La ‘ndrangheta e la “cupola del bestiame”
“Bistecca connection”: un nuovo filone della criminalità organizzata.
Animali “vittime di smarrimento”, criminalità e veterinari collusi. Fettine infette e al Desometazone, marchi ballerini, macellazioni clandestine e finto abigeato
Scaliti non evoca niente ai più. Scaliti, frazione del comune di Filandari, strage della masseria. Cinque morti, padre e quattro figli, ammazzati a pistolettate.
Una carneficina, ma secondo il procuratore capo di Vibo Valentia Mario Spagnuolo non è stato un delitto di mafia: alla base della strage della masseria i rancori tra due famiglie di allevatori confinanti, maturati per il pascolo abusivo.
A Rizziconi, cuore della Piana di Gioia Tauro, qualche mese fa uno dei tanti improvvisati pastori uccide a pistolettate il proprio cognato, che si oppone al pascolo delle pecore in un suo terreno. Cosa sta succedendo nelle nostre campagne? Pascoli abusivi, morti ammazzati, continui furti nelle aziende agricole, sparizioni di agnelli, di vitelloni pronti per la macellazione, di maiali.
Il ritorno dell’abigeato
È il “ritorno di Butch Cassidy” o la riproposizione del reato mitologico omerico di Ermes che ruba il bestiame ad Apollo. Eppure l’abigeato, ormai considerato trascurabile e trasformato dalla legge 205 del 25 giugno 1999, insieme al pascolo abusivo, in illecito amministrativo, alimenta il traffico degli animali e la macellazione clandestina. O forse ciò che appare è frutto di una lettura frettolosa, secondo la quale non ci sarebbe abigeato se non ci fosse macellazione clandestina.
Ma davvero è necessario l’abigeato per la macellazione clandestina? I furti di animali da allevamento in Italia sono aumentati del venti per cento, in Calabria del settantacinque, e rubare bestiame è sicuramente redditizio visto che ogni capo ha un valore medio che si aggira intorno ai tremila euro.
Sono circa centomila i capi di bestiame rubati ogni anno e destinati alla macellazione clandestina. Le numerose denunce degli allevatori hanno evidenziato un ritorno dell’abigeato, il furto di animali da allevamento: mucche, cavalli, maiali, pecore, agnelli.
Il furto degli animali è un fenomeno in crescita, tanto che si stima che in due anni, in Italia, circa duecentomila animali sono stati fatti sparire nelle campagne per essere destinati alla macellazione clandestina, ma non solo.
Un business da 250 milioni
Secondo le stime dell’Osservatorio della Lav, i traffici irregolari di animali d’allevamento alimentano un business da duecentocinquanta milioni di euro. Nella sola Calabria sono stati oltre diecimila, tra ovini, caprini e bovini, gli animali scomparsi nel nulla negli ultimi due anni.
Gli allevamenti in Calabria, ma anche in Sicilia, Campania e in altre regioni, sono controllati dalla criminalità organizzata, così come la macellazione, clandestina o meno. E allora? Moderni Robin Hood ruberebbero alla ‘ndrangheta? Non è credibile, né verosimile. Ciò che accade dunque nelle campagne e nell’universo degli allevatori non è di facile lettura.
Proviamo a mettere insieme alcuni dati. Gli allevamenti della Calabria sono di esponenti della ‘ndrangheta o soggetti alla ‘ndrangheta. A nessuno è permesso di rubare alla ‘ndrangheta e non c’è ‘ndranghetista che, anche per altri fini, dovendo denunciare un improbabile ammanco di bestie va in caserma a dire che gli hanno rubato gli animali. Ne andrebbe della sua credibilità di ‘ndranghetista. Il boss giunto all’ospedale di Polistena con le pallottole nove per ventuno conficcate in testa non denunciò. Disse che era caduto e si era fatto male con un ferro, figuriamoci se si denuncia un furto.
Non si denuncia
Non si denuncia. Mai e per nessun motivo. È questa la logica. In Calabria infatti gli animali di cui la ‘ndrangheta deve denunciare il furto sono “vittime di smarrimento”. È questa la formula efficace -inventata nella caserma dei carabinieri di Zagarise- da inserire nelle denunce per specificare che alcuni animali non erano più in mano all’allevatore.
