La rivolta degli invisibili
La beffa dell’”equo compenso”
Sul sito della BBC la raccontano così: “Freelance journalists in Italy protest over minimum wage ruling”. Si trata di una questione che in Italia per alcune settimane ha tolto il fiato a giornalisti, sindacato e persino ad alcuni lettori.
Una delibera governativa dal 19 giugno ha chiuso l’accordo la tra Federazione Italiana Editori Giornali e Federazione Nazionale Stampa Italiana sull’equo compenso per i giornalisti. Un percorso avviato da tempo con l’intento di porre fine alla “schiavitù” legalizzata nell’editoria e nel giornalismo in cui tariffari da fame, mancati pagamenti, fallimenti e licenziamenti sono la regola da più di vent’anni.
“Precari merce di scambio”
Così una Commissione nominata ad hoc per redigere in Italia un tariffario più civile per i giornalisti, capace di tutelare non solo il diritto al lavoro ma anche quello ad un’informazione di qualità, partita con le migliori intenzioni è stata bruscamente fatta convergere con il percorso della contrattazione nazionale fra Fieg e Fnsi. Una manovra che – secondo i freelance e lavoratori autonomi – ha fatto diventare la legge sull’equo compenso merce di scambio e/o ricatto da parte degli editori.
Eppure, sulla carta, quella norma poco o nulla aveva a che vedere con la contrattazione nazionale. Era, invece, figlia della Carta di Firenze, frutto di lavoro di freelance, precari, una parte del sindacato e dell’Ordine dei giornalisti (che dopo decenni di assenza ha fatto un passo avanti decisivo in questa battaglia).
Una legge dello Stato per la prima volta avrebbe imposto sanzioni per gli editori che non rispettavano l’equo compenso, anche alla luce del mutato contesto tecnologico e editoriale italiano.
Il regalo agli editori
Le tariffe, “minime” (tiene a precisare il segretario della Federazione nazionale della Stampa Franco Siddi), saranno dunque: 20,80 per un articolo su un quotidiano; 6,25 euro per una segnalazione ad agenzie e web (eventualmente integrata di un paio di euro se con foto e video); 67 euro ad articolo per i periodici; 14 euro per un articolo su periodici locali; 40 euro per le tv locali, ma solo con un minimo di 6 pezzi al mese; 250 euro per un pezzo sui mensili. Questo è ciò che editori e sindacato dei giornalisti hanno stabilito come “equo compenso” per cronisti a collaborazione coordinata e continuativa.
Immediate nei giorni successivi le reazioni dei giornalisti: una petizione on line che ha raccolto oltre 2000 firme è stata lanciata su change.org e portata al sottosegretario all’editoria, Luca Lotti. Alla Fnsi, l’8 luglio lo scontro fra i coordinamenti precari e i vertici della Fnsi: toni alti, tanta sofferenza nelle parole dei colleghi, perdita di lucidità da una parte e dall’altra, spintoni e parole dure. Non è stata una bella giornata per nessuno. Risultato di un graduale e inevitabile scollamento, direbbero i politici, fra la base e i vertici, fra chi si è fatto carico del disastro del sistema editoriale italiano e chi ha chiuso gli occhi. I vertici del sindacato, però, chiedono di arrivare a novembre, al rinnovo del congresso e di giocarsi li il tutto per tutto.
Le storie degli “invisibili”
Ma la vicenda dell’equo compenso è più complessa dello scontro sulle tariffe per un pezzo, riguarda le politiche sul lavoro e il “laboratorio” che il mercato editoriale è diventato per tutto il settore: si parte dai giornali e si arriva nelle fabbriche: mentre tutti, da anni, pensavano si stesse sperimentando esattamente il contrario. Le polemiche sul diritto al lavoro per i giornalisti sono anche l’occasione per non chiudere gli occhi sul “sommerso” che tiene in piedi giornali, tv, portali e radio. Gli “invisibili” fanno oltre il 60% di questi prodotti e sono vittime di un sistema da cui sono attratti ma al tempo stesso condannati.
Il loro tormento spesso porta a gesti estremi, altre volte solo a cambiare lavoro, altre ancora ad andare avanti con un pesante stato di depressione. Per i più fortunati l’ironia smorza la pesantezza di questo anomalo precariato ma non risolve i problemi a fine mese quando sul contro corrente per oltre 100 pezzi inviati ad una agenzia arriverà un bonifico di meno di 45 euro. Un lamento collettivo che traspare anche sotto le firme della petizione on line inviata al sottosegretario Lotti.
Testimonianze e messaggi
Su change.org tanti i messaggi lasciati dai colleghi e dai cittadini: “È dal 1997 che vengo sfruttata nell’indifferenza generale. Ora basta sopravvivere, vogliamo vivere come tutti i lavoratori”; “I giornalisti liberi di scrivere e di vivere sono una garanzia per la democrazia”; “Voglio continuare a fare la giornalista, ma queste condizioni non me lo permettono”… “L’informazione che si farà pagando i giornalisti 3 euro all’ora varrà lo stesso prezzo. L’Italia e gli italiani non se lo possono permettere” – scrivono ancora altri colleghi. “Non è importante per me, è importante per tutti!” commenta un cittadino.
Il ricorso dell’Ordine dei giornalisti
L’Odg ha annunciato un ricorso al Tar. I colleghi della BBC si sono accorti degli “invisibili”, un soggetto che in Italia è raro veder raccontato sui giornali.
Difficile spiegare, in terra britannica, anche il resto: editori “mordi e fuggi” che fanno nascere giornali per “posizionare giornalisti” e “vendere spazi pubblicitari” e chiudono spesso prima, molto prima, della fine di un campionato di calcio. La partita, d’altronde, la vincono sempre loro, “gli editori impuri” come si chiamano tecnicamente in Italia.
Sul campo, con le mani fra i capelli, alla fine di ogni gara rimangono i giornalisti, che assistono agli innumerevoli autogoal messi a segno dai rappresentanti della categoria cui appartengono.E le partite, una dopo l’altra, si continuano a perdere così.