giovedì, Novembre 21, 2024
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La ‘ndrangheta e la “cupola del bestiame”

“Bistecca connection”: un nuovo filone della criminalità organizzata.

Animali “vittime di smarrimento”, crimi­nalità e veterinari col­lusi. Fettine infette e al Desometazone, marchi ballerini, macellazioni clandestine e finto abi­geato

Scaliti non evoca niente ai più. Scali­ti, frazione del comune di Filandari, strage della masseria. Cinque morti, padre e quattro figli, ammazzati a pi­stolettate.

Una carneficina, ma secondo il procu­ratore capo di Vibo Valentia Mario Spa­gnuolo non è stato un delitto di mafia: alla base della strage della masseria i rancori tra due famiglie di allevatori con­finanti, maturati per il pascolo abusi­vo.

A Rizziconi, cuore della Piana di Gioia Tauro, qualche mese fa uno dei tanti im­provvisati pastori uccide a pisto­lettate il proprio cognato, che si oppone al pascol­o delle pecore in un suo terreno. Cosa sta succedendo nelle nostre campa­gne? Pa­scoli abusivi, morti ammazzati, continui furti nelle aziende agricole, spa­rizioni di agnelli, di vitelloni pronti per la macella­zione, di maiali.

Il ritorno dell’abigeato

È il “ritorno di Butch Cassidy” o la ri­proposizione del reato mitologico omeri­co di Ermes che ruba il bestiame ad Apollo. Eppure l’abigeato, ormai consi­derato trascurabile e trasformato dalla legge 205 del 25 giugno 1999, insieme al pascolo abusivo, in illecito amministrati­vo, alimenta il traffico degli animali e la macellazione clandestina. O forse ciò che appare è frutto di una lettura frettolosa, secondo la quale non ci sarebbe abigeato se non ci fosse macellazione clandestina.

Ma davvero è necessario l’abigeato per la macellazione clandestina? I furti di animali da allevamento in Italia sono au­mentati del venti per cento, in Calabria del settantacinque, e rubare bestiame è sicuramente redditizio visto che ogni capo ha un valore medio che si aggira in­torno ai tremila euro.

Sono circa centomila i capi di bestiame rubati ogni anno e destinati alla macella­zione clandestina. Le numerose denunce degli allevatori hanno eviden­ziato un ri­torno dell’abigeato, il furto di animali da allevamento: mucche, cavalli, maiali, pe­core, agnelli.

Il furto degli animali è un feno­meno in crescita, tanto che si stima che in due anni, in Italia, cir­ca due­centomila anima­li sono stati fatti sparire nelle cam­pagne per essere desti­nati alla macella­zione clandestina, ma non solo.

Un business da 250 milioni

Secondo le stime dell’Osservatorio del­la Lav, i traffici irregolari di animali d’allevamento alimentano un business da duecentocinquanta milioni di euro. Nella sola Calabria sono stati oltre diecimila, tra ovini, caprini e bovini, gli animali scomparsi nel nulla negli ultimi due anni.

Gli allevamenti in Calabria, ma anche in Sicilia, Campania e in altre regioni, sono controllati dalla criminalità organiz­zata, così come la macellazione, clande­stina o meno. E allora? Moderni Robin Hood ruberebbero alla ‘ndrangheta? Non è credibile, né verosimile. Ciò che acca­de dunque nelle campagne e nell’univer­so degli allevatori non è di facile lettura.

Proviamo a mettere insieme alcuni dati. Gli allevamenti della Calabria sono di esponenti della ‘ndrangheta o soggetti alla ‘ndrangheta. A nessuno è permesso di rubare alla ‘ndrangheta e non c’è ‘ndranghetista che, anche per altri fini, dovendo denunciare un impro­babile am­manco di bestie va in ca­serma a dire che gli hanno rubato gli ani­mali. Ne andreb­be della sua credibilità di ‘ndran­ghetista. Il boss giunto all’ospeda­le di Polistena con le pallottole nove per ven­tuno con­ficcate in testa non denunciò. Disse che era caduto e si era fatto male con un fer­ro, figuriamoci se si denuncia un furto.

Non si denuncia

Non si denuncia. Mai e per nessun mo­tivo. È questa la logica. In Calabria infat­ti gli animali di cui la ‘ndrangheta deve denunciare il furto sono “vittime di smar­rimento”. È questa la formula efficace -inventata nella caserma dei carabinieri di Zagarise- da inserire nelle denunce per specificare che alcuni animali non erano più in mano all’allevatore.

