venerdì, Novembre 22, 2024
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La parola futuro e i bambini di Bucarest

Vivere per le strade, dormire nelle fogne

“Mi è sempre piaciuta la parola fu­turo, quando la sento mi ricordo di es­sere viva. Onestamente preferisco quando a pronunciarla sono i bambini, loro sì che sanno cosa vogliono: spazi comuni, piste ciclabili, tempo da dedi­care alle persone e alle cose che ama­no. I giovani, non so perché, ne hanno paura, come se, citan­dola ad alta voce, tutti i bei colori e dise­gni che ci sono dentro scappassero via e fossero im­possibili da stendere sulla tela della vita. Gli adulti quando la sentono si scoraggiano, come se il loro futuro fos­se ormai passato e non avessero il di­ritto, o meglio il dovere, di ripeterla ai loro figli e nipoti ogni giorno, per fis­sarla per bene nella loro memoria.

E poi ci sono loro, la categoria tra­sversale, capace di mutare ogni verità in menzogna: gli uomini di potere. Con loro lei si spor­ca, perde i suoi colori e diventa grigia. E’ allora che la pa­rola futu­ro si sente persa ed impaurita: com’è possibile che il suo viso sia di­ventato così triste e consumato dalla paura, dai bisogni, dal dolore? Lei e quello specchio non dovrebbero essere le priori­tà di ogni essere umano che sap­pia ama­re?”

Qui a Bucarest sto leggendo la tesi di Donatella sui ragazzi di strada: me l’han­no data alla Fondazione Para­da per co­minciare a conoscere il loro la­voro, che fra pochi giorni sarà anche il mio. Un fe­nomeno al tempo stesso sco­nosciuto e vi­cino. É incredibile come in tutto il mon­do (Brasile, Messico, Guate­mala, Boli­via, Italia, Romania, Russia, Africa…) la povertà, l’abban­dono, la vio­lenza sui mi­nori, abbiano la stessa enor­me presenza e godano della stessa indif­ferenza.

Leggo le storie dei bambini che lei ha conosciuto e con cui ha lavora­to al cen­tro diurno della Fondazione: un bambino di otto anni che vive con geni­tori e sette fratelli in una casa abusiva e che adesso è stato riscritto a scuola dopo averla ab­bandonata; un bambino di tredi­ci anni con un fratello più piccolo e altri fratella­stri più grandi che alterna periodi in stra­da e periodi a casa e che incentra tutta la sua vita su un personaggio dei fu­metti; un tredicenne che ha frequentato solo cinque classi e non vuole più tornare a studiare, a cui bisogna ripetere sempre le cose, che non vuole rispettare le regole e che fa uso di droghe ma che in fondo ha solo bisogno di essere spronato; un ra­gazzo di diciott’anni fuggito da casa per­ché i genitori hanno divorziato e che adesso vive con tre fratelli in strada ed ama la giocoleria…

Piccole storie. Sono tante ma non ba­stano a raccontare il dramma dei ragazzi di strada a Bucarest, spesso fuggiti da case in cui non ricevevano amore ma violenza ed abusi, o dagli orfano­trofi-lager costruiti da Ceausescu sotto il co­munismo, quando la politica dell’incre­mento demografico mirava ad avere gio­vani braccia per il suo esercito. Ragazzi che oggi vivono nelle fogne e nelle me­tropolitane, attaccati ai tubi per riscaldar­si, e che sniffano colla per fuggire dai morsi della fame. Ragazzi costretti ad ac­cattare o a rubare, costretti a creare gangs che spesso diventano una una prigione umana. Vittime di maltrattamenti, abusi, facili prede del turismo sessuale… Ra­gazzi normali che sognano per il loro fu­turo (quando non glielo ruba la droga o la malattia) niente più che una casa, una famiglia, un po’ di calore. Calore che ora trovano solo in fonda­zioni come Parada, che ogni giorno – at­traverso il Centro Diurno, la Caravana notturna e le mille attività – cerca di fare del suo meglio per reinserirli nella socie­tà.

Chiudo gli occhi un momento e torno a casa, a Catania, a San Cristoforo, a Libri­no. Forse cambiano Paese e lingua – pen­so – ma a cambiare non sono le condizio­ni dei minori. Minori che vivono in case abusive prive delle condizioni di sicurez­za minime, minori a cui viene negata la possibilità dell’istruzione perché il comu­ne non paga l’affitto della scuola che per­ciò viene chiusa, e finiscono per la strada assoldati dalla mafia. Bambini privi di tutela che vivono in famiglie dove la vio­lenza, soprattutto maschile, è pane quoti­diano, ragazzi che a scuola insegnano ai compagni come saltare i cancelli e taglia­re la droga…

Anche loro sono ragazzi normali, che desiderano solo un futuro in cui ci sia una casa, una famiglia, un po’ di tem­po e di spazio per stare insieme senza rischia­re di finire in un buco o di essere investi­to da una macchina.