In Calabria nel 2010 tranne due denunce per furto – dodici pecore a Girifalco e otto bovini a S. Floro – sono state vittime di smarrimento 377 ovini e 148 bovini.
È Stefanaconi, un piccolissimo comune in provincia di Vibo Valentia, il luogo in cui i bovini si smarriscono con più facilità: in un giorno se ne perdono dieci di un solo allevatore e qualche giorno dopo undici di un’altra azienda. A Carlopoli (Cz) si smarriscono ben sedici bovini, mentre un allevatore di Roccabernarda si accorge di averne smarrito cinque solo il giorno in cui riceve un controllo dei veterinari.
L’allevatore più sfortunato è di Umbriatico, quattro case addossate a un municipio: smarrisce sedici bovini nello stesso giorno e nella stessa ora. Quando si presenta ai carabinieri per denunciarne la scomparsa snocciola numero dopo numero i codici delle marche auricolari.
Singolari gli smarrimenti di ovini. Un allevatore di Montalto Uffugo (Cs) smarrisce 144 pecore senza sapere indicare le cause, il luogo, il contesto. A S. Caterina sullo Jonio, invece, una “persona conosciuta a questi uffici” (dei carabinieri) denuncia lo smarrimento di ventidue pecore di proprietà della figlia.
“Smarrimenti” misteriosi
Perché questi animali non sono più in possesso dei proprietari? Perché conviene così a loro. Agli allevatori, s’intende. Un perché, uno solo, ed è veramente poco, lo ha tracciato tempo fa l’operazione “Ramo spezzato” conclusasi con undici condanne a complessivi trentotto anni di reclusione.
L’inchiesta, coordinata dai magistrati della Dda reggina Santi Cutroneo e Antonio De Bernardo, è durata quasi due anni. Nel corso dell’operazione, la polizia aveva effettuato il sequestro preventivo di aziende facenti capo a esponenti della criminalità organizzata ed operanti nel settore dell’allevamento, della lavorazione, della vendita all’ingrosso e dettaglio di animali e carni macellate. Dodici arresti eseguiti, tra i quali quello di Carmelo Iamonte, figlio del capocosca, su quindici ordinanze di custodia cautelare.
La sentenza, emessa dal giudice del Tribunale di Reggio Calabria, Paolo Remondino, contro la cosca del boss Natale Iamonte di Melito Porto Salvo, ha smascherato il clan che macellava animali ammalati di brucellosi, ovini e caprini soprattutto, falsificando i documenti di tracciabilità degli animali.
Macellazione di animali affetti da brucellosi e immissione delle carni sul mercato attraverso macellerie colluse con la cosca per un volume di affari di circa tre milioni di euro. D’altra parte, l’operazione “Meat Guarantor”, una delle più importanti sui traffici illegali nel mercato della carne che ha coinvolto tutto il territorio nazionale, dalla Campania al Veneto dal Piemonte alla Puglia passando dal Lazio, ha smascherato un sistema criminale dedito a trafficare clandestinamente e a portare sulle tavole dei consumatori carni infette o avariate. Coinvolti nell’organizzazione allevatori, commercianti, macellatori, pubblici amministratori e veterinari pronti a fabbricare documenti falsi per certificare la buona salute di animali sequestrati perché malati, ottenendo così il dissequestro.
L’organizzazione, che aveva base in Campania, somministrava agli animali morenti e affetti da bse, tbc e lingua blu anabolizzanti e cortisonici in modo tale da farli rimanere in vita e ingrassare nonostante le malattie.
Il danno e la beffa
Oltre al danno la beffa. La truffa è semplice. In presenza di animali affetti da brucellosi o Tbc si accede alle quote comunitarie per l’indennizzo degli animali abbattuti. L’allevatore fa “caricare” sulla banca dati un certo numero di animali. Il veterinario preleva i campioni di sangue da animali infetti, li consegna per le analisi all’Istituto Zooprofilattico che attesta l’epidemia di Tbc o brucellosi, invita il sindaco ad emettere l’ordinanza di abbattimento e lo stesso veterinario certifica l’abbattimento.