In Calabria nel 2010 tranne due denun­ce per furto – dodici pecore a Girifalco e otto bovini a S. Floro – sono state vittime di smarri­mento 377 ovini e 148 bovini.

È Stefanaconi, un piccolissimo comu­ne in provincia di Vibo Valentia, il luogo in cui i bovini si smarriscono con più fa­cilità: in un giorno se ne perdono dieci di un solo allevatore e qualche giorno dopo undici di un’altra azienda. A Carlopoli (Cz) si smarriscono ben sedici bovini, mentre un alle­vatore di Roccabernarda si accorge di averne smarrito cinque solo il gior­no in cui riceve un controllo dei vete­rinari.

L’allevatore più sfortunato è di Um­briatico, quattro case addossate a un mu­nicipio: smarrisce sedici bovini nello stesso giorno e nella stessa ora. Quando si presenta ai carabinieri per denunciarne la scomparsa snocciola numero dopo nu­mero i codici delle marche auricolari.

Singolari gli smarrimenti di ovini. Un allevatore di Montalto Uffugo (Cs) smar­risce 144 pecore senza sapere indicare le cause, il luogo, il contesto. A S. Caterina sullo Jonio, invece, una “persona cono­sciuta a questi uffici” (dei carabinieri) denuncia lo smarrimento di ventidue pe­core di proprietà della figlia.

“Smarrimenti” misteriosi

Perché questi animali non sono più in possesso dei proprietari? Perché convie­ne così a loro. Agli allevatori, s’intende. Un perché, uno solo, ed è veramente poco, lo ha tracciato tempo fa l’operazio­ne “Ramo spezzato” conclusasi con un­dici condanne a complessivi trentotto anni di reclusione.

L’inchiesta, coordina­ta dai magistrati della Dda reggina Santi Cutroneo e Anto­nio De Bernardo, è dura­ta quasi due anni. Nel corso dell’opera­zione, la poli­zia aveva effettuato il se­questro preventi­vo di aziende facenti capo a esponenti della criminalità orga­nizzata ed operanti nel settore dell’alle­vamento, della lavo­razione, della vendita all’ingrosso e det­taglio di animali e carni macellate. Dodi­ci arresti eseguiti, tra i quali quello di Carmelo Iamonte, figlio del capocosca, su quindici ordinanze di custodia caute­lare.

La sentenza, emessa dal giudice del Tribunale di Reggio Cala­bria, Paolo Re­mondino, contro la cosca del boss Natale Iamonte di Melito Porto Salvo, ha sma­scherato il clan che macel­lava anima­li ammalati di brucellosi, ovi­ni e caprini soprattutto, falsificando i do­cumenti di tracciabilità degli animali.

Macellazione di animali affetti da bru­cellosi e immissione delle carni sul mer­cato attraverso macellerie colluse con la cosca per un volume di affari di circa tre milioni di euro. D’altra parte, l’operazio­ne “Meat Guarantor”, una delle più im­portanti sui traffici illegali nel mercato della carne che ha coinvolto tutto il terri­torio nazionale, dalla Campania al Vene­to dal Piemonte alla Puglia passando dal Lazio, ha smascherato un sistema crimi­nale dedito a trafficare clandestinamente e a portare sulle tavole dei consumatori carni infette o avariate. Coinvolti nell’organizzazione allevatori, commer­cianti, macellatori, pubblici amministra­tori e veterinari pronti a fabbricare docu­menti falsi per certificare la buona salute di animali sequestrati perché malati, otte­nendo così il dissequestro.

L’organizza­zione, che aveva base in Campania, som­ministrava agli animali morenti e affetti da bse, tbc e lingua blu anabolizzanti e cortisonici in modo tale da farli rimanere in vita e ingrassare no­nostante le malat­tie.

Il danno e la beffa

Oltre al danno la beffa. La truffa è semplice. In presenza di animali affetti da brucellosi o Tbc si accede alle quote comunitarie per l’indennizzo degli ani­mali abbattuti. L’allevatore fa “caricare” sulla banca dati un certo numero di ani­mali. Il veterinario preleva i campioni di sangue da animali infetti, li consegna per le analisi all’Istituto Zooprofilattico che attesta l’epidemia di Tbc o brucellosi, in­vita il sindaco ad emettere l’ordinanza di abbattimento e lo stesso veterinario certi­fica l’abbattimento.

