La Salerno-Reggio Calabria del Nord parte da Milano
Più di 10 anni di cantieri e un mare di soldi arrivati con l’alta velocità. Dalle tangenti “bianche”, al rischio ‘ndrangheta passando per una famiglia discussa e potente: i Gavio
Anche il Nord ha la sua “Salerno-Reggio Calabria”, ma a parte la durata infinita dei cantieri, le dissonanze sono tali e tante che, nel suo piccolo, il caso settentrionale suona persino più scandaloso.
Stiamo parlando di una striscia d’asfalto lunga appena 130 chilometri che corre lungo una pianura che più pianura non si può: niente viadotti, niente trafori, nessun problema di carattere orografico, zero rischio geologico. Eppure i lavori di ampliamento iniziati nel 2002 sono ben lungi dall’essere terminati, nonostante si tratti di un asse viabilistico e logistico tra i più importanti per l’economia italiana: la Torino-Milano.
A differenza della Salerno-Reggio, che fa capo all’Anas e i cui cantieri sono alimentati dai soldi pubblici, questa è un’autostrada a pedaggio in concessione a un gruppo privato (il gruppo Gavio) al quale vengono annualmente riconosciuti aumenti tariffari a fronte degli investimenti effettuati per il potenziamento dell’autostrada.
Un’anomalia nell’anomalia dunque, visto che almeno in linea teorica il concessionario privato avrebbe tutto l’interesse a terminare quanto prima i lavori in modo da beneficiare dell’ aumento del traffico e incassare di più. Invece i cantieri vanno al rallentatore e, in qualche caso, sono del tutto fermi.
Spiegazioni e scuse non mancano e si intrecciano inevitabilmente alla storia dell’alta velocità ferroviaria che per un lungo tratto corre parallela all’autostrada. Anche i cantieri della Tav tra Torino e Milano sono durati molto più del dovuto (il servizio è stato inaugurato nel dicembre 2009) e soprattutto sono costati molto più di quanto preventivato: oltre 10 miliardi di euro contro il miliardo previsto nel 1991, per un costo di circa 74 milioni al chilometro per la Novara-Milano a fronte degli 84,8 milioni al chilometro spesi per la tratta appenninica Bologna-Firenze.
Di fronte a queste cifre clamorose, vale la pena chiedersi che cosa hanno di tanto particolare i 130 chilometri che separano Torino da Milano. Una prima, parziale, risposta l’ha data nel marzo 2007 l’amministratore delegato delle Ferrovie, Mauro Moretti, che in un’audizione presso la Commissione lavori pubblici del Senato così dichiarava: “La sezione dell’autostrada è una sezione normale. Noi invece abbiamo dovuto realizzare prima una duna di protezione, molto spesso con pannelli fonoassorbenti rivolti verso l’autostrada, come se questa si dovesse proteggere dalla ferrovia. […]
Le stesse autorità poi ci hanno chiesto di realizzare una strada per la protezione civile tra l’autostrada e la ferrovia. Non conosco altri casi simili al mondo e francamente costruire una strada da Torino a Novara solamente ad uso della protezione civile ha comportato un costo: si tratta di decine di chilometri. Infine vi è la ferrovia con le relative opere di contorno e sovrappassi. Inoltre, una previsione locale ha imposto che la pendenza dei cavalcavia fosse del 3-4 per cento invece del 6 per cento preesistente […]. Questa previsione da sola ci ha obbligato a rifare tutti i cavalcavia per l’autostrada perché non si potevano più raccordare i vecchi cavalcavia con i nuovi”.
E ancora: “Altre autorità – proseguiva Moretti nel corso dell’audizione – impongono anche di garantire la permeabilità delle strutture alle risaie, che noi abbiamo dovuto consentire aprendo finestre ogni 50 metri; peccato che non ve ne siano di corrispondenti per l’autostrada, che quindi rappresenta una diga”.