venerdì, Novembre 22, 2024
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La lunga attesa di Felicia

I funerali di Felicia hanno avuto una notevole risonanza sulla stampa e sulle televisioni. La presenza di magistrati, artisti, sacerdoti, studiosi, di figure impegnate nella lotta contro la mafia, non è stata tuttavia sufficiente a ingrossare un corteo al quale hanno partecipato circa cinquecento persone.

Il neo-sindaco di Cinisi ha proclamato il lutto cittadino e si è presentato ai funerali con la giunta e buona parte del Consiglio Comunale, tuttavia all’ordinanza non è stata data opportuna diffusione e molti l’hanno ignorata. Al passaggio del feretro alcuni commercianti hanno abbassato la saracinesca, altri hanno continuato tranquillamente a vendere la loro roba.

Quasi tutti i giornali hanno scritto che Cinisi era assente e hanno affrettatamente concluso che il paese è rimasto mafioso, malgrado la fine del dominio dei Badalamenti.

Qualche giorno dopo la morte di Peppino, in un comizio Umberto Santino disse: “Sino a quando queste finestre resteranno chiuse Peppino sarà morto invano”. Su questa storia delle finestre chiuse voglio tuttavia fare una constatazione. Da sessant’anni conosco il corso di Cinisi ed ho sempre visto chiusa la maggioranza delle finestre, sia d’estate, per proteggersi dal caldo, sia d’inverno, per ripararsi dal freddo; molte case sono vuote perché i loro proprietari sono emigrati, altre appartengono a gente che va a lavorare fuori dal paese, altre a gente che non vede il motivo di aprirle se passa un corteo. Si potrebbe obiettare che ai funerali di Peppone, (settembre 2000), il figlio ucciso del boss Procopio Di Maggio, c’erano circa ottocento persone, che il feretro è stato salutato con un applauso, che le saracinesche erano tutte abbassate, che molti gettavano fiori al suo passaggio, che le ghirlande erano fatte di orchidee. Ma anche in quell’occasione c’erano le finestre chiuse, per cui l’appello ad aprirle ha più un valore simbolico che un riferimento reale. Resta il fatto che gli abitanti di Cinisi, se si eccettuano i parenti, le autorità, qualche esponente politico e gli irriducibili compagni di Peppino, malgrado il paese fosse stato tappezzato da un bel manifesto con la foto di Felicia, non c’erano. Sarebbe ingiusto però dire che non c’erano perché sono mafiosi.

Se a Cinisi ci sono alcuni mafiosi questo non vuol dire che tutti i cinisari sono mafiosi. Si tratta di quelle accuse, facilmente strumentalizzabili, studiate per sviare l’attenzione dal problema reale. E il problema in quel momento era Felicia e l’importanza della sua figura. Molti cinisari hanno fatto rimostranze, altri si sono offesi, altri hanno preso le distanze dall’“antimafia funeralaia”, altri hanno tentato di giustificarsi e di motivare la loro assenza mettendo in giro cumuli di menzogne: il docente di una scuola mi ha riferito di aver sentito dire da un alunno di Cinisi, sicuramente imbeccato dai genitori, che Felicia era una donna inutile e insignificante, salita alla ribalta solo dopo il film, che non amava Peppino perché lo aveva abbandonato e lasciato alla sorella Fara, che mentre era fidanzata con uno era fuggita con un altro, che poi sarebbe stato Luigi Impastato. Perché la gente avrebbe dovuto andare ai funerali di una simile disumana persona?

Tutto ciò ci rimanda alla secolare trasmissione di valori sedimentati nel tempo, come la paura, la diffidenza, la conservazione dei principi ereditati, il rifiuto dell’innovazione, il sospetto, la cultura del rispetto nei confronti del potente, l’orgoglio di far parte di una catena che ti protegge, il servilismo, la svendita della propria dignità, il ricatto, la roba, l’affermazione della famiglia, anche a costo del delitto, cioè quella che in due parole si chiama cultura mafiosa, della quale un paese come Cinisi è imbevuto.

La tecnica della diffamazione è uno degli archetipi fondamentali della strategia mafiosa nei confronti delle persone su cui si vuole gettare il discredito, specialmente se si tratta di accuse non controllabili e non verificabili, utilissime a generare un sospetto e un dubbio, studiate per far morire il morto un’altra volta, distruggendone la memoria.