Un patto tra veterinari e ’ndrangheta per la “gestione” criminale della diffusione della brucellosi. Da quel momento scatta il meccanismo: richiesta di indennizzo e macellazione clandestina, quando gli animali ci sono, se invece l’inserimento in banca dati è fittizio lo è anche l’abbattimento. Furti, furti veri e furti finti.
Simulazione di reato: è svelata la truffa che sta dietro i presunti furti alla ‘ndrangheta. Gli animali, anche infetti, vengono macellati clandestinamente e, per scaricarli dalla banca dati, si procede a denuncia di furto o di smarrimento.
A Ionadi, è stato bloccato dagli agenti della forestale di Spilinga (Vibo Valentia) un autocarro che trasportava suini privi della documentazione necessaria a stabilirne provenienza, destinazione e stato sanitario, del tatuaggio identificativo e della marca auricolare. Gli agenti hanno trovato marche auricolari nelle tasche dell’autista e sotto un sedile dell’autocarro. C’era anche la pinza necessaria alla loro applicazione.
In un’altra operazione del Comando provinciale del Corpo forestale dello Stato di Vibo Valentia, qualche anno fa, sono state trovate, su un autocarro che stava trasportando al macello dei bovini in stato di evidente sofferenza, trecentocinquanta marche auricolari, risultate in carico a diversi allevamenti dislocati su tutto il territorio regionale.
Vi è, dunque, un florido traffico di marchi auricolari di identificazione: spesso durante i blitz delle forze dell’ordine vengono ritrovati a centinaia, e la provenienza è ignota anche se il traffico è riconducibile agli stessi allevatori con la complicità dei veterinari.
Il servizio veterinario richiede un certo numero di marche auricolari per un allevatore per animali inseriti in banca dati ma inesistenti, oppure consegna all’allevatore quel certo numero di marche auricolari che non vengono utilizzate perché nel frattempo gli animali sono “vittime di smarrimento”, o macellati clandestinamente, oppure i veterinari lasciano in custodia al macello le marche auricolari degli animali macellati che, senza grandi complicità, vengono riciclate.
Ma i veterinari di Vibo Valentia dove sono quando si macellano gli animali infetti, ammalati o senza marche auricolari? Semplice. A fare la spesa, accompagnare i figli a scuola, occuparsi della ristrutturazione della casa al mare, accudire la casa o a gestire, nelle ore d’ufficio, i loro ambulatori privati.
I carabinieri. al termine di un’indagine coordinata dalla procura della repubblica presso il tribunale di Vibo Valentia, hanno arrestato con queste accuse, lo scorso febbraio, i veterinari Mario Mazzeo, consigliere comunale e capogruppo del Pdl al comune di Vibo, Chiarina Crispelli, Enzo Carnovale, Domenico Cocciolo, Giuseppe Parisi, Domenico Piraino e Stefania Mazzeo. I carabinieri hanno accertato che i veterinari finiti in manette, dipendenti dell’Azienda sanitaria provinciale di Vibo Valentia, si assentavano o si allontanavano dal posto di lavoro ogni giorno anche per ore.
Del resto, la stessa anagrafe bovina non è uno strumento che brilla per efficienza, tant’è che possono passare anche mesi per la registrazione e la disponibilità dei dati sugli animali.
La banca dati
Anomalie nella banca dati. A migliaia. Sono state segnalate dal ministero alle aziende sanitarie calabresi. In particolare al servizio veterinario dell’Asp 5 di Reggio Calabria, ambito di Palmi. C’è di tutto. Uscite senza entrate, ossia macellazioni di animali mai censiti, animali censiti che nella realtà non si trovano più in allevamento, marchi auricolari ballerini.
C’è proprio di tutto ma, si giustifica il veterinario addetto alla banca dati di Palmi, si tratta di errori di inserimento delle matricole dei marchi. Possibile anche questo. E poi, alla banca dati non è addetto solo lui: al servizio veterinario hanno attivato carte dei servizi per tutti, tutti possono entrare nella banca dati, movimentare gli animali, inserire i focolai di infezioni che poi danno diritto agli indennizzi, aggiungere, togliere, modificare numeri di marche e codici di stalla, autorizzarle.
