giovedì, Novembre 21, 2024
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La rivolta degli invisibili

La beffa dell’”equo compenso”

Sul sito della BBC la raccontano così: “Freelance journalists in Italy protest over minimum wage ruling”. Si trata di una questio­ne che in Italia per alcune settimane ha tolto il fiato a giornalisti, sindacato e per­sino ad alcuni lettori.

Una delibera go­vernativa dal 19 giugno ha chiuso l’accor­do la tra Federazione Ita­liana Edito­ri Giornali e Federazione Na­zionale Stampa Italiana sull’equo compen­so per i giornali­sti. Un percorso avviato da tempo con l’intento di porre fine alla “schiavitù” le­galizzata nell’edi­toria e nel giornalismo in cui tariffari da fame, man­cati pagamenti, fallimenti e li­cenziamenti sono la regola da più di vent’anni.

“Precari merce di scambio”

Così una Commissione nominata ad hoc per redigere in Italia un tariffario più ci­vile per i giornalisti, capace di tutelare non solo il diritto al lavoro ma anche quello ad un’informazione di qualità, partita con le migliori intenzioni è stata brusca­mente fat­ta convergere con il percorso del­la contrat­tazione nazionale fra Fieg e Fnsi. Una ma­novra che – secondo i freelance e lavorato­ri autonomi – ha fatto diventare la legge sull’equo compenso merce di scambio e/o ricatto da parte degli editori.

Eppure, sulla carta, quella norma poco o nulla aveva a che vedere con la contratta­zione nazionale. Era, inve­ce, figlia della Carta di Firenze, frutto di lavoro di free­lance, precari, una parte del sindacato e dell’Ordine dei giornalisti (che dopo de­cenni di assenza ha fatto un passo avanti decisivo in questa battaglia).

Una legge dello Stato per la prima volta avrebbe im­posto sanzioni per gli editori che non ri­spettavano l’equo compenso, an­che alla luce del mutato contesto tecnolo­gico e edi­toriale italiano.

Il regalo agli editori

Le tariffe, “minime” (tiene a precisare il segretario della Federazione nazionale del­la Stampa Franco Siddi), saranno dunque: 20,80 per un articolo su un quotidiano; 6,25 euro per una segnalazione ad agenzie e web (eventualmente integrata di un paio di euro se con foto e video); 67 euro ad ar­ticolo per i periodici; 14 euro per un arti­colo su periodici locali; 40 euro per le tv locali, ma solo con un minimo di 6 pezzi al mese; 250 euro per un pezzo sui mensi­li. Questo è ciò che editori e sindacato dei giornalisti hanno stabilito come “equo compenso” per cronisti a collaborazione coordinata e continuativa.

Immediate nei giorni successivi le rea­zioni dei giornalisti: una petizione on line che ha raccolto oltre 2000 firme è stata lanciata su change.org e portata al sottose­gretario all’editoria, Luca Lotti. Alla Fnsi, l’8 luglio lo scontro fra i coordi­namenti precari e i vertici della Fnsi: toni alti, tanta sofferenza nelle parole dei colle­ghi, perdi­ta di lucidità da una parte e dall’altra, spin­toni e parole dure. Non è sta­ta una bella giornata per nessuno. Risulta­to di un gra­duale e inevitabile scollamen­to, direbbero i politici, fra la base e i ver­tici, fra chi si è fatto carico del disastro del sistema edito­riale italiano e chi ha chiuso gli occhi. I vertici del sindacato, però, chiedono di ar­rivare a novembre, al rinno­vo del congres­so e di giocarsi li il tutto per tutto.

Le storie degli “invisibili”

Ma la vicenda dell’equo compenso è più complessa dello scontro sulle tariffe per un pezzo, riguarda le politiche sul lavoro e il “laboratorio” che il mercato editoriale è diventato per tutto il settore: si parte dai giornali e si arriva nelle fabbriche: mentre tutti, da anni, pensavano si stesse speri­mentando esattamente il contrario. Le po­lemiche sul diritto al lavoro per i giornali­sti sono anche l’occasione per non chiude­re gli occhi sul “sommerso” che tiene in piedi giornali, tv, portali e radio. Gli “invi­sibili” fanno oltre il 60% di questi prodotti e sono vittime di un sistema da cui sono attratti ma al tempo stesso con­dannati.

Il loro tormento spesso porta a gesti estremi, altre volte solo a cambiare lavoro, altre ancora ad andare avanti con un pe­sante stato di depressione. Per i più fortu­nati l’ironia smorza la pe­santezza di que­sto anomalo precariato ma non risolve i problemi a fine mese quando sul contro corrente per oltre 100 pezzi in­viati ad una agenzia arriverà un bonifico di meno di 45 euro. Un lamento collettivo che traspare anche sotto le firme della pe­tizione on line inviata al sottosegretario Lotti.

Testimonianze e messaggi

Su change.org tanti i messaggi lasciati dai colleghi e dai cittadini: “È dal 1997 che vengo sfruttata nell’indifferenza gene­rale. Ora basta sopravvivere, vogliamo vi­vere come tutti i lavoratori”; “I giornalisti liberi di scrivere e di vi­vere sono una garanzia per la democrazia”; “Voglio continuare a fare la giornalista, ma queste condizioni non me lo permettono”… “L’informazione che si farà pagando i giornalisti 3 euro all’ora varrà lo stesso prezzo. L’Italia e gli italiani non se lo pos­sono permettere” – scrivono ancora altri colleghi. “Non è importante per me, è im­portante per tutti!” commenta un cittadino.

Il ricorso dell’Ordine dei giornalisti

L’Odg ha annunciato un ricorso al Tar. I colleghi della BBC si sono accorti degli “invisibili”, un soggetto che in Italia è raro veder raccontato sui giornali.

Difficile spie­gare, in terra britannica, an­che il resto: edi­tori “mordi e fuggi” che fanno nascere giornali per “posizionare giornalisti” e “vendere spazi pubblicitari” e chiudono spesso prima, molto prima, della fine di un campionato di calcio. La partita, d’altron­de, la vincono sempre loro, “gli editori impuri” come si chiamano tec­nicamente in Italia.

Sul campo, con le mani fra i capelli, alla fine di ogni gara rimangono i giornalisti, che assistono agli innumerevoli autogoal messi a segno dai rappresentanti della ca­tegoria cui appartengono.E le par­tite, una dopo l’altra, si continuano a per­dere così.

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