Un patto tra veterin­ari e ’ndrangheta per la “gestione” crimi­nale della diffusio­ne della brucello­si. Da quel momento scatta il meccani­smo: richiesta di inden­nizzo e macella­zione clandestina, quando gli animali ci sono, se invece l’inseri­mento in banca dati è fittizio lo è anche l’abbattimento. Furti, furti veri e furti finti.

Simulazione di reato: è svelata la truffa che sta dietro i presunti furti alla ‘ndran­gheta. Gli animali, anche infetti, vengono macellati clandestinamente e, per scari­carli dalla banca dati, si procede a denun­cia di furto o di smarrimento.

A Ionadi, è stato bloccato dagli agenti della forestale di Spilinga (Vibo Valentia) un autocarro che trasportava suini privi della documentazione necessaria a stabi­lirne provenienza, destinazione e stato sanitario, del tatuaggio identificativo e della marca auricolare. Gli agenti hanno trovato marche auricolari nelle tasche dell’autista e sotto un sedile dell’autocar­ro. C’era anche la pinza necessaria alla loro applicazione.

In un’altra operazione del Comando provinciale del Corpo fore­stale dello Sta­to di Vibo Valentia, qual­che anno fa, sono state trovate, su un au­tocarro che stava trasportando al macello dei bovini in stato di evidente sofferenza, trecento­cinquanta marche auricolari, ri­sultate in carico a diversi allevamenti di­slocati su tutto il territorio regionale.

Vi è, dunque, un florido traffico di marchi auricolari di identificazione: spesso durante i blitz delle forze dell’ordine vengono ritrovati a centinaia, e la provenienza è ignota anche se il traf­fico è riconducibile agli stessi allevatori con la complicità dei veterinari.

Il servi­zio veterinario richiede un certo numero di marche auricolari per un alle­vatore per animali inseriti in banca dati ma inesi­stenti, oppure consegna all’alle­vatore quel certo numero di marche auri­colari che non vengono utilizzate perché nel frattempo gli animali sono “vittime di smarrimento”, o macellati clandestina­mente, oppure i veterinari lasciano in cu­stodia al macello le marche auricolari de­gli animali macellati che, senza grandi complicità, vengono riciclate.

Ma i veterinari di Vibo Valentia dove sono quando si macellano gli animali in­fetti, ammalati o senza marche auricola­ri? Semplice. A fare la spesa, accompa­gnare i figli a scuola, occuparsi della ri­strutturazione della casa al mare, accudi­re la casa o a gestire, nelle ore d’ufficio, i loro ambulatori privati.

I carabinieri. al termine di un’indagine coordinata dalla procura della repubblica presso il tribu­nale di Vibo Valentia, han­no arrestato con queste accuse, lo scorso febbraio, i veterinari Mario Mazzeo, con­sigliere co­munale e capogruppo del Pdl al comune di Vibo, Chiarina Crispelli, Enzo Carno­vale, Domenico Cocciolo, Giuseppe Pa­risi, Domenico Piraino e Stefania Maz­zeo. I carabinieri hanno ac­certato che i veterinari finiti in manette, dipendenti dell’Azienda sanitaria provin­ciale di Vibo Valentia, si assentavano o si allon­tanavano dal posto di lavoro ogni giorno anche per ore.

Del resto, la stessa anagrafe bovina non è uno strumento che brilla per effi­cienza, tant’è che possono passare anche mesi per la registrazione e la disponibili­tà dei dati sugli animali.

La banca dati

Anomalie nella banca dati. A migliaia. Sono state segnalate dal ministero alle aziende sanitarie calabresi. In particolare al servizio veterinario dell’Asp 5 di Reg­gio Calabria, ambito di Palmi. C’è di tut­to. Uscite senza entrate, ossia macella­zioni di animali mai censiti, animali cen­siti che nella realtà non si trovano più in allevamento, marchi auricolari ballerini.

C’è proprio di tutto ma, si giustifica il veterinario addetto alla banca dati di Pal­mi, si tratta di errori di inserimento delle matricole dei marchi. Possibile anche questo. E poi, alla banca dati non è ad­detto solo lui: al servizio veterinario han­no attivato carte dei servizi per tutti, tutti possono entrare nella banca dati, movi­mentare gli animali, inserire i focolai di infezioni che poi danno diritto agli in­dennizzi, aggiungere, togliere, modifica­re numeri di marche e codici di stalla, au­torizzarle.