Tutti sono titolari di card e password per la banca dati. Intanto però si invitano gli allevatori a presentare denuncia di smarrimento per gli animali censiti e non presenti in azienda e ad iscrivere gli animali in più con fittizie dichiarazioni di passaggio ad altri allevamenti. Si tenta di aggiustare le carte, ma non sempre è possibile. Allora card per tutti, per prepararsi all’eventuale scaricabarile delle responsabilità. Confusione nelle carte, documenti smarriti nei trasferimenti del servizio. Gli allevamenti qui sono tantissimi. Sulla carta. Ci sono famiglie che hanno tre, quattro stalle autorizzate dagli organi competenti sulla base di relazioni di comodo del servizio veterinario. Si tratta quasi sempre degli stessi locali, attribuiti ora all’uno ora all’altro.
I proprietari delle stalle sono quasi tutte appartenenti a famiglie di affiliati alla ‘ndrangheta. Servono per intercettare gli indennizzi pubblici e per alimentare il mercato della macellazione clandestina, ma anche per rappresentare ai giudici, al bisogno, l’inderogabilità della semilibertà o degli arresti domiciliari, essendo gli arrestati unici ad accudire le bestie. Stalle per tutti, accrediti degli allevamenti in banca dati e pecore ballerine.
Di qua o di là secondo i bisogni: se poi si lucra qualche indennizzo con la complicità del veterinario, bene, se no, c’è sempre il romeno da schiavizzare per accudirle. Archivi nell’ufficio non ce ne sono. Tutto è buttato per terra, alla rinfusa. E sulle scrivanie, carte del 1999 si mescolano con quelle del 2013, ché in fondo nell’acqua sporca gracidano tutte le rane e la confusione serve a coprire le magagne del servizio.
Da due anni c’è il commissariamento della sanità veterinaria della Regione Calabria, un commissariamento “subìto” in Regione, ma salutato anche dal presidente della Coldiretti Calabria, Pietro Molinaro, come l’occasione “per eliminare inefficienze ed incrostazioni dannose”. Provvedimenti? Nessuno.
Scheda
VELENI ALLA GRIGLIA
Veleni alla griglia. Si chiama Desometazone il “miracolo della carne” dei vitelli gonfiati. Un farmaco a base di cortisone che ha l’eccezionale potere di favorire la crescita degli animali, o meglio di “gonfiare” i bovini. Da Trapani a Cuneo, per una volta l’Italia è una. Salme, corpi di animali che anziché essere distrutti vengono utilizzati per produrre mangime animale, sale da cucina aggiunto al mangime per costringere gli animali a bere, urea, anabolizzanti.
Micidiali cocktail di medicinali, anche guasti, venduti in nero e somministrati senza nessun controllo o cautela ai bovini poi mandati alla ma¬cellazione. I Carabinieri sono riusciti a ricostruire l’intero ciclo del traffico dei medicinali dalle aziende agli allevatori a Carmagnola (Torino), Fossano, Saluzzo, Vicoforte di Mondovì, Mondovì e Cuneo. Il quadro emerso è allarmante per i consumatori: “I rappresentanti dei medicinali -hanno raccontato i pubblici ministeri- davano cortisonici, antibiotici e anabolizzanti, spesso mischiandoli fra loro, agli allevatori, che li somministravano agli animali”.
In caso di bisogno i veterinari facevano ricette per mascherare le somministrazioni come “trattamenti terapeutici”. Le ricette però si possono fare anche in proprio: disporre di un ricettario ed un timbro è un gioco da ragazzi. All’azienda provinciale per i servizi sanitari di Trento, per esempio, i ricettari si “smarriscono” con facilità. Qui, già nell’ottobre del 2009, il responsabile del servizio farmaceutico denunciava lo “smarrimento di un timbro medico e di un ricettario” e tempo prima, nella stessa azienda, un medico dell’ospedale S. Chiara lo smarrimento del proprio timbro e del ricettario. Lo smarrimento avvenne, pensate un po’, “nelle stanze dell’unità operativa di pediatria di Cavalese”.
Ho un piccolo allevamento a Prizzi in provincia di Palermo e la scorsa settimana e’ sparito uno dei miei bovini.
Volevo sapere se si sono verificate altre sparizioni in zona.
Grazie