La miseria e le mazzette
Qua in periferia come al centro, la crisi non è arrivata per caso…
E’ il mondo moderno, ragazzi. Stiamo combattendo una guerra in Europa, ma non tutti ce ne rendiamo conto. Non ci sono palazzi sfondati dalle bombe, ma ci sono intere classe sociali distrutte.
Chi sostiene che lo spread è stata una invenzione per far dimettere Berlusconi, chi che la crisi serve a fare il Governo dell’”inciucio”, pardon, “di servizio” come lo chiama il giovanissimo presidente del Consiglio Enrico Letta.
E’ guerra invece, se è vero com’è vero che ci sono famiglie che non arrivano alla fine del mese, sono lavoratori che da un giorno all’altro si trovano senza lavoro, gente che in preda a sconforto uccide e si uccide. Non c’è bisogno di sentircelo dire che siamo ancora in fondo al tunnel, guardando a quelle che accade nelle periferie del Paese, a Trapani per esempio, dove un esercito di precari, anche donne e uomini ultracinquantenni, si trova a inseguire un’assunzione qualunque, dove ci sono operai che occupano palazzi delle istituzioni, e giovani che ogni giorno lasciano questa terra per cercare fortuna altrove, come negli anni bui del dopoguerra.
Certamente tutto questo non è avvenuto perché si sono mossi autonomamente i grandi eserciti dell’economia internazionale, ma perché c’è stata una politica, ci sono stati Governi che hanno colpito da dentro il Paese. A Roma come a Trapani. Le “mazzette” hanno mosso la politica. Ma nessuno, dei politici della casta, se lo vuol sentire dire.
La magistratura scopre appalti truccati, opere mal costruite, senatori – come il trapanese pidiellino-berlusconiano Tonino D’Alì – che a leggere le intercettazioni avrebbe assicurato grandi appalti a questo e a quello, e nessuno – a cominciare dai presunti avversari – si è mostrato capace di dire qualcosa.. Non “qualcosa di sinistra” alla Moretti, almeno qualcosa di buono per il Paese.
Restando a Trapani, di cose, malfatte, di cuis parlare ce ne sono parecchie. I risultati sono dinanzi agli occhi di tutti, il porto che doveva essere volano di sviluppo ha visto la crisi dei grandi cantieri navali. La petroliera che doveva costituire esempio tangibile di rilancio resta non consegnata al committente, per mesi qui si sono asserragliati gli operai che l’hanno costruita, licenziati su due piedi.
La trasformazione del porto, fatta con fior di milioni (pubblici), è stata un’occasione di infiltrazione che la mafia non si è fatta sfuggire, e le conseguenze sono palesi. Ci sono banchine finanziate con 40 milioni di euro, che dovevano essere pronte nel 2005 e invece oggi costituiscono una grande opera incompiuta.
Nessuno si aspettava che quando tanti anni fa il ministro Pietro Lunardi auspicava che lo Stato sapesse convivere con la mafia, a Trapani si facessero le prove generali di questo “inciucio”. E quando Lunardi venne a vedere i lavori in corso al porto, accompagnato dai “potenti”, il senatore D’Alì, il sindaco Fazio, il prefetto Finazzo, praticamente fu come mettere il sigillo a quell’accordo.
Trapani, città del sale e del vento, c’è scritto sui cartelloni di benvenuto nei punti d’ingresso della città. Trapani città silente, città della distensione, tanta distensione che forse nemmeno piacerebbe del tutto al presidente Napolitano che in questi giorni ha fatto tanto uso di questa parola, città dove la politica segue regie trasversali, dove non ci sono steccati se non quelli apparenti che servono solo a fare scena.
Uno scenario dove sparisce, per comparire solo nelle poche ore che seguono un blitz o un’operazione di sequestro e confisca, la perdurante latitanza del sanguinario boss mafioso Matteo Messina Denaro, il campiere dei borghesi trapanesi, l’interlocutore dei politici, il titolare di segreti inconfessabili sulla trattativa stato-mafia, il custode del papello di Totò Riina, lo stratega delle stragi, il colpevole delle bombe assassine di Firenze, Roma e Milano del 1993.
Attorno a Matteo Messina Denaro si sono scoperte collusioni, funzionari pubblici corrotti da Cosa nostra che si arricchiva grazie al sostegno di politici, si sono sequestrati e confiscati beni e casseforti. E tutto questo è stato circondato da silenzi, o da apprezzamenti ipocriti alla magistratura e alle forze dell’ordine operanti. Poi tutto è continuato come sempre, l’area grigia della mafia ha proseguito a pulsare.
Eppure, per citare i fatti più recenti, ci sono stati consiglieri provinciali arrestati e condannati, Sacco e Pellerito, consiglieri comunali, come tale Giuseppe Ruggirello, che si è scoperto si faceva corrompere in cambio anche di incontri a luci rosse, sindaci come quello di Valderice Camillo Iovino rimasti in carica sebbene condannati per favoreggiamento ad un imprenditore mafioso, consiglieri condannati per corruzione che, riabilitati, hanno fatto carriera come l’attuale presidente del Consiglio comunale di Trapani Peppe Bianco.
Oggi a Trapani c’è una società che è costretta a inseguire i suoi bisogni che quando esauditi non suonano come un diritto riconosciuto ma come un favore concesso, e la malapolitica, come la mafia, con la mafia, ha bisogno per vivere di avere attorno gente allo stremo che chiede e che garantisce consenso sociale. E’ da questi scenari che bisogna fuggire via.