La parola futuro e i bambini di Bucarest
Vivere per le strade, dormire nelle fogne
“Mi è sempre piaciuta la parola futuro, quando la sento mi ricordo di essere viva. Onestamente preferisco quando a pronunciarla sono i bambini, loro sì che sanno cosa vogliono: spazi comuni, piste ciclabili, tempo da dedicare alle persone e alle cose che amano. I giovani, non so perché, ne hanno paura, come se, citandola ad alta voce, tutti i bei colori e disegni che ci sono dentro scappassero via e fossero impossibili da stendere sulla tela della vita. Gli adulti quando la sentono si scoraggiano, come se il loro futuro fosse ormai passato e non avessero il diritto, o meglio il dovere, di ripeterla ai loro figli e nipoti ogni giorno, per fissarla per bene nella loro memoria.
E poi ci sono loro, la categoria trasversale, capace di mutare ogni verità in menzogna: gli uomini di potere. Con loro lei si sporca, perde i suoi colori e diventa grigia. E’ allora che la parola futuro si sente persa ed impaurita: com’è possibile che il suo viso sia diventato così triste e consumato dalla paura, dai bisogni, dal dolore? Lei e quello specchio non dovrebbero essere le priorità di ogni essere umano che sappia amare?”
Qui a Bucarest sto leggendo la tesi di Donatella sui ragazzi di strada: me l’hanno data alla Fondazione Parada per cominciare a conoscere il loro lavoro, che fra pochi giorni sarà anche il mio. Un fenomeno al tempo stesso sconosciuto e vicino. É incredibile come in tutto il mondo (Brasile, Messico, Guatemala, Bolivia, Italia, Romania, Russia, Africa…) la povertà, l’abbandono, la violenza sui minori, abbiano la stessa enorme presenza e godano della stessa indifferenza.
Leggo le storie dei bambini che lei ha conosciuto e con cui ha lavorato al centro diurno della Fondazione: un bambino di otto anni che vive con genitori e sette fratelli in una casa abusiva e che adesso è stato riscritto a scuola dopo averla abbandonata; un bambino di tredici anni con un fratello più piccolo e altri fratellastri più grandi che alterna periodi in strada e periodi a casa e che incentra tutta la sua vita su un personaggio dei fumetti; un tredicenne che ha frequentato solo cinque classi e non vuole più tornare a studiare, a cui bisogna ripetere sempre le cose, che non vuole rispettare le regole e che fa uso di droghe ma che in fondo ha solo bisogno di essere spronato; un ragazzo di diciott’anni fuggito da casa perché i genitori hanno divorziato e che adesso vive con tre fratelli in strada ed ama la giocoleria…
Piccole storie. Sono tante ma non bastano a raccontare il dramma dei ragazzi di strada a Bucarest, spesso fuggiti da case in cui non ricevevano amore ma violenza ed abusi, o dagli orfanotrofi-lager costruiti da Ceausescu sotto il comunismo, quando la politica dell’incremento demografico mirava ad avere giovani braccia per il suo esercito. Ragazzi che oggi vivono nelle fogne e nelle metropolitane, attaccati ai tubi per riscaldarsi, e che sniffano colla per fuggire dai morsi della fame. Ragazzi costretti ad accattare o a rubare, costretti a creare gangs che spesso diventano una una prigione umana. Vittime di maltrattamenti, abusi, facili prede del turismo sessuale… Ragazzi normali che sognano per il loro futuro (quando non glielo ruba la droga o la malattia) niente più che una casa, una famiglia, un po’ di calore. Calore che ora trovano solo in fondazioni come Parada, che ogni giorno – attraverso il Centro Diurno, la Caravana notturna e le mille attività – cerca di fare del suo meglio per reinserirli nella società.
Chiudo gli occhi un momento e torno a casa, a Catania, a San Cristoforo, a Librino. Forse cambiano Paese e lingua – penso – ma a cambiare non sono le condizioni dei minori. Minori che vivono in case abusive prive delle condizioni di sicurezza minime, minori a cui viene negata la possibilità dell’istruzione perché il comune non paga l’affitto della scuola che perciò viene chiusa, e finiscono per la strada assoldati dalla mafia. Bambini privi di tutela che vivono in famiglie dove la violenza, soprattutto maschile, è pane quotidiano, ragazzi che a scuola insegnano ai compagni come saltare i cancelli e tagliare la droga…
Anche loro sono ragazzi normali, che desiderano solo un futuro in cui ci sia una casa, una famiglia, un po’ di tempo e di spazio per stare insieme senza rischiare di finire in un buco o di essere investito da una macchina.
Anche a Catania come a Bucarest, l’unico aiuto viene da alcune associazioni. Come il Gapa che da venticinque anni lavora senza sosta a San Cristoforo, cercando di dar voce e opportunità a persone a cui le istituzioni hanno preferito dare solo pasta, ricariche telefoniche e false promesse in cambio di voti.
Allora mi sento arrabbiata e mi chiedo a cosa serva la Convenzione Internazionale dei Diritti dell’Infanzia, piena di bei principi che restano solo principi, di bei discorsi retorici da pronunciare davanti ad una telecamera o scivere in in commoventi articoli di giornale. Uno di quei giornali o di quelle tv che ogni momento ci raccontano che gli “stranieri” rubano, mentre tante multinazionali rubano l’infanzia dei bambini di tutto il mondo. E anche quando il problema viene sfiorato, viene fatto apparire molto lontano da noi, dalla nostra società “civilizzata”: il bambino africano che vive in un villaggio isolato, il bambino indiano che lavora in fabbrica, il bambino cinese costretto ad allenarsi con esercizi al limite dell’umano. Ma noi, dove siamo noi? Dov’è la civile Europa che guarda questo lontano universo primitivo?
Eppure, questo fenomeno è anche dentro l’Europa. La stessa Europa di cui fa parte Bucarest, e di cui fanno parte San Cristoforo e Librino. Che non è ancora riuscita a fare una politica capace di salvare i minori scappati dai conflitti e dal dolore, e spesso scaraventati – invisibili nelle nostra civili strade – a prostituirsi o a raccogliere pomodori fino a quando un giorno li ritrovi ammazzati da chissà chi, chissà perché…
In fondo a tutto questo silenzio si alza solo una voce, quella delle associazioni che lavorano per l’infanzia ogni giorno, in tutto il mondo; che tirano via quei famosi principi dalla carta e, come nella fiaba, anche le cose inanimate cominciano ad avere una propria vita.
Associazioni come Parada in Romania e il Gapa a San Cristoforo di cui vi racconterò però la prossima volta. Perché, almeno fino ad allora, sentiate anche voi come suona la parola futuro per questi bambini
LA FONDAZIONE PARADA
Nel 1992 Miloud Oukili, clown franco-algerino, arriva a Bucarest. Colpito dalla realtà dei ragazzi di strada decide di non voltarsi dall’altra parte, ma diventare per loro ” un fratello maggiore”. Così attraverso la giocoleria e l’ascolto, guadagna la fiducia dei ragazzi che, grazie all’insegnamento dell’arte circense iniziano un nuovo cammino. Miloud decide di creare Parada nel 1996, dopo il primo spettacolo in strada, che rende i bambini estremamente felici.
Lo scopo della fondazione è portare i bambini “fuori dalla strada” , lavorare per un loro reinserimento attraverso il “circo sociale”, che con l’aiuto dello sport, la creatività, la disciplina, la fiducia, aiuta i ragazzi a riprendere in mano la loro vita. Le attività della fondazione sono moltissime, una delle più importanti è sicuramente la CARAVANA (unità mobile notturna), attraverso cui si cerca di monitorare il fenomeno, creare un primo incontro e fornire un primo aiuto (cibo, assistenza sociale e sanitaria) ai ragazzi e alle famiglie che vivono nelle strade di Bucarest.
Se la Caravana funge da primo contatto, fondamentale è anche il lavoro del Centro Diurno, il cui scopo è stimolare i ragazzi verso l’uscita dalla strada, con un lavoro di gruppo ed individualizzato. Ogni giorno è frequentato da 25-30 ragazzi, bambini e famiglie, ed offre, oltre aa un aiuto primario (mensa, servizi igenici e sanitari), anche attività educative e ricreative.
Alla base dell’associazione è stato, ed è ancora, il dipartimento artistico, che come si legge sul sito “lavora per ridurre gli stati di disagio fisico, psichico e sociale dovuti alle condizioni di vita, valorizzare le manifestazione di autenticità edestetica nella quotidianità dei ragazzi, familiarizzare con gli atti artistici, migliorare la percezione delle proprie attitudini, dare spazio al potenziale creativo dei beneficiari. “
E proprio da questonascono le emozionanti tournèe, momento fondamentale per il rinserimento dei ragazzi e per tutti noi.
Ma tanto altro su Parada lo scoprite nel film di Marco Pontecorvo “Pa-ra-da il film”, oo su: