La Procura minorile riapre il caso di Francesco Ferreri
Intervista al fratello del bambino ucciso a Barrafranca nel 2005
Barrafranca, provincia di Enna, quasi un omicidio all’anno. Uno su tre resta impunito. Pochi giorni fa la Procura minorile di Caltanissetta ha riaperto le indagini sull’assassinio, finora “ad opera di ignoti”, di Francesco Ferreri.
Francesco aveva tredici anni quando, il 15 dicembre 2005, venne seviziato, massacrato con diciannove colpi di chiave inglese in testa e infine gettato in una discarica di campagna. Abbiamo intervistato Angelo Ferreri, suo fratello.
Angelo, tu non hai sospettato quello che Francesco si è ritrovato a vivere prima di quella tragedia. Adesso che è passato del tempo c’è qualche parola, qualche atteggiamento di tuo fratello che, con gli occhi di oggi, ti sembra anomalo?
No, niente perché nei giorni precedenti era tranquillissimo. Aveva la sua vita normale: andava a scuola, ritornava, faceva i compiti, usciva. Né io né mia mamma che lo accudiva abbiamo colto segnali di nessun genere.
Qual è stata la sensazione peggiore per te e la tua famiglia?
Tutto in questa vicenda ci ha scioccati. Francesco non c’è più e abbiamo il diritto di sapere chi è stato a massacrarlo. Quello che continua a tormentarci è non sapere chi è il colpevole dopo dieci anni.
Quanto è forte a Barrafranca la paura di dire la verità?
Volendo fare una percentuale il 99%. Nessuno parla e tutto tace. Ognuno vuole sapere come andrà a finire, a che punto sono le indagini, se si sa qualcosa, però non appena un giornalista o qualunque altra persona si avvicina per fare qualche domanda, tutti voltano le spalle. Tutti vogliono sapere ma nessuno si impegna per scoprire, tutti combattono ma “senza armi”.
Di fronte a questa tragedia, c’è stata più indifferenza o solidarietà?
Secondo me più indifferenza. Non c’è dubbio.
Cosa diresti a tutte le persone che sanno e che hanno preferito rimanere in silenzio in tutti questi anni?
Io direi loro che una volta per tutte si decidano a parlare. Quello che mi domando è come facciano a dormire tranquilli la sera con un peso del genere sulla coscienza: sapere e non parlare è una cosa gravissima visto che si tratta di un bambino di tredici anni, poteva capitare benissimo anche a loro.
Da pochi giorni è stato riaperto il caso con un nuovo iscritto nel registro degli indagati. Qual è il tuo stato d’animo nei confronti della giustizia?
Vedo che la giustizia non si ferma, va avanti. Però quando si cerca di arrivare al dunque cede. La giustizia secondo me non è così forte da assumersi le proprie responsabilità. Un giudice che dopo anni di indagini non è stato ancora in grado di individuare un colpevole non fa bene il suo lavoro. È una giustizia che costruisce grattacieli ma senza fondamenta. È una giustizia che recita ad essere tale, ma non lo è per davvero.
Angelo, vuoi aggiungere qualcosa a quanto detto sinora?
Io voglio rifare lo stesso appello. Chiunque sappia qualcosa, si decidesse a segnalarlo: in forma anonima, attraverso una lettera, in qualunque modo. Un qualsiasi segnale che possa servire per fare giustizia. Non per me o la mia famiglia, ma per Francesco perché è lui che ancora non riposa in pace dopo dieci anni.