritenersi che egli abbia illecitamente esportato valuta in Svizzera. Parimenti illecito il saldo attivo attuale del conto deposito in esame, derivante da un’originaria illecita esportazione di capitali. Tale saldo attivo deve pertanto essere confiscato». Un saldo attivo che al 24 ottobre del 2014 ammontava a quasi venticinque milioni di euro (€ 24.839.783,78).
Svizzera, però, non vuol dire solo Credit Suisse, ma anche Ubs di Lugano e Banca Svizzera Italiana dove, a partire dal 1989, si sono registrati altri ingenti movimenti di capitali. A fine luglio dell’89, la solita Weissdorn Handelsanstalt, la società fiduciaria con sede a Vaduz che abbiamo appena visto, stipulava una convenzione con la banca Ubs per l’apertura di una posizione cifrata avente n. 241- 644.601, conferendo contestualmente i poteri di firma a Ciancio. Com’era già avvenuto con la banca di Chiasso, anche a Lugano alla posizione cifrata sono collegati due distinti conti di deposito ai quali sono altresì collegati diversi conti correnti.
Una nuova posizione cifrata
Nell’aprile del 2003 veniva aperta una nuova posizione cifrata, intestata alla società fiduciaria Attenuata Familienstiftung, anch’essa con sede a Vaduz, e su tale posizione veniva trasferito l’intero patrimonio intestato alla Weissdorn Handelsanstalt. Ciancio era procuratore amministrativo anche della nuova fiduciaria, di cui avevano potere i firma i seguenti soggetti: la Corpboard Ltd (fino al 2010), con sede nelle Isole Vergini Britanniche (società interamente controllata dalla banca Ubs e specializzata nella costituzione di trust e fondazioni a Singapore e Hong Kong in collaborazione con fiduciarie del Liechtenstein); Norbert Marxer (che all’inizio del 2006 sarà sostituito dal collega Rainer Gassner), un avvocato del Principato, dove negli anni 70 ha ricoperto anche incarichi di governo; la società Auctoriana Anstalt, anch’essa con sede in Liechtenstein. Avente diritto economico è, sin dall’inizio, Mario Ciancio Sanfilippo: è lui il beneficiario degli investimenti patrimoniali movimentati tramite questo reticolo societario.
Il sequestro dei conti
Già nel 2015 il Tribunale di Catania aveva disposto il sequestro dei conti correnti attivati da Ciancio alla Ubs di Lugano, nonché il sequestro di cinque milioni di euro (ora confiscati) depositati su un conto corrente acceso nel 1989 nell’istituto di credito Intesa San Paolo – Private Banking Spa di Catania ed intestato all’editore. Il Tribunale, però, aveva respinto la richiesta di sequestro avanzata dalla procura per diversi conti svizzeri e Ciancio, nelle more del ricorso, aveva tentato di fare sparire i fondi in essi contenuti, disinvestendo il denaro, ma il Procuratore Federale della Confederazione Elvetica aveva avvertito i colleghi catanesi e, così, era stato sventato l’intento dell’allora indagato Mario Ciancio e ora sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa. Sui conti Ubs, i giudici hanno confiscato oltre diciotto milioni di euro (€ 18.102.279).
Le banche della confederazione elvetica non sono più quelle raccontate da Jean Ziegler nel suo saggio del 1990, “La Svizzera lava più bianco”, e ciò lo si deve all’incessante lavoro fatto da Giovanni Falcone prima di essere ucciso per scardinare il muro di silenzio elvetico, ormai superato da accordi bilaterali e internazionali senza i quali i soldi illecitamente accumulati da Ciancio sarebbero rimasti al sicuro.
“Una pericolosità qualificata”
Dopo quasi quattrocento pagine di accurata analisi della galassia societaria e finanziaria di Mario Ciancio Sanfilippo e dei suoi familiari, i giudici Trovato, Sammartino e Ricciardolo concludono e sintetizzano perché quasi tutto l’impero di Ciancio andava confiscato: «L’analisi dei flussi economici in entrata e in uscita dimostra come l’attività imprenditoriale del Ciancio Sanfilippo sia stata avviata e si sia progressivamente sviluppata con investimenti iniziali di impressionante entità e con successivo impiego di ingenti capitali, gli uni e gli altri da ritenersi illeciti o in quanto frutto di condotte costituenti manifestazioni di pericolosità “qualificata” ovvero in quanto non spiegabili tenuto conto delle risorse lecite delle quali il proposto poteva disporre».