Tutti sono titolari di card e password per la banca dati. Intanto però si invitano gli allevato­ri a presentare denuncia di smar­rimento per gli animali censiti e non pre­senti in azienda e ad iscrivere gli ani­mali in più con fittizie dichiarazioni di passag­gio ad altri allevamenti. Si tenta di aggiu­stare le carte, ma non sempre è pos­sibile. Allora card per tutti, per prepararsi all’eventuale scaricabarile delle respon­sabilità. Confusione nelle carte, docu­menti smarriti nei trasferi­menti del servi­zio. Gli allevamen­ti qui sono tantis­simi. Sulla carta. Ci sono fa­miglie che hanno tre, quattro stal­le auto­rizzate dagli organi competenti sulla base di relazioni di comodo del ser­vizio vete­rinario. Si tratta quasi sempre degli stessi locali, at­tribuiti ora all’uno ora all’altro.

I proprietari delle stalle sono quasi tut­te appartenenti a famiglie di affiliati alla ‘ndrangheta. Servono per intercettare gli indennizzi pubblici e per alimentare il mercato della macellazione clandestina, ma anche per rappresentare ai giudici, al bisogno, l’inderogabilità della semiliber­tà o degli arresti domiciliari, essendo gli arrestati unici ad accudire le bestie. Stal­le per tutti, accrediti degli allevamen­ti in banca dati e pecore ballerine.

Di qua o di là secondo i bisogni: se poi si lucra qualche indennizzo con la com­plicità del veterinario, bene, se no, c’è sempre il romeno da schiavizzare per ac­cudirle. Archivi nell’ufficio non ce ne sono. Tutto è buttato per terra, alla rinfu­sa. E sulle scrivanie, carte del 1999 si mescolano con quelle del 2013, ché in fondo nell’acqua sporca gracidano tutte le rane e la confusione serve a coprire le magagne del servizio.

Da due anni c’è il commissariamento della sanità veterina­ria della Regione Ca­labria, un commissa­riamento “subìto” in Regione, ma saluta­to anche dal presiden­te della Coldiretti Calabria, Pietro Moli­naro, come l’occa­sione “per eliminare inefficienze ed in­crostazioni dannose”. Provvedimenti? Nessuno.

Scheda

VELENI ALLA GRIGLIA

Veleni alla griglia. Si chiama Desometazone il “miracolo della carne” dei vitelli gonfiati. Un farmaco a base di cortisone che ha l’eccezionale potere di favorire la crescita degli animali, o meglio di “gonfiare” i bovini. Da Trapani a Cuneo, per una volta l’Italia è una. Salme, corpi di animali che anziché essere distrutti vengono utilizzati per produrre mangime animale, sale da cucina aggiunto al mangime per costringere gli animali a bere, urea, anabolizzan­ti.

Micidiali cocktail di medicinali, anche guasti, venduti in nero e somministrati senza nessun controllo o cautela ai bovini poi man­dati alla ma¬cellazione. I Carabinieri sono riusciti a ricostruire l’intero ciclo del traffico dei medicinali dalle aziende agli allevatori a Carmagnola (Torino), Fossano, Saluzzo, Vicoforte di Mondovì, Mondovì e Cuneo. Il quadro emerso è allarmante per i consuma­tori: “I rappresentanti dei medicinali -hanno raccontato i pubblici ministeri- davano cortisonici, antibiotici e anabolizzanti, spesso mischiandoli fra loro, agli allevatori, che li somministrava­no agli animali”.

In caso di bisogno i veterinari facevano ricette per mascherare le somministrazioni come “trattamenti terapeutici”. Le ricette però si possono fare anche in proprio: disporre di un ricettario ed un timbro è un gioco da ragazzi. All’azienda provinciale per i servizi sanitari di Trento, per esempio, i ricettari si “smarriscono” con fa­cilità. Qui, già nell’ottobre del 2009, il responsabile del servizio farmaceutico denunciava lo “smarrimento di un timbro medico e di un ricettario” e tempo prima, nella stessa azienda, un medico dell’ospedale S. Chiara lo smarrimento del proprio timbro e del ri­cettario. Lo smarrimento avvenne, pensate un po’, “nelle stanze dell’unità operativa di pediatria di Cavalese”.

Un pensiero su “La ‘ndrangheta e la “cupola del bestiame”

  • Ho un piccolo allevamento a Prizzi in provincia di Palermo e la scorsa settimana e’ sparito uno dei miei bovini.
    Volevo sapere se si sono verificate altre sparizioni in zona.
    Grazie

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