Anche a Catania come a Bucarest, l’unico aiuto viene da alcune associazio­ni. Come il Gapa che da venticinque anni lavora senza sosta a San Cristoforo, cercando di dar voce e opportunità a per­sone a cui le istituzioni hanno preferito dare solo pasta, ricariche telefoniche e false promesse in cambio di voti.

Allora mi sento arrabbiata e mi chiedo a cosa serva la Convenzione Internazio­nale dei Diritti dell’Infanzia, piena di bei principi che restano solo principi, di bei discorsi retorici da pronunciare davanti ad una telecamera o scivere in in com­moventi articoli di giornale. Uno di quei giornali o di quelle tv che ogni momento ci raccontano che gli “stranieri” rubano, mentre tante multinazionali rubano l’infanzia dei bambini di tutto il mondo. E anche quando il problema viene sfiora­to, viene fatto ap­parire molto lontano da noi, dalla nostra società “civilizzata”: il bambino africano che vive in un villag­gio isolato, il bambino indiano che lavo­ra in fabbrica, il bambino cinese costretto ad alle­narsi con esercizi al limite dell’umano. Ma noi, dove siamo noi? Dov’è la civile Europa che guarda questo lontano uni­verso primitivo?

Eppure, questo fenome­no è anche dentro l’Europa. La stessa Eu­ropa di cui fa parte Bucarest, e di cui fan­no parte San Cristoforo e Librino. Che non è ancora riuscita a fare una politica capace di salvare i minori scappati dai conflitti e dal dolore, e spesso scaraven­tati – invisibili nelle nostra civili strade – a prostituirsi o a raccogliere pomodori fino a quando un giorno li ritrovi am­mazzati da chissà chi, chissà perché…

In fondo a tutto questo silenzio si alza solo una voce, quella delle associazioni che lavorano per l’infanzia ogni giorno, in tutto il mondo; che tirano via quei fa­mosi principi dalla carta e, come nella fiaba, anche le cose inanimate comincia­no ad avere una propria vita.

Associazioni come Parada in Romania e il Gapa a San Cristoforo di cui vi rac­conterò però la prossima volta. Perché, almeno fino ad allora, sentiate anche voi come suona la parola futuro per questi bambini

LA FONDAZIONE PARADA

Nel 1992 Miloud Oukili, clown franco-algeri­no, arriva a Bucarest. Colpito dalla realtà dei ra­gazzi di strada decide di non voltarsi dall’altra parte, ma diventare per loro ” un fratello mag­giore”. Così attraverso la giocoleria e l’ascolto, guadagna la fiducia dei ragazzi che, grazie all’insegnamento dell’arte circense iniziano un nuovo cammino. Miloud decide di creare Para­da nel 1996, dopo il primo spettacolo in strada, che rende i bambini estremamente felici.

Lo scopo della fondazione è portare i bambini “fuori dalla strada” , lavorare per un loro reinse­rimento attraverso il “circo socia­le”, che con l’aiuto dello sport, la creatività, la di­sciplina, la fi­ducia, aiuta i ragazzi a riprendere in mano la loro vita. Le attività della fondazione sono mol­tissime, una delle più importanti è sicu­ramente la CARAVANA (unità mobile nottur­na), attraver­so cui si cerca di monitorare il feno­meno, creare un primo incontro e fornire un pri­mo aiuto (cibo, assistenza sociale e sanitaria) ai ragazzi e alle famiglie che vivono nelle strade di Bucarest.

Se la Caravana funge da primo contatto, fon­damentale è anche il lavoro del Centro Diurno, il cui scopo è stimolare i ragazzi verso l’uscita dalla strada, con un lavoro di gruppo ed indivi­dualizzato. Ogni giorno è fre­quentato da 25-30 ragazzi, bambini e famiglie, ed offre, oltre aa un aiuto primario (mensa, ser­vizi igenici e sanitari), anche attività educative e ricreative.

Alla base dell’associazione è stato, ed è an­cora, il di­partimento artistico, che come si legge sul sito “lavora per ridurre gli stati di disa­gio fisi­co, psichico e sociale dovuti alle condi­zioni di vita, valorizzare le manifestazione di au­tenticità edestetica nella quotidianità dei ragaz­zi, familia­rizzare con gli atti artistici, migliorare la perce­zione delle proprie attitudini, dare spa­zio al po­tenziale creativo dei beneficiari. “

E proprio da questonascono le emozionanti tournèe, momento fondamentale per il rinseri­mento dei ragazzi e per tutti noi.

Ma tanto altro su Parada lo scoprite nel film di Marco Pontecorvo “Pa-ra-da il film”, oo su:

www.parada.itwww.paradaromania.ro

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