La ‘ndrangheta, lobby fra le lobby
Domenico Zambetti, assessore alla Casa della giunta Formigoni, è stato eletto alla Regione Lombardia con migliaia di voti della ‘ndrangheta. Un bel pacchetto: 4000, pare. E’ uno dei rarissimi casi fin qui accertati di compravendita dei voti, a far data dal 1992, l’anno in cui venne introdotto l’articolo 416 ter (il voto di scambio mafioso). Insomma, un’autentica mosca bianca nel nostro infinito museo degli orrori.
Però se ha comprato i voti, se ha dovuto scucire cinquanta euro per ogni crocetta sul suo nome, vuol dire che l’assessore non era organico alle cosche. Quando si è organici, infatti, i voti si ricevono senza mercanteggiarli. Il rapporto del candidato con l’organizzazione è tale che lo si sostiene in virtù di un’investitura naturale, di un vincolo associativo o di fiducia, perché si sa che dalle istituzioni il proprio rappresentante vittorioso non potrà che aiutare gli “amici” in tutte le forme necessarie e possibili.
Dunque Zambetti non è un mafioso. E questo per un verso alleggerisce il cuore. Per altro verso però genera una preoccupazione ancora maggiore. Perché vuol dire che alla ‘ndrangheta possono rivolgersi anche i candidati normali, solo un tantino o tanto spregiudicati, in cerca di voti comunque. Che la ‘ndrangheta è diventata un interlocutore possibile (e interessato) di molti, che sta sul mercato e lì può trovare clienti a iosa. Dipende dalla moralità pubblica. E questo diventa il tema.
In una regione dove la moralità pubblica è stata presa a picconate dall’uomo che guida da vent’anni il centrodestra dalle sue ville brianzole, dove il governatore ne ha fatto un orpello del tutto subalterno alla fame di potere del pianeta ciellino, dove la sinistra ha avuto il suo baricentro in Filippo Penati, il terreno è diventato fertile per questo tipo di scambi.
La ‘ndrangheta è diventata lobby tra le lobby, come l’unione dei commercianti, come l’Azione Cattolica, come le cooperative.