Per citare qualche esempio di sviamento diffamatorio della dignità d’una persona, Giuseppe Fava sarebbe stato ucciso da un marito cornuto, Cosimo Cristina si sarebbe suicidato perché si sentiva un fallito, Mauro Rostagno sarebbe stato ucciso dalla moglie Chicca e dall’amico Cardella che se la intendevano, Giuseppe Impastato sarebbe andato a mettere una bomba per far saltare in aria un treno carico di operai (bel compagno!) e così via.

Non siamo certamente nell’ambiente mafiogeno di un quartiere malfamato: l’ambiente di Cinisi è più raffinato, la sua piccola e media borghesia è infarcita di ipocrita perbenismo ed ha la capacità di credere e fare credere anormale ciò che in altri modelli di società è normale e viceversa. Normale è ciò che è omogeneo al sistema di valori in circolazione, al codice mafioso, anormale è ciò che lo nega e ne vuole proporre un altro.

Quell’ambiente su cui l’anticonformismo di Peppino ha infierito con la satira, mettendolo in ridicolo, non può riconoscersi in figure così diverse da sé, come lo sono state Peppino e sua madre e così normali: rischierebbe la propria estinzione.

Qualcuno ha detto che il paese si è chiuso a riccio nei confronti di chi lo aveva ferito e denigrato, cercando di colpevolizzare, ancora una volta, chi da anni si batte per fare entrare un soffio d’aria nuova. Il paese era chiuso a riccio già da molto prima, allorché ha scelto l’indifferenza e il distacco, così come fa ogni anno in occasione delle manifestazioni per ricordare Peppino. Ecco perché Mafiopoli deve fare ancora molti passi per arrivare dalla casa di Badalamenti a quella di Peppino e di Felicia, prima di rendersi conto che “se tra le donne siciliane ce n’è qualcuna che merita un ruolo di primo piano nella lotta contro la mafia, per la sua modestia, per la sua decisa volontà di denunciarne i delitti, di accettare la sofferenza senza rassegnarvisi, per la sua insistenza nel volere un paese e una società più puliti, questa è Felicia Bartolotta”.(5)

NOTE:

1 Salvo Vitale, Nel cuore dei coralli, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1996, p. 47.

2 Umberto Santino, Storia del movimento antimafia, Roma, Editori Riuniti, 2000, p. 179.

3 Carlo Levi, Le parole sono pietre, Einaudi, 1955, p.160.

4 Salvo Vitale (a c. di),Quasi un urlo di libertà, Palermo, Ed. della Battaglia, 1996, p. 21.

5 Salvo Vitale, Nel cuore dei coralli, p.186.

Questa testimonianza è stata pubblicata anche nel volume Cara Felicia, pubblicato nell’aprile 2005 dal Centro Siciliano di Documentazione Giuseppe Impastato.

 

 

BIBLIOGRAFIA SU FELICIA

Anna Puglisi e Umberto Santino (a c. di), Cara Felicia, Palermo, “Centro Siciliano di documentazione Giuseppe Impastato”, 2005, che contiene una serie di atti giudiziari, testimonianze e messaggi: “Dalle pagine di questo libro Felicia esce con tutta se stessa, senza coloriture retoriche, con la sua tenacia e le sue accuse che già suonano come condanne irrevocabili, ma pure con le sue paure e le sue contraddizio ni” (p.?).

Gabriella Ebano, Felicia e le sue sorelle, Roma, Cedam 2006 (seconda edizione 2010). Interviste a 20 donne vittime della violenza mafiosa: una via scavata attraverso la memoria, il dolore, la speranza. Il libro è stato ripubblicato nel 2012 in una nuova edizione contenente un cd.

Salvo Vitale (a c. di), “Peppino è vivo”, poesie per Peppino Impastato, Cinisi, Associazione Culturale Peppino Impastato, 2006, che contiene diverse poesie dedicate a Felicia, riprodotte nella presente pubblicazione. Il libro è stato ripubblicato, in edizione interamente rinnovata, nel 2008, dalle edizioni EGA di Torino.

Giacomo Pilati, Felicia Impastato, Trapani, Coppola, 2006. Si tratta di un’intervista che fa parte della collana “i pizzini della legalità”. La stessa intervista è stata pubblicata nel libro “Le Siciliane”, curata dallo stesso autore e dallo stesso editore nel 1998 e nel 2008.

Nando Dalla Chiesa, Donne ribelli, Milano, Melampo, 2007.

Salvo Vitale e Guido Orlando (a c. di), Felicia (tributo alla madre di Peppino Impastato), Palermo, Navarra, 2006.

Film di Gregorio Mascolo, Felicia” (la mafia uccide, il silenzio pure (2010). Lo stesso regista è autore di alcuni cortometraggi su Felicia.